Premio Racconti nella Rete 2018 “Giorno zero” di Marco Floridia
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018La stanza era bianca, abbagliante, infinita. Per quanto si sforzasse non riusciva ad incontrare con lo sguardo le linee, gli spigoli, i piani che da qualche parte dovevano delimitare il confine di quello spazio nuovo, enorme e inatteso. La luce era come un immenso foglio aperto privo di segni, un improvviso oceano diffuso che si riversava senza resistenze da una nuova apertura geografica, una inarrestabile massa liquida che andava a coprire e nascondere per sempre un continente precedente, trascinandolo verso un fondo oscuro e irraggiungibile.
Era su una sedia, davanti alle linee squadrate di un tavolo altrettanto incongruente, un diverso corpo solido sospeso nello stesso territorio senza appigli. Cercò di capire se era un sogno, senza riuscirci. Si guardò e riconobbe le sue mani, i piedi, il resto. Anche i vestiti, quei pochi stracci, erano i suoi. Ma quella continuità riusciva solo a rendere ancora più erroneo e dislocato il presente. Chiuse gli occhi, e si ritrovò facilmente nel buio, con il sudore, lo sporco e la paura che aveva avuto addosso per tutta la sua vita recente. Il riemergere dell’oscurità dietro le palpebre fu quasi un sollievo, e restò ad assaporare nella sua memoria per un lungo minuto quel mondo familiare fatto di dolore e ombre.
Quando riaprì gli occhi, al posto del tavolo c’era una figura immobile in attesa. Sebbene avesse all’incirca la sua stessa altezza, lo stesso colore, e forse la stessa età, era chiaro che apparteneva ad un posto dove il tempo e lo spazio utilizzavano regole diverse, a cui probabilmente bisognava adattarsi in fretta.
La domanda uscì dalla sua bocca come un passero dalla finestra di una casa rotta.
– Allora è così?
Forse non lo aveva neanche detto, e forse l’altra parte non aveva neanche risposto, ma solo accennato a una conferma con la testa.
Restò a digerire il significato di quell’assenso, e cercò di ricordare il momento del passaggio, se fosse stato un ennesimo colpo o solo una lenta discesa della coscienza verso un fondo morbido dove finalmente abbandonarsi senza rumore.
Sapeva bene che da qualche parte rimaneva ancora, oltre tutta quella luce silenziosa che si versava senza sosta, una terra buia e parallela. Dove la sua vita era stata portata via già da tempo, quando ancora non era possibile capire, quando non era pensabile che si dovesse avere paura. In tanti posti era stato così. In un momento un arrivo di autocarri, le grida, la sua famiglia spazzata via insieme a tante altre, la sua corsa interrotta, il suo futuro tranciato come il filo di un aquilone. Il suo orizzonte era diventato prima il fondo di un autocarro, poi un vecchio magazzino, e infine una finestra che incorniciava solo un altro muro senza luce. E niente era stato più come prima.
Ripensò a tutti i colpi, i tagli, le violenze, il buio e le catene, e si rivide nella stanza dove aveva vissuto tutto quel tempo senza più sentire il calore del sole sulla pelle, la sua luce attraverso gli occhi chiusi, il vento che portava i profumi dei fiori sulla faccia, l’umido della terra sotto i piedi, la pioggia estiva che si fermava sulle mani aperte.
Guardò ancora la figura immobile in quella luce estranea. Ecco, allora ci siete, pensò. Quante volte li aveva chiamati, cercati, supplicati, aspettando una forza esterna o interna che arrivasse almeno a rendere sopportabile il ripetersi dell’umiliazione e del dolore. E poi aveva smesso di cercarli. Aveva finito per rinunciare all’idea che la vita potesse essere un terreno di felicità o di giustizia, qualcosa di diverso da un tempo sordo e fangoso diviso fra la sofferenza e la sua attesa. E aveva trovato nel suo universo una fuga ad occhi chiusi verso un mondo e un luogo che non c’erano più. Lentamente aveva riscritto tutti i confini della sua esistenza e della sua stessa coscienza entro quel tempo, entro quei giorni passati in cui era stato possibile giocare con le sorelle e i fratelli, rincorrendosi nella terra rossa, su cui volavano ridendo nella luce di giornate senza fine.
Era lì che tornava, quando chiudeva gli occhi, per addormentarsi o solo per scappare altrove. Il seguito, quel sedimento sporco, lo aveva tagliato via, aveva impedito che si accumulasse, raschiandolo giorno per giorno dalla sua pelle, dalla sua memoria.
La figura si spostò leggermente di lato, e alle sue spalle si delineò un sentiero di luce. La mano indicò la direzione, suggerendo un invito a incamminarsi.
Guardò il sentiero, e poi ancora la figura davanti a sé. Fece un lungo respiro. Era come sempre: c’era qualcun altro che aveva già deciso al suo posto cosa doveva fare, dove doveva andare. Un altro autocarro su cui salire. Non importava che adesso fosse una destinazione migliore, non più, dopo che era successo tutto quello che aveva dovuto sopportare, e dopo che quello che doveva impedirlo non era mai arrivato. Ricordò i percorsi difficili del suo cuore, che cercando un nascondiglio in quei territori di paura aveva perso sia l’incredulità del male che la speranza del bene, rimanendo con l’unico bagaglio di una memoria fragile da custodire, in una testarda e forse inutile sopravvivenza.
Riguardò tutti quei segni che aveva addosso e che conosceva e ricordava uno per uno. La geografia delle ferite che si erano incise, impresse e poi asciugate come singoli torrenti, lasciando la traccia delle loro direzioni dopo la corsa delle piene di rabbia provocate dalle sue risposte e dalle sue resistenze.
E capì che anche allora, anche in quel luogo di luce senza più dolore, avrebbe provato a opporsi e a contrastare una forza molto più grande, come aveva imparato a fare. Avrebbe rifiutato di incamminarsi, come avrebbe dovuto fare la prima volta, come avrebbero dovuto fare tutti.
Lasciò passare del tempo finché fu chiaro che non avrebbe preso quel sentiero. La figura sembrò sorpresa, o forse rassegnata all’accadere di ciò che già si aspettava, e dopo una nuova pausa pose un’altra domanda senza che si udissero parole.
I suoi occhi limpidi si accesero della dignità che non aveva mai perso. La sua risposta alla luce fu chiara:
– Quello che non ho mai avuto. Un’opportunità.
Mi si apre un largo sorriso in faccia, perché io ero tra quelli che dopo aver letto “Giorno uno” ti chiedevano un “Giorno due”. Ritorni e ci stupisci con un “Giorno zero”, per cui mi disoriento come il protagonista nel tempo e nello spazio, nel chiaro del dopo e lo scuro del prima. Felicissima di poterti leggere ancora e apprezzare e grazie di questo bel regalo.
Marco, asciugo qualche schizzo e ammiro il tuo tuffo ad angelo nelle tiepide acque salutari di Racconti.
Mi hai spiazzata con il tuo Giorno Zero perché, con tanta poca immaginazione, attendevo un giorno successivo e invece… a volte si procede tornando indietro.
Un racconto di intensità di luci che inizialmente accecano, si spengono nei ricordi dolorosi, e infine indicano. Luci da esterno e luci da interno.
In questo chiaroscuro spicca dolcissima la piccola goccia rossa della terra famigliare.
Bellissima la geografia dei pensieri e dei segni sul corpo.
Hai offerto un orizzonte concedendo pochissimi preziosi dettagli e non è affatto facile, sai?
Mi conforta il loro arrivo: inaspettato, desiderato, tanto atteso… da lui, da lei?
E “he, she or it” che direzione prenderà? Una buona certo, dopo aver scelto finalmente di liberarsi da tutte le catene.
Ancora mistero, e ora hai firmato la condanna a scrivere altri giorni e giorni… 99 almeno, te ne chiedo.
Grazie per averci dato nuovamente l’opportunità di apprezzare la tua prosa lucida e puntuale, sapiente e mai saccente.
Trovo il tuo scrivere di una serenità contagiosa.
Un giorno (che numero era?) parlammo delle nostre creature… non sapevo quanto a proposito fosse quella immagine, ora che ho visto la tua venire alla luce.
Non so perchè e forse è fuori la linea della tua narrazione ma questo racconto mi ha fatto davvero male, non ho pensato ad un western, ma alle cose di casa nostra, mi è sembrato che dentro quella stanza ci fosse solo un ragazzo: il suo nome Giulio Regeni. Inutile dire che mi è piaciuto molto il tuo racconto.
Ti confesso che ti aspettavo, aspettavo una rivelazione un chiarimento, qualcosa per riprendere il filo..
È arrivato questo tuo racconto complesso come il primo, forse di più che non rivela, non chiarisce ma riprende, amplifica, sottolinea . Le tue atmosfere metafisiche dove tutto sembra chiaro e nello stesso tempo interpretabile sono il tuo punto forte.
Scrivi sempre meglio e accarezzi il lettore con mille possibili realtà fatte di storie passate e accennate ma riconoscibili e lampi di consapevolezza presente.
È bello farsi trasportare in questo sogno reale e simbolico dove alla fine resti assetato di un chiarimento che è solo parziale e si adatta alla fantasia del lettore stesso assumendo al fine la forma che il lettore stesso vuole dargli. Bravo , Bravissimo!
Bravo Marco! Atmosfera sospesa, racconto scritto davvero bene con un finale che spiazza e che al contempo lascia libero il lettore di decidere cosa verrà dopo. Tra il detto e il non detto…bravo.
Come posso ringraziare?
Dire a Silvia che anche a me si è aperto un sorriso nel cuore nel leggere il suo commento?
Dire a Marcella che è stata troppo attenta, dolce e gentile con le mie parole e che potrei anche chiedere a Demetrio di mettere una brandina web nel sito e produrre per le prossime 99 edizioni di racconti in rete altri 99 giorni ma che sarebbe una atroce minaccia per i lettori? : )
Dire ad Anna Rosa che non c’è così tanto riferimento al reale nelle mie intenzioni ma che dopo una brutta giornata c’è sempre un nuovo giorno migliore?
Dire a Gianluca grazie non solo per il suo commento ma per come senza concorrere segue con intuito, cura, attenzione e passione l’edizione di quest’anno?
E dire un grande grazie a Elena per le sue parole piene di luce e calore?
Non basta, non basta…
Bellissimo e basta.
Grazie davvero Pasqualina, scusa se non ho risposto prima!
Bellissimi. Uso il plurale perché ho sentito la necessità di andare a leggere “Giorno uno”. Non penso sia un caso che il protagonista si svegli sulla riva del mare, la grande Madre. Questo racconto (Questi Racconti), entra nel profondo dell’animo e ci emoziona per come porta alla luce uno dei desideri che da sempre l’uomo ha avuto: poter usufruire e fare frutto degli errori e delle sventure che in tal modo, con una nuova opportunità (io ci ho visto una nuova vita), non sarebbero più tali ma si trasformerebbero in ottimi strumenti per affrontare un nuovo cammino consapevole. Che non possono però essere staccati dalle esperienze, tragiche, dolorose e forse anche colpevoli che li hanno forgiati. Mi fermo per non diventare logorroico, Avrai capito che mi sono piaciuti entrambi moltissimo. Mi complimento con te. In bocca al lupo.
Complimenti per questo racconto intriso di poesia, che ti fa sognare e poi ti riporta alla realtà: tutti dovrebbero avere un’opportunita’! Grazie per questa piacevole lettura.
E’ un vero distillato di tutte le nostre angosce: non solo Regeni, come dice Annarosa, ma i campi profughi, le guerre, le dittature. Hai saputo concentrare in due pagine tutti i fantasmo che perseguitano il genere umano. E l’unica consolazione è la dignità dell’uomo, forse inutile, forse no, e comunque ti siamo grati di averci lasciato questa vaga speranza. Davvero lascia il segno, questo racconto. Bravo!
Devo ringraziare Oscar, Lucia e Fiorella per i loro commenti e per tutto quanto hanno visto nella mia traccia. Un testo è solo un’occasione e la ricchezza nel trovare significati, spunti e angolazioni sta negli occhi, nella sensibilità, e nel bagaglio di chi legge. Grazie per avere applicato tutto questo al mio racconto.
Un racconto che si cuce addosso alla pelle del lettore, che regala sensazioni. Una sorta di caleidoscopio dove ognuno può trovare la propria interpretazione, molto ben scritto.
Che bella l’immagine del caleidoscopio, grazie Laura!
Ti ringrazio per il bel commento al mio racconto. Spero che le due parole secche che ho riservato al tuo “Giorno zero” non ti abbiano troppo deluso. Te ne voglio spiegare il motivo. Questo periodo è stato per me un po’ complicato e quando ho letto il tuo racconto, che mi è piaciuto tantissimo, ho sentito il bisogno di fartelo sapere subito. Così, di getto, l’unico modo è stato quello. Ora posso essere più esplicita. La buona e fluida scrittura mi ha coinvolta da subito. Nel bellissimo incipit trovo perfetta la descrizione dell’ambiente che, con la sua luminosità e fluidità, contrasta nettamente con la spigolosità della drammatica situazione precedente.
Hai saputo creare una figura della quale non si conosce il nome o il sesso ma che trovo caratterizzata perfettamente. La caratterizzano tutte le sofferenze che è stata costretta a subire ma, soprattutto, la dignità che conserva fino in fondo. Concludo allo stesso modo: bellissimo e basta.
Grazie Pasqualina, non ero affatto deluso, anzi! Ma grazie davvero per questo tuo nuovo ricco commento.
Marco, riesci a dare al lettore un senso di leggerezza (o di speranza) al buio, viceversa un senso di paura (o di timore) alla luce. Racchiudi nel chiaro-scuro tutti i colori della vita. Molto bravo, anzi grazie per averci messo a disposizione il tuo racconto.
Elena, bellissime parole. Grazie a te per il tuo commento.
Stupendo… un susseguirsi di sentimenti ed emozioni, un dolore che si trascina nella mente e nel corpo, ma che non cancella la dignità… quella di Primo Levi, quella della Segre, quella di cui si sente tanto parlare nel Giorno della Memoria… la dignità che spesso resta per ognuno essere umano il solo motivo per rialzarsi e ripartire. Una prosa ricca di poesia. Davvero complimenti!
Un racconto penetrante, denso, che ti conduce tra le pareti rarefatte di una prigionia indefinita, e ti infonde un senso di straniamento che non ti lascia fino alla fine. I suoi nodi sospesi compongono una via crucis che si offre a noi senza la gloria di una salvezza certa. Una storia intrisa di coraggio, di dignità, e di una speranza che non si sostanzia di nulla se non di se stessa. Un resoconto sull’animo umano che sospende il tempo e lo spazio in attesa di una risposta… forse quella giusta, o forse no. L’importante è essere fedeli a se stessi, senza compromessi, rischiando tutto… anche la libertà, e la vita. Complimenti davvero.
Grazie Girolamo, parole che colpiscono, generose, attente e profonde.
Caro Marco, ho letto i tre racconti che proponi quest’anno e che rivelano una grande versatilità di temi e stili. Devo ammettere che il mio preferito è Giorno zero, degno antecedente del Giorno uno dell’anno scorso (era uno dei miei preferiti della scorsa edizione). Trovo esemplare la tua capacità di descrivere una vicenda così intensa, lasciandola però sospesa e rarefatta e invitando così a leggerci ognuno storie diverse a seconda della propria sensibilità. A me è sembrata la storia di un profugo, un viaggio travagliato tra paesi diversi e centri di detenzione, una di quelle terribili traversate che molti esseri umani compiono per fuggire da paesi in guerra. Sicuramente questo racconto è molto affine ai miei gusti, ma sono belli anche gli altri. Credo che Io li odio i treni si avvicini di più al genere di racconti che sono stati premiati lo scorso anno. In tutti i casi, in bocca al lupo!
Ivana carissima, ti ringrazio per il tempo e l’attenzione che hai dedicato e stai dedicando alla lettura e al commento dei racconti. Il tuo, insieme a quello di altri – approfitto: grazie a tutte e tutti! –, fa parte di quei contributi che arricchiscono questo sito e creano legami e connessioni positive fra i vari componenti di questa comunità di scritto/letto/commentatori.
Due minime parole su Giorno Zero, che è sicuramente il più articolato dei tre nati di quest’anno: sì, è l’antecedente del precedente Giorno Uno, il tema è la dignità, e anche la resistenza agli alti livelli, ci si può vedere protagonista maschile o femminile e un’ambientazione varia. Sono particolarmente contento se ha portato a termine il suo compito di racconto elasticizzato che si adatta al lettore!
Una buona storia deve riuscire ad evocare immagini. È evidente, fin dalle prime righe, che questa è decisamente una buona storia.
Io credo che in alcuni periodi della nostra vita siamo attraversati da determinate emozioni, impellenze o da temi particolari che ci stanno a cuore o semplicemente si ripresentano puntualmente. Così, leggendo i tuoi racconti, ti immagino preso dall’esigenza di sperimentare sempre, utilizzando storie, forme narratologiche e formati diversi, impegnato a portarli al limite, per vedere se reggono. A mio parere questo racconto, insieme all’altro che hai messo in rete lo scorso anno, regge molto bene. Ti faccio un grande in bocca al Lupo per questo Marco!
Nuovamente grazie Simona per il tuo recente commento, per l’attenzione e l’empatia. Commentare non è naturalmente un obbligo, ma chi trova il tempo per leggere e analizzare, e le parole per restituire riflessioni, spunti e inquadrature, arricchisce tutti, non solo chi scrive, e non di poco. Quindi per tutto questo grazie a te e a tutti!