Premio Racconti nella Rete 2018 “Occhio di bue” di Francesca Bonelli Morescalchi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018Pina chiuse la chiamata con una ditata secca contro il tasto rosso del cellulare.
Sbuffò e pestò un piede in terra prima di aprire il frigo.
Rimase lì, appesa fra la visione di quello che c’era da mangiare e del viale alberato fuori dalla finestra. Alcune persone erano uscite dalla chiesa.
«Sì, sì. Andate pure a raccomandare l’animaccia vostra a Quello. Tanto, Quello, si fa sempre i cazzi sua!»
I tre gatti le gironzolavano intorno.
«Via, giù. Levatevi di culo, pure voi»
Il telefono suonò di nuovo.
«Oi oia! Icché vole ancora? Gli ho detto che ci vo! Pronto?! Ah, buongiorno avvocato. No, un si preoccupi, mi dica»
Menomale. Era una cosa di lavoro.
Era impiegata al Tribunale. Usciva la mattina alle sette, prendeva la sua pandina, attraversava Ponte San Niccolò, si lasciava ingoiare dal traffico dei viali. Piazza Beccaria, la Fortezza… e arrivava quasi un’ora dopo in Viale Guidoni. La sera, verso una certa ora, faceva il percorso inverso. E si chiudeva in casa, con la cena, i gatti e la televisione.
Tirò fuori uova e prosciutto e sbatté lo sportello. Due calamite a forma di coccinella caddero e lei le lasciò sul pavimento.
L’ennesimo rassicurante sabato di merda passato a guardare la televisione sul divano, stravolto dalla chiamata che l’aveva fatta innervosire.
«Già la mì mamma m’ha dato un nome a vecchia. Servo solo a fare da valletta! Mai una soddisfazione, maremma maiala!»
La sua amica Lucrezia, quella bona, le aveva chiesto di accompagnarla a un provino per una parte, al Teatro della Pergola. Chi veniva scelto, avrebbe avuto in regalo un corso di recitazione.
Le serviva qualcuno che avesse la macchina. Era troppo da poveri prendere il bus. Recitare, interpretare, andare a teatro. Non parlava d’altro. Era la sua vita.
E Pina non sapeva mai dirle di no. Fin da bambine. Era inutile che rivolgesse la rabbia verso Lucrezia, la sua bellezza, il suo talento. Verso sua madre che le aveva messo il nome della nonna. La colpa era solamente sua, perché era una morta di sonno!
Preparò le uova all’occhio di bue e si mise a mangiare, guardando il telegiornale.
Alle tre si preparò e andò a prendere Lucrezia.
La vide uscire dal portone e cercarla, scuotendo tutti quei capelli a destra e a sinistra.
Pina la osservava ferma, guardandola dallo specchietto. L’avrebbe trovata, prima o poi. Lei non aveva la minima intenzione di scendere e sbracciarsi per farsi vedere.
Lucrezia si voltò e accese sulla faccia un sorriso largo. La raggiunse con una corsetta leggera, sui tacchi a spillo.
«Ciao!» fece a voce troppo alta, come sempre.
«Com’è?»
«Uh! Un me lo dire! Sono agitatissima! Come sto? Eh? Fo cacare?»
«Macché cacare, stai benissimo»
Pina notò l’occhiata dell’amica. L’aveva squadrata. Anche se rapida, l’aveva squadrata.
«Sì? Non è troppo? Qua, troppo fard?»
«No, t’ho detto tu sta’ bene»
«Via, giù. Andiamo, vai»
Pina mise in moto. Tirò in su la leva della freccia e scivolò dentro alla mandria di macchine.
Parcheggiò nei pressi dell’Ospedale di Santa Maria Nuova, abbondata dalle chiacchiere di Lucrezia.
Lucrezia si guardò nello specchietto per l’ennesima volta.
«Vado bene?»
«Ma sì, fidati»
«Tienimi a braccetto, mi sento le gambe molli»
«Per forza, con que’ tacchi»
«Ah ah! Che bischera tu sei. M’hai sempre fatto ridere un monte»
Pina guardò di sfuggita un negozio etnico.
Sapessi te, come mi hai sempre fatto ridere. Quando al liceo tutti guardavano te e non me. Quando studiavo come una bestia e a malapena prendevo sei, mentre te uscivi tutto il pomeriggio e il giorno dopo copiavi e prendevi otto. Quando i tuoi ti lasciavano uscire la sera e a me no. Quando sei venuta a farci le condoglianze per la morte di Bruno, il mì Bruno. Il mì fratellino. E te ti lamentavi che il tuo ti rompeva i coglioni per via del tuo ultimo fidanzato.
Ho sempre riso un sacco, con te. Come no. E, accidenti a qui’ canaccio, non so perché continuo a essere amica tua!
Imboccarono via della Pergola ed entrarono nel Teatro.
Lucrezia le mandò un bacio con una mano e raggiunse il gruppo.
Pina si sedette su una panca un po’ più in là. Ad aspettarla, per riportarla a casa.
C’era un via vai frenetico. Persone, addetti, provinanti, fogli, cartellette, cappelli, ombretti. Uno con un cane che non c’entrava niente, che aveva sbagliato orario.
Fu la volta di Lucrezia. Tutta bionda raggiunse il palco, sorridendo a slogarsi le mascelle.
Pina sorrise automaticamente anche lei, poi ammazzò le labbra all’ingiù.
«Che faccia di culo»
Squillò il cellulare di Lucrezia. Pina guardò la sua borsa, restando immobile.
«Chi è che lascia acceso il telefono?! Allora! O che lavoro è?» esclamò uno di quelli che osservavano i provini.
«Non è mio. E’ di quella là» disse Pina sottovoce, rivolta a un assistente vicino.
«Allora, dài, veloce. Portaglielo!» sibilò quello.
Pina entrò sul palco come un topo che si nascondeva.
«Scusate… e… m’hanno detto di portarglielo…»
Aveva un che di naturalmente comico. Gli occhi chiari, la faccia sbiadita e i capelli color di niente. Un po’ ingobbita, legnosa. Ma con l’espressione quasi allegra.
Lucrezia le lanciò un’occhiata micidiale. Poi guardò i giudici.
Uno di loro fece un gesto languido con una mano. Come se scacciasse una mosca.
«Rispondi pure, Lucrezia. Intanto noi parliamo un attimo con la tua amica» disse.
Pina si irrigidì.
«Me l’ hanno detto quelli dietro, di darglielo. Sennò non mi sarei permessa di…»
«Come ti chiami?»
«Oh, io un son mica qui per il provino…»
«Non ti preoccupare. Sai che hai un viso fantastico?»
«Che?»
«Sì. Sei intensa, buffa. Espressiva»
«Ma…»
«Come ti chiami?»
«Pina. Bottini»
«Pina Bottini»
«Sì»
«Di cosa ti occupi, Pina?»
«Io… lavoro al tribunale. Quello novo. Quello tutto bello, moderno… Par d’essere in Germania, con quella costruzione lì, vero? Uhm. Già. E… Ci metto un po’ da casa mia. Sto di là d’Arno. C’è un casino, la mattina… Eh. Un traffico, madonna… Io dico. Ma dove vanno tutti? Sì, andranno a lavorare, ma un autobus, dio bonino. Lo potrebbero anche prendere, la gente.»
Non parlavano, la guardavano e basta. E lei cercava di riempire i vuoti. Con parole qualunque, mordendosi le pellicine delle labbra, passando da un piede all’altro.
«Ti piace leggere?»
Lucrezia aveva finito la telefonata. Rossa fino sopra la fronte e nel collo, si riappiccicò il sorriso esagerato al posto della bocca e tornò sul palco, sventolandosi con i fogli.
«Eccomi. Scusate tanto, non è mia abitudine…»
Il giudice di prima rifece il gesto della mosca, chiedendole di aspettare.
«Pina, allora. Cosa ti piace leggere?»
«A dire il vero, mi garba di più la televisione»
Pina guardò Lucrezia.
L’amica si era fatta venire le lacrime agli occhi.
«No, ma davvero, io non…» balbettò Pina, torturandosi le mani.
«Signori, siamo davanti a una presenza teatrale»
Cos’era? Una provocazione?
Lucrezia fece un passo avanti.
«Cosa state dicendo? Non ha fatto niente, non ha detto niente. Farfuglia. Non è nemmeno truccata! Non sa niente di teatro, non ha mai studiato un pezzo teatrale in vita sua! Ma per piacere!»
«Siamo noi i giudici per i provini!»
Lucrezia tirò in aria i fogli, che si sparpagliarono svolazzando.
«E’ inaudito, inaccettabile!» la voce era stridula, isterica.
Tutto era montato come un’onda, dal niente.
Pina alzò le mani in segno di resa.
«C’ ha ragione la mia amica, io un so nulla!»
Un faro sparò una luce forte sul suo viso. Pina strizzò gli occhi, facendo un balzo indietro.
«Sì, anche l’occhio di bue, adesso!» rise Lucrezia.
Pina si guardò intorno.
«Icché l’è l’occhio di bue?» chiese.
«Vedi? Non sai una sega nulla!» gridò Lucrezia, fuori di sé.
Il giudice salì sul palco e le diede uno spintone.
«Sei una cretina! Una cretina fatta e finita! Questo è un talento naturale. Te? Te che sei? Un’attricetta! Ma guardati!»
Lucrezia gli lanciò la mano aperta in piena faccia.
Pina si portò le mani alla bocca.
«Ommadonna! O icché vu fate? O che siete grulli?!»
Si mise in mezzo ai due correndo un po’ di qua e un po’ di là dentro alle sue spalle chiuse.
«Dovevi solo accompagnarmi e guarda. Guarda! Mi stai fregando il posto! Sei una stronza!»
Lucrezia diede uno schiaffo anche a lei. Fece una giravolta rapida, come una trottola spinta a tutta potenza e se ne andò via, a culo ritto.
«Hai perso un’occasione! Scema! Hai perso un’occasione!» le urlò dietro il giudice.
«Sai che cazzo me ne frega, di questa occasione persa!» si udì dal corridoio.
Pina in affanno, gli occhi spalancati, terrorizzati, si toccava la guancia, incredula.
«Vieni, Pina, scendi» disse l’uomo, improvvisamente di nuovo calmo.
Pina lo seguì come un cane al guinzaglio. Nella sua mente vorticavano pensieri su come riottenere la fiducia di Lucrezia, su come si sarebbe scusata, su come poter fare a…
Si trovò davanti al tavolo. Guardò quelle persone. Due uomini e una donna anziana. Le sorridevano.
Che stava succedendo?
Alzò lo sguardo, spostandolo lontano, dietro di loro.
Vide una tenda ondeggiare. Dietro, Lucrezia. Rideva e applaudiva.
Pina sempre più confusa aprì la bocca un paio di volte, senza parole. Un pesce. Un pescetto di quelli grigi, anonimi.
«Pina. Ti regaliamo il corso di recitazione»
«Che?»
«Vogliamo che tu provi»
«Ma non c’entro niente, io»
«Oh, sì che c’entri»
«Non ho portato nessun brano»
«Lucrezia aveva ragione: sei un talento naturale»
«Lucrezia?»
«Lucrezia lavora con noi, per formare gli attori»
«Ma se prima…»
«Prima abbiamo recitato. Lei, noi. Tu no. Non hai recitato niente, è vero. Ti abbiamo messa alla prova. Hai tempi, viso, espressioni adatti»
Lucrezia la raggiunse.
«Sì, Pina. Si può fare. E’ ora che ti scuota e la smetta di perderle, le occasioni»
Pina levò lo sguardo verso l’occhio di bue e si mise a piangere.
Povera Lucrezia, quanto l’ho odiata a un certo punto! E invece… Bel finale a sorpresa! Complimenti per come presenti i personaggi: Pina è possibile vederla e anche sentirla mentre parla, mi è piaciuto molto.
Alle volte “gli occhi di bue” non hanno lo stesso sapore come l’amicizia che pensiamo consolidata dai rispettivi ruoli. Ho apprezzato questo racconto per il linguaggio “immediato” arricchito da espressioni dialettali e per la dinamica “da corto”. Brava
Vi ringrazio, molto gentili 🙂
Francesca, mi è piaciuto moltissimo. Dialoghi perfetti. Quel toscano, pareva di sentirlo di persona…
Un testo gioviale, fresco e godibile, con uno squarcio di luce (un occhio di bue, appunto) su contenuti profondi. Il mio genere preferito.
Bella la costruzione del finale! Bravissima.
Grazie, veramente. 🙂
Molto visivo. E il finale ha spiazzato anche me, non me l’aspettavo. Brava!
Sembra di vederla Pina, dal talento naturale e dall’autostima pari a zero. Molto ben sviluppato con i dialoghi in toscano e con finale a sorpresa. Bello.
Coinvolgente, brillante, divertente. Complimenti!