Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2018 “Polvere” di Stefania Maruelli

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018

Il primo giorno, quando lo vide rientrare, Romana si spaventò. Mario, che hai fatto. Poi gli sorrise e gli sfilò piano la tuta. La fece scivolare fuori dalle braccia e lungo le gambe, giù, fino alle caviglie. Mario rimase un attimo in piedi, poi si sedette, nudo, su uno spicchio bianco di materasso. Ai suoi piedi, il tessuto blu del mattino si era fatto grigio di polvere e a stento si leggeva la scritta rossa in caratteri corsivi. Romana si avvicinò e gli sfilò le scarpe, raccolse da terra un pezzo di carta che infilò nel grembiule, poi prese la tuta, liberandola da un piede alla volta, e la batté più volte col battipanni. Ad ogni colpo di paglia la polvere danzava in aria creando una nube inconsistente e deforme, a Romana sembrò di vederci passare dentro dei corvi.

Scacciò quel pensiero, riempì la vasca, ci mise a mollo la tuta e cominciò a fregare il blu col sapone da bucato. Il profumo di pulito le arrivò alle narici dolce come una promessa. Tutto sarebbe andato bene. Le mani affondavano, prendevano il blu che riemergeva a bolle, e lo respingevano sotto. Continuarono in questo modo finché i polpastrelli si striarono di righe gonfie e violacee. Quel lavoro era arrivato come una benedizione, e se avesse dovuto lavare la tuta del marito ogni sera, lo avrebbe fatto. Tolse la tuta bagnata dalla vasca, la strizzò e la stese al sole delle quattro. Quando ebbe finito, si ricordò del biglietto nel grembiule e lo aprì. Al centro c’erano dei volti e sotto i volti dei nomi. Sotto i nomi due date. Romana fissò gli occhi in quelli del primo viso, Ernesto Coppo, detto il Palombaro, 1928-1972, poi nel secondo, Bernardo Zanella, prete operaio, 1931-1972, il terzo non lo guardò. D’istinto, chiuse a pugno il biglietto nella mano e lo nascose nel grembiule. Gocce regolari cadevano dalle braccia e dalle gambe svuotate a formare una pozza di acqua biancastra. I corvi ci si specchiarono dentro.

Mario si sollevò, lento, e si diresse verso la porta del bagno. Poco prima di entrare, tornò indietro e sfiorò con la mano il viso di lei. La mano scivolò lungo il seno e si insinuò in quello spicchio di pelle tra i fiori azzurri e il bianco del reggiseno. Romana chiuse gli occhi. Mario si inginocchiò e le baciò il ventre. Alzò lo testa e sorrise. Si disse, sarà un maschio. Cacciò la faccia nei fiori e respirò a lungo. Si amarono così, in silenzio, davanti alla finestra. Quando Romana riaprì gli occhi, la tuta stava ancora gocciolando. Inermi, le gambe dondolavano con dolcezza. Per il turno del mattino sarebbero state asciutte.

In bagno, Mario grattò sotto le unghie con la spazzola per i panni finché le setole non ebbero portato via anche l’ultima traccia di polvere. Mise la testa sotto la doccia e fece scorrere l’acqua a lungo. Acqua benedetta, acqua su polvere, acqua santa. Ripensò alla giornata, alle voci che si rincorrevano in fabbrica. Qualcuno diceva che faceva male, qualcuno addirittura che uccideva. Mario era giovane e forte. Si insaponò la testa più volte con movimenti circolari e lenti. Quelle ventiquattro mila lire gli facevano comodo. Ripensò al ragazzo dai riccioli neri, Nicola, al volantino che gli aveva messo in mano all’ingresso e a quella domanda. Mario il biglietto non lo aveva nemmeno guardato, se l’era infilato nella tasca della tuta e lo aveva dimenticato lì, ma la domanda la sentiva rimbombare nel silenzio della doccia, attutita solo dallo scroscio dell’acqua sopra la testa, cosa sei venuto a fare, sei venuto a morire anche tu? Ad ogni giro completo della testa sotto l’acqua si scioglieva un pensiero. Stava per diventare padre. Il sapone colò negli occhi e bruciò. In fabbrica aveva sentito dire che la regalavano: ci avrebbe potuto pavimentare il cortile e isolare il sottotetto. Una volta asciutto, indossò i pantaloni buoni e la camicia che gli aveva confezionato Romana con gli scarti della sartoria. Chissà se c’era un limite di un sacco a testa o te ne davano di più. L’indomani lo avrebbe chiesto al capo reparto.

Romana, in cucina, si accarezzò il ventre e pensò che se fosse stata femmina l’avrebbe chiamata Maria Rosa. Guardò il marito uscire dalla camera vestito di nuovo. Profumava come sempre aveva pensato profumasse l’amore, di una cosa pulita e giusta. Lo guardò allacciare i polsini della camicia malva e sentì di amarlo, sentì per la prima volta che nella sua vita tutto era al suo posto. La Slovenia, un lontano ricordo. Strinse forte la mano a pugno nel grembiule, poi ruppe il primo uovo in una ciotola, spaccando il guscio in due metà esatte. Ci versò a neve lo zucchero e iniziò a sbattere con la forchetta. I rebbi punsero il rosso che si aprì a macchia nel bianco, poi si sollevarono e lasciarono colare dalle fessure quel liquido denso e vischioso. Romana ruppe il secondo guscio con la stessa esattezza. Si perse ad osservare un puntino di nero che i rebbi non riuscivano a staccare. Un piccolo corvo attaccato all’albume. Affondò allora un dito nel rosso e prese il nero tra il pollice e l’indice. Le dita si incollarono fra loro. Si portò il nero agli occhi e lo osservò. Niente, non era niente. Pulì in fretta la mano nel grembiule di fiori e ricominciò a sbattere con più energia, quel giorno andava festeggiato. Romana sbatté finché il rosso non divenne una spuma soffice e bianca. Un buon lavoro, una casa nuova e la bambina. Sarebbe stata una bambina. Con gli occhi blu come i suoi e la forza di Mario.

Era assorta in questi pensieri, quando lo vide arrivare. Era un ragazzo alto, una testa di riccioli neri lunghi fino alle spalle, i lineamenti gentili. La guardava dalla finestra della cucina fumando una sigaretta lenta. Romana abbassò lo sguardo e sistemò dietro l’orecchio un ciuffo biondo che le copriva la fronte. Mario andò ad aprire.

“Nicola”, disse al ragazzo.

Il ragazzo fece l’ultimo tiro soffiando in aria una nuvola bianca di fumo. Romana lo osservò spegnere la sigaretta sotto la suola delle scarpe e lanciarla oltre il vialetto.

“Posso?”, chiese il ragazzo.

Mario guardò Romana, che sfilò in fretta il grembiule fiorito e con la mano stirò una piega della gonna di panno. Nicola si fece avanti e le porse la mano. Era fredda. Da vicino il ragazzo sembrava più giovane. Romana pensò al fratello, ancora lontano.

“Entra”, disse Mario.

Mario appoggiò due bicchieri sbeccati sui quadretti della tovaglia. Romana tagliò del pane e ci versò sopra dell’olio e del sale, lo mise a tavola in mezzo ai due uomini. Poi sedette in disparte, sotto la finestra, si chinò e raccolse da terra il primo sacco. Strappò un filo di iuta e se lo infilò tra le labbra, prese la punta bagnata e la fece passare nella cruna di un ago, sull’indice destro un ditale di rame. Iniziò a cucire lo strappo spingendo l’ago col rame e riprendendolo svelta dall’altro lato di iuta. Le dita si muovevano al ritmo delle loro parole.

“Quanto ti danno per quelli”, era la voce del ragazzo.

L’ago passava esatto dentro la iuta, si trascinava dietro un granello di polvere che ripassava dall’altro lato. Il granello finiva su un polpastrello di Romana, poi lento ricadeva a terra, dove altri sacchi aspettavano, ognuno col suo granello.

“Qualcosa in più in busta paga”, disse Mario.

Romana sorrise, ripiegò il primo sacco cucito e raccolse da terra il secondo. Erano venti. Di nuovo strappò un filo di iuta, lo bagnò con le labbra e lo infilò nella cruna dell’ago, questa volta si punse. Sbuffò, si portò il dito alle labbra e guardò fuori dalla finestra. Un sapore di ferro le invase la bocca.

“Hai letto il mio volantino?”, era di nuovo il ragazzo.

Romana lasciò cadere a terra la iuta. Migliaia di granelli danzarono in aria, lei non li vide.

“Nicola, non sto cercando problemi, io”, disse Mario.

Romana andò in cucina e afferrò il grembiule, se lo allacciò in vita e cercò con la mano il biglietto. Lo strinse a pugno nella tasca fiorita, al sicuro. Sentiva il cuore batterle in petto come il giorno che era partita. Prese la ciotola, versò la spuma bianca in una teglia di ghisa e la infornò.

“Dovevi cercarti un altro lavoro allora”, disse il ragazzo.

Mario bevve il suo bicchiere di vino e scansò la sedia.

“Stiamo per metterci a tavola”, si alzò.

“Questo mese ne sono morti tre”, disse il ragazzo.

“Sei troppo giovane per pensare a questo”, e Mario andò alla porta e la aprì.

“Anche loro lo erano”, disse Nicola alzandosi.

Il ragazzo si voltò un istante verso Romana. Lei strinse forte il pugno e abbassò la testa per salutarlo.

“Grazie del vino”, e si voltò. Una zazzera di riccioli neri si avviò lungo il vialetto. Romana lo vide accendersi una sigaretta e soffiare una boccata bianca di fumo. Quando si chiuse la porta alle spalle, Mario le sorrise e le venne incontro. Quando le fu davanti, appoggiò una mano sopra la sua, sul ventre azzurro di fiori. Romana allora aprì il pugno e tirò fuori la mano, vuota. Gli sistemò il collo della camicia e annuì con la testa. Sarà una bambina. Nell’abbracciarlo, sentì il cuore pian piano calmarsi. Dalla finestra arrivò acuto un gracchiare di corvi.

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19 commenti »

  1. Bello e dolente, una storia di un uomo coraggioso per necessità.
    Disposto ad un sacrificio quotidiano e consapevole per valori antichi, ma anche di un uomo rassegnato ad un sacrificio che esclude la lotta e che anzi trascina nel pericolo la famiglia stessa.
    Traspare un senso di dignità e rassegnazione e un amore profondo
    Dimostrato dalle azioni più che dalle parole.
    Notevole la prosa coinvolgente e ricca di immagini evocative, stupenda la svestizione iniziale, ricorda il ritorno di un guerriero antico da una battaglia e la tuta Blu è un armatura che parla più di mille parole e racchiude tutto il coraggio le paure e le ferite che arriveranno.
    Potrebbe essere l’inizio di una storia più lunga, mi piacerebbe leggere il seguito…
    Veramente complimenti Stefania mi hai colpito profondamente!

  2. Concordo con il commento di G. Zuccheri: Bello e dolente questo racconto ! La narrazione entra nelle dinamiche della “necessità” rivolgendo uno sguardo amorevole e non di “rabbia” nei confronti di chi pur di trovare soluzione ai propri problemi si rifiuta di prendere coscienza di una situazione(tragedia) che investe collettivamente la fabbrica.
    Conosco da “sarda” queste dinamiche, sono quelle che reggono tanti paesi (Perdasdefogu, le zone di Salto di Quirra- La Maddalena, il mio paese) sì, si capisce la dinamica ma come non amare di più Nicola nel suo tentativo di responsabilizzare ad una giusta lotta comune Mario e Romana? La classe operaia potrebbe trovare altri paradisi oltre quella polvere! Complimenti, davvero un bel racconto

  3. Assale forte il contrasto tra l’incanto del loro amore che sboccerà in un figlio e quelle continue interferenze nere, che fanno presagire qualcosa di brutto. La dolcezza mi ha cullato e i corvi mi hanno insinuato addosso un continuo disagio, che credo siano le emozioni volute. Bellissime immagini, rese ancora più vivide dalle datazioni citate, grazie a cui ancora più distintamente è possibile vedere i personaggi, i loro colori, come in un film degli anni ’70. Mi ha trascinato dentro, complimenti!

  4. Grazie Silvia Schiavo, sono felice che siano passate la dolcezza e il disagio, una sottile inquietudine. Era quello che cercavo di trasmettere con questo racconto.
    Grazie infinite per averlo letto!

  5. Grazie Gianluca Zuccheri per il tuo commento.
    Sì, Mario è un antico guerriero che torna a casa dopo la battaglia. Una battaglia ancora più amara, quella che combattiamo tutti i giorni per vivere, spesso ignorando i segnali, i puntini di nero, il gracchiare dei corvi. Tutto ciò che Romana cerca di combattere per non infrangere il suo sogno di serenità.
    Grazie ancora per il tuo commento!

  6. Grazie Anna Rosa Perrone, ti ringrazio moltissimo per il tuo commento.
    Non c’è scelta a mio avviso tra Nicola da un lato e Mario e Romana dall’altra, è difficile schierarsi dalla parte della ragione quando le necessità sono impellenti.
    In ogni caso, grazie infinite per averlo letto!

  7. Un racconto che devasta per il senso di impotenza in cui, nostro malgrado, ci troviamo catapultati. E passa anche la voglia di scuotere Mario e Romana, la voglia di gridare che no, non è questo il futuro che devono garantire al loro bambino. Paradossalmente, anche il lettore comincia a pensare che è quello l’unico futuro possibile. Questo mi hai trasmesso, Stefania. Bellissime le immagini, le azioni, i gesti, potentissimi. Complimenti.

  8. Un racconto delicato ma forte. Le immagini parlano più delle parole e ti portano li tra i protagonisti. Veramente commovente. Complimenti Stefania mi piacerebbe sicuramente leggere il seguito di questo racconto. BRAVISSIMA

  9. Un racconto del passato che purtroppo passato non é. Una storia molto attuale che in poche righe rispecchia ciò che accade ancora sotto ai nostri occhi troppo spesso. La necessità di accettare compromessi che ledono a volte la nostra dignità, a volte addirittura la nostra stessa vita e in nome della sopravvivenza, non della bella vita! In barba a chi ha duramente lottato per tutti i diritti che pensavamo di avere ma che stiamo perdendo giorno dopo giorno. Complimenti Stefania, racconto molto intenso, soprattutto con l’allegoria del corvo, che senti respirare dietro alle spalle fino alla fine.

  10. La nota che mi è piaciuta di più è il ritmo narrativo di questo racconto, dolcemente continuo come un battito, malinconico e dolente, trascina ognuno al suo destino, ognuno sul suo binario senza possibilità di incontro o di scambio. Una sorta di “ananke” greca ma intima e sociale insieme.

  11. Il tuo racconto, Stefania, è molto intenso e drammatico. Per i personaggi parlano le immagini che hai saputo donarci. Erano gli anni settanta e si parlava in lire, Mario e Romana si amavano e aspettavano un figlio al quale dovevano garantire un futuro. Ora siamo nel 2018 e si parla in euro ma la situazione è la stessa. Potrebbe essere polvere di acciaio, oppure di amianto o di qualsiasi altra polvere assassina ma il risultato non cambia: si muore e basta.Io credo che il tuo intento sia quello di suscitare nel lettore rabbia e indignazione e devo dire che ci sei riuscita perfettamente. Sono arrabbiata e indignata che a distanza di parecchi anni ancora si debba vivere sotto ricatto, costretti a scegliere tra il diritto al lavoro e il diritto alla salute. Complimenti, veramente brava.

  12. Cara Pasqualina Moro,

    Grazie per il tuo commento. Quale che sia la causa non bisognerebbe mai dover scegliere tra diritto al lavoro e diritto alla salute. Purtroppo però la storia ci insegna cose diverse, e troppo spesso non è stato, e non è ancora, così.

    Proviamo a fare la nostra piccola parte con le parole.

    Stefania

  13. Profondo e struggente. Chi legge vorrebbe entrare nella scena ed avvisare i personaggi racchiusi nella loro bolla di necessità e di felicità. Che contrasto fra la tenerezza che lega ogni gesto fra i due protagonisti e la ruvida materia polverosa che invade, contamina e sporca tutti i loro spazi, ma senza intaccare la fiducia in un domani migliore. E i simboli, quei corvi sinistri, l’uovo macchiato da una parte e la bambina che deve nascere dall’altra. Un bellissimo racconto per un argomento attuale e doloroso.

  14. Grazie Marco,

    Un argomento a cui tengo molto, un disastro che purtroppo non è ancora finito. Credo sia importante capire che il pericolo era, ed è sempre, nelle piccole cose. E che anche se noi percepiamo il nero che incombe, continuiamo pur sempre a sbattere quelle uova. Ne abbiamo bisogno.

    Grazie ancora per il tuo commento,
    Stefania

  15. “Posso?” chiede Nicola che sta per entrare in una cristalleria con la potenza di un caterpillar.
    Ho percepito tutta la fragilità e preziosità, la lucentezza e trasparenza dello scudo cristallino in difesa della serenità, a ogni costo.
    Ma la bimba in grembo è la speranza che crescerà forte sensibile e fiera per il coraggio e il sacrificio del suo papà e lotterà per dar voce a chi non può più farsi udire.
    Stefania, bravissima, hai lasciato un’impronta polverosa ma indelebile nella mia memoria, difficilmente dimenticherò questo bellissimo racconto.

  16. Che bel racconto! All’inizio ho pensato: sarà il gesto di svestizione di un malato? Poi ho capito, ma quella sensazione di malattia incombente pervade e persiste. La narrazione arruola gli oggetti e li fa diventare personaggi. L’oscillazione tra il benessere (illusorio) della coppia e il nero che si insinua ovunque, ossessivo e incalzante genera inquietudine, paura per noi. Non ci sarà nessuna nuova vita se moriranno i padri o le madri. Nessuno si salverà, nemmeno Nicola che fuma troppo.
    Complimenti davvero!

  17. Grazie di cuore Silvana

  18. Complimenti. Arrivo per ultimo e non potrei aggiungere altro a quello che ti hanno già detto.

  19. Un racconto bellissimo, struggente, dolce, doloroso, simbolico e attuale. Tutto si fa immagine e sensazione. Si vedono i fiorellini del vestito di Romana. si vede il volantino, si vede la cenere sula tuta di Mario. Ma si vedono anche tutte quelle macchie nere, cattivi presagi che intristiscono e fanno prevedere come andrà a finire la storia. Stile e tramaa perfetti. Complimenti e in bocca al lupo!

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