Premio Racconti nella Rete 2010 “Il mago bugiardo” di Roberto Alba
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2010Ogni volta che ripenso a lei ho il dubbio se fosse realmente esistita. Non viene più a trovarmi. Da pochi anni mi ritrovo ad avere un’unica certezza: soffro di terribili mal di schiena e zoppico. Mi rincuora il fatto che non ho più bisogno di lavorare.
Quando ero piccolo, quando avevo più o meno dodici anni, credevo di possedere poteri sovrannaturali. Non schiantatevi dal ridere, è una cosa seria! Dicevo, i miei poteri – derivati da chissà quale oscuro mistero – consistevano nel poter fermare o accelerare il tempo. Così a scuola riuscivo a far passare quelle noiosissime cinque ore di lezione in un batter d’occhio, e allo stesso modo riuscivo ad ampliare il tempo dei miei giochi: dare calci a un pallone dal pomeriggio al tramonto (quelle mitiche partite a dieci gol si cambia campo!). Il lato negativo di questo mio potere, però, era che spesso ricevevo qualche razione di botte da mia madre, “la fata oscura”. Lei osava lamentarsi del mio modo di contemplare la vita. Mah, a volte penso di aver sofferto parecchio per questa mia incompresa esistenza!
Ad ogni modo, gli anni passarono e mi resi conto che questo mio stravagante potere si era trasformato, persino evoluto: ora leggevo il pensiero. Con le ragazze riuscivo a placare il mio “io” semplicemente osservando distrattamente l’orologio. Si incazzavano, certo: per loro, il fatto, rappresentava una deviante superficialità nel rapporto, e capisco che non vedere l’ora di ritrovarmi con gli amici potesse rappresentare una consistente discrepanza nell’essere considerato un principe azzurro, ma si sa, se quelle non erano né Biancaneve né la Bella Addormentata, io tanto meno possedevo un cavallo bianco e un castello!
Ahimè, mi diplomai nel 1983, anno funesto per i miei poteri. Mi presi un anno sabbatico. Restai chiuso in casa a meditare. Passavo l’intera giornata con un bicchiere al centro tavolo; bicchiere che – con la forza del pensiero e secondo le mie convinzioni – dovevo muove. A anor di cronaca, iniziai con un boccale di birra, ma mi resi conto che, viste le dimensioni e il peso, avrei avuto seri problemi. Provai allora con un flûte di cristallo, più leggero, ma i risultati continuarono ad essere scarsi. Niente. Passai alla plastica, poi al foglio di carta, poi al pezzettino di carta, poi al capello: niente di niente! Mi concentravo il più possibile ma non si verificava nessuna variazione spaziotemporale sull’oggetto. In compenso mia madre urlava: “Mio figlio è matto!”. Povera donna, non sapeva quale genio avesse partorito! Perché io, ero e sono un genio. A furia di sforzarmi nel voler spostare il bicchiere riuscii a sollevare il tavolo. Esatto! Riuscivo, con estrema semplicità, a far lievitare le cose. Il mio potere s’incanalava in verticale e non in orizzontale, potevo sollevare gli oggetti ma non spostarli. Bello, vero? Lo so, immaginate di cambiare la ruota alla vostra auto!
Qualche anno dopo, quando mia madre mi disse: “Figlio mio, è ora che ti cerchi un lavoro!” il problema che mi si presentò – avevo circa trent’anni – fu quello di iniziare la mia carriera di onesto contribuente. Aprii un ufficio in centro: diventati il Mago Azz. Che altro potevo fare se non leggere i tarocchi, e chiacchierare con i defunti? Mi specializzai anche nello sfrattare fantasmi dalle case di nobildonne sole e ricche! In quarant’anni di attività ho sparato tante cazzate che non svelerò la mia identità per paura di risarcimenti milionari.
Nell’ultima seduta che feci – cinque anni fa, prima di ritirami dall’attività – dovetti rispondere alla richiesta di una pedante contessa, ansiosa di sapere se il defunto marito fosse al corrente che lei, in gioventù, l’aveva tradito con il fratello della cognata! Non compresi esattamente il significato di quella richiesta, ma quel che è certo è che capitò una cosa alquanto curiosa: quando mi concentrai, vidi una persona anziana davanti a me, che fluttuava leggera. Mi guardava in modo strano: sorrideva e bisbigliava parole incomprensibili.
La contessa aggrottò le sopracciglia e in tono sorpreso mi chiese: “Che c’è, ha visto qualcosa?”.
Rimasi immobile, con gli occhi sgranati come due melagrane tagliate a metà, fissi su quell’immagine inverosimile. Risposi: “Sì, signora, adesso-“.
Lei mi interruppe, sobbalzò e si mise a urlare in modo isterico: “La voce… la voce di mio marito!”.
“Agata calmati!” le dissi. Ma non ero io! Quelle parole, seppur uscite dalla mia bocca, venivano pronunciate da qualcun altro. Quello spirito sorrideva, sospeso nella forma, come composto da un fumo denso di tabacco mentre s’infilava, per le narici, all’interno del mio corpo. Anche un leggero, ma persistente profumo d’incenso, invadeva lo stanza, in penombra.
“Sei tu, Alfonso?” chiese la signora titubante, osservandomi sotto la luce tenue di una lampada a olio, con un sorriso increspato da evidenti segni di terrore: la palpebra dell’occhio destro le sbatteva irregolarmente e le sue mani tentennavano mosse da un leggero tremore!
“Certo mia cara. Sono io” le risposi calmo, ormai posseduto da quell’anima che continuava a prendersi gioco di me. A questa baldracca tirchia, adesso, ti faccio vedere cosa le combino! mi disse parlando al mio subconscio, mentre la signora mi incalzava con altre domande.
“Come si sta dalle tue parti? Stai bene?”
Ma ti rendi conto che mi chiede, dopo quello che ha fatto?. “Sì, sto benissimo, mia cara. Tu piuttosto?”. Ormai non ero più io. il mio corpo si muoveva con estrema disinvoltura totalmente posseduto da quella entità. Non era solo una sensazione interiore: notai la pelle delle mie mani raggrinzita, improvvisamente invecchiata, come il resto del mio corpo.
Voltai lo sguardo verso lo specchio, posto di lato al tavolino, l’immagine riflessa non era la mia. Sentii un colpo al cuore improvviso e violento. Mi rivoltai. La contessa mi fissava.
“Caro… vorrei che tu comprendessi le ragioni del mio gesto” disse lei abbassando lo sguardo.
“Quale? Dovresti essere più precisa” le risposi senza esitare.
“Cosa ricordi di quella notte?”
Quella nuova parte di me vibrava di rabbia. Alzai la mano per toccarla e lei si ritrasse veloce. “Non devi aver paura di me. Di quella notte ricordo tutto…”
“Tutto?”. Iniziò a piangere mentre lentamente posava la sua borsetta bianca sul tavolino cercando con forza di aprire la cerniera. Il suo singhiozzare si fece più intenso. “Alfonso io… io non volevo”. Parlava e piangeva, cercando in tutti i modi di far scorrere quella cerniera. “Lui mi ha preso con l’inganno… io non volevo, e poi tu… tu non dovevi rientrare quella sera!”
La borsetta non ne voleva sapere d’aprirsi.
“Non dovevi spingermi dalle scale, mia cara, tu e quello stronzo del tuo amichetto” le risposi con un ghigno pieno di soddisfazione.
Smise di singhiozzare e di piangere. La vidi estrarre qualcosa. Il suo viso esplose di una luce diabolica. “Anche la tua anima doveva morire!” mi disse.
Non riuscii a comprendere subito quelle parole, ma quella pistola puntata mi fece uno strano effetto. La parte di me che era quell’altro sguazzava divertita per quanto sarebbe successo, ma l’altra parte… be’ quella se la stava facendo sotto…
La pistola rimaneva incredibilmente ferma all’altezza del mio cuore. Avrei voluto – e dovuto – urlarle: Oh che fai, sei matta? ma quell’altro, dentro di me, muoveva i fili delle mie emozioni esteriori in modo imprevedibile: “Spara e completiamo il piano” le dissi.
Lei mi osservò con meticolosa attenzione e mi fece cenno di stare calmo, non era quella la sua intenzione. Balbettando mi domandò: “Devi solo dirmi dove sono i soldi”.
Esplosi in una fragorosa risata: “Perché, non li hai ancora trovati?” risposi divertito.
Insistette: “Voglio i soldi. Hai promesso!”.
“Mia cara, l’età ti ha reso così venale, anche tu hai promesso.”
Non rispose subito, poi il suo tono si fece insistente; notai un certo nervosismo montarle dentro. “I soldi… tutti quelli che mi hai preso. I maledetti soldi” disse ancora. Percepii chiaramente che quella sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe parlato: le ultime parole, poi avrebbe premuto il grilletto.
Anche quell’altro era alquanto nervoso. Risposi: “I tuoi soldi sono al sicuro. Sapevo che avresti provato a metterti in contatto con me, ma ora devi fare come abbiamo deciso.”
L’espressione di Agata cambiò, la contessa iniziò a guardarmi in modo diverso. Scrutava i miei occhi e cercava me, non il marito. Io non riuscivo a comunicare con lei, quell’altro mi impediva ogni minimo movimento.
“Mi deve perdonare… Mago Azz” mi disse alzando il cane della pistola.
Puttana di una vecchia baldracca mignottona, che cazzo vuoi fare?, pensai in preda al panico.
Poi vidi una fiammata uscire dalla canna della rivoltella e in quell’attimo mi fu tutto chiaro: ero la vittima predestinata della loro macabra messinscena. Lei aveva ucciso il marito senza intenzione, spingendolo per le scale, dopo una lite violenta; lei voleva i soldi che lui le aveva sottratto. Ma con la sua morte era impossibile rientrare in possesso di quella fortuna. Lui le si presentò in sogno; le disse che doveva contattare un medium, che lui si sarebbe impossessato di quel corpo e che, scacciando l’anima con un gesto violento, lui sarebbe riuscito a rinascere, e a quel punto, le avrebbe restituito i soldi.
Rimanevo sospeso a osservare la scena. Il mio corpo, anche se invecchiato e irriconoscibile, giaceva esanime sul pavimento, mentre lei si chinava su di me. Vidi entrare dei dottori. C’era una gran confusione. Una luce violenta mi avvolse…
Non so per quanto tempo rimasi in quella condizione.
Pensai solo per un istante che avrei risolto ogni dubbio sull’esistenza di Dio: Forse lo vedo!, esultai. Ma quella condizione di essere un’essenza impalpabile in balia dei miei pensieri e del nulla mi lasciava sgomento. Rividi la mia vita scorrere in una sequenza accelerata di fotogrammi in bianco e nero, senza sonoro, solo la voce di mia madre era udibile a tratti: mi rimproverava, come al solito!
La luce si diradò lentamente, la stanza era vuota. Tutto era in ordine e non vi era alcuna traccia di sangue. Iniziai a fluttuare leggero. Attraversai la porta senza aprirla, scesi le scale e mi ritrovai nel mio grande salone; non sentivo alcun rumore, ogni cosa taceva. Solo un gatto, goffo e grasso, mi guardava sorpreso accovacciato sopra una sedia. Un corpo giaceva ai piedi degli scalini. Chi sono? mi domandai, senza riuscire ad ammettere la risposta più ovvia. Cosa è veramente successo alla mia anima? È la mia, o solo una parte di questa? Iniziai a schizzare veloce da una parte all’altra della camera, rimbalzando come una pallina impazzita in preda a una totale confusione mentale; se ero morto, ancora non mi ero reso conto come e, la cosa peggiore, non capivo chi ero: perché, come, quello era il mio corpo?
Vidi una donna scendere le scale vestita di una sola vestaglia, accanto un uomo giovane e nudo. Si tenevano per mano.
“Cos’hai fatto! Perché l’hai spinto?” chiese lui.
Lei singhiozzava. Non riusciva a trattenere quel pianto isterico. “Non volevo. Giuro, non volevo…” continuava a ripetere.
Io non ero che un estraneo; così mi sentivo. Allora presi una decisione improvvisa: mi tuffai dentro quel corpo esanime e pregai che succedesse qualcosa.
Provai una fitta e un dolore fortissimo alle gambe e alla schiena poi più niente.
La luce entrava sottile, filtrando attraverso le serrande, in quella camera d’ospedale. I raggi del sole mi colpivano la mano. Provai una piacevole sensazione di calore, finalmente mi sentivo vivo!
Udivo una voce petulante e insistente: “Come stai?”, non smetteva mai di ripeterlo.
Aprii gli occhi. Una donna mi guardava. Era sorpresa e spaventata. “Sei vivo… sono felice!” mi disse.
Sorrisi. “Ciao!” risposi a fatica pur ricordando vagamente chi fosse.
Lei si avvicinò quasi a sfiorarmi il viso e mi sussurrò: “Dove hai messo i soldi?”.
“Quali soldi?” risposi. Mentivo!
In questo concorso ho pubblicato 3 racconti: “Il mio nome non è Oscar”, “La collana di corallo rosso” e questo “Il mago bugiardo”.
Il mago Razz mi rappresenta più di quanto è lecito immaginare. La mia infanzia è descritta in modo preciso o quasi! A dodici anni occupai abusivamente lo stanzino di casa e creai il mio laboratorio magico; facevo le carte e leggevo il futuro con marchingegni tecnici ai miei ignari compagni di scuola: lire 100 a lettura (il costo di un gelato).
Purtroppo rimase solo un gioco… se avessi continuato sarei diventato un grande mago; credo che non sarei mancato all’appuntamento con “Striscia la notizia”!
Mi ritrovo ad insegnare informatica, la mi avita è un’altra cosa.
Un saluto a tutti
Roberto Alba
Impressionante. Bravissimo. Da come hai sviluppato il racconto ritengo che sei un amate di King. Sei riuscito a confondermi sino alla fine. Hai sviluppato una trama complessa in due parti: la prima più da racconto autobiografico, la seconda con ritmo romanzato breve ma efficace. Quando ho terminato di leggere il racconto riflettevo sulla condizione del Mago. Lui è sempre lui ma la sua anima e anche quella di Alfonso? Io ho capito questo. Esatto?
Complimenti ancora leggerò gli altri tuoi racconti