Premio Racconti nella Rete 2018 “La sorella minore” di Silvia Schiavo
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018Lei è di una magrezza esagerata, quasi grottesca, cerco di immaginarmela più in carne, avrebbe un bel viso. È simpatica però, siamo solo io e lei e il tempo in sala d’attesa scorre piacevolmente: parla, parla, parla, finché non mi chiede perché sono qui. Le sorrido a mezza bocca e mi scosto la manica dal braccio, ruotando il palmo della mano in sua direzione. Lei ricambia il sorriso, anzi ride, una risatina nervosa, quasi squittisce: “Figo, io mi rovino da dentro e tu ti rovini fuori!” Riassunto ineccepibile.
Tocca a me ed entro, mentre mi siedo penso di essere a buon punto, perlomeno so di avere un problema, perlomeno ho un problema… In genere io sono la-ragazza-è-più-matura -della-sua-età, oppure wow-tutti-10-a-scuola, nessuno però si chiede perché a quindici anni io abbia la spensieratezza di una quarantenne rassegnata alla vita. Siamo nel 20 d.C. dove C. sta per Cristiano, mio fratello: per la mia famiglia la vita è ricominciata da lui, con la sentenza di malattia emessa alla nascita, a loro la vita l’ha stravolta, a me la vita l’ha determinata: non ero poi così tanto grande quando mia madre mi spiegò “Così non rimarrà solo”.
“Sarai un bravo fratellone” diceva struffandogli i capelli con una mano e accarezzandosi la pancia con l’altra, ottenendo da parte sua un dolcissimo sorriso e un lieve movimento del capo, controllato dal poggiatesta della carrozzina. Cristiano le rispondeva con gli occhi, aveva compreso appieno che di lì a poco sarei arrivata e ne era felice: le guardava il ventre emozionato e lei, interpretando il suo desiderio, gli faceva toccare il punto in cui io avevo sferzato l’ultimo calcetto.
Nostra madre è sempre stata bella come un angelo: il babbo mi ha sempre raccontato che quando cantava in chiesa, mentre la luce che filtrava dal rosone le colorava il volto e i capelli di rosa e blu, incantava tutti con la sua voce. Le forme arrotondate dalla gravidanza, poi, la resero ancora più dolce, di fatto sembrava una giovane Madonna e il suo piccolo Gesù era lì, che la guardava e ascoltava con ammirazione. Molti dalle panche e da sotto i completi della domenica la guardavano con aria compassionevole, bisbigliavano cose del tipo “E se poi viene come lui?” per poi mettersi in fila e ricevere il sacramento della comunione.
Cristiano e il babbo seguivano rispettosamente l’omelia del prete, dalla panca in prima fila e dalla carrozzina che occupava la parte più prossima all’altare della navata destra. Sullo stesso lato cantava il coro ed era la posizione perfetta per vederla e per farsi vedere da lei, che ogni tanto lanciava uno sguardo al libretto dei canti, ma la maggior parte della durata della funzione dedicava occhiate amorevoli al suo dolcissimo bambino. Fu il giorno del quinto compleanno di Cristiano (5 d.C.) che, come un regalo inaspettato, si ruppero le acque con una settimana di anticipo. Giunsi il giorno seguente in un clima di trepidazione e ansia: “Quanto è bella!” si complimentavano tutti. È sana, menomale, pensavano immediatamente dopo.
Mentre gli racconto della seconda gravidanza di mia madre e del mio arrivo mi sembra di dipingere un quadro: anche se ancora non c’ero mi sono immaginata tante volte la mamma incinta cantare, sotto gli sguardi fasulli e giudicanti delle stesse persone che continuiamo a incrociare la domenica a messa. Voglio che lui sappia, che lui capisca quanto è bella nostra madre…
Improvvisamente mi assale un pensiero: “Anche se sono minorenne non chiamerà i miei vero? Se no non ci torno più”.
Ecco, l’ho detto, era necessario puntualizzarlo, anche se mi spiacerebbe non tornare: lui ha l’aria simpatica e un cognome corto, ben abbinato col nome. La targa “Attività Consultoriali” fuori dalla porta te lo fa immaginare in altro modo, poi lo vedi dietro la scrivania con i jeans e le scarpe da ginnastica, uno zainetto all’attaccapanni e ti viene voglia di raccontargli, di raccontarti. Mi risponde spiegandomi della privacy e del segreto professionale, la cosa mi rassicura, quindi riprendo il discorso.
“Pensi di averlo fatto per richiedere attenzione?” domanda dopo avermi ascoltato in silenzio. “Sì, inizialmente sì, ma mi sono subito pentita, anzi, non lo devono sapere. Mamma l’altro giorno è tornata da un controllo e piangeva: ogni volta si chiude in camera, ma la sento”. “E tu non vuoi farla ulteriormente soffrire”. Lo afferma più che chiedermelo.
“Mia madre è come la Madonna, ma non solo bella…” lo sguardo è interrogativo, aspetta che io gli spieghi, così proseguo “Servivo la messa in chiesa e all’offertorio spesso cantavamo quella canzone “Madre io vorrei”
E quante volte anche tu di nascosto piangevi, madre…
Ed io già l’avevo vista farlo, tante volte, anche se lei credeva di nascondere le lacrime. Poi studiammo quella poesia a scuola “Donna del Paradiso”, io mi misi a piangere e l’insegnante non capiva, il testo mi martellava in mente e mi dilaniava il cuore…
Oh figlio, figlio figlio
figlio amoroso giglio
Figlio chi da consiglio
al cuore mio angustiato.
Gesù stava per morire e sua madre si straziava dentro, decisi che mai avrebbe dovuto succedere anche a lei”.
Mi chiede come penso di impedirlo, io gli rispondo che semplicemente ci sarò. “Manterrò la promessa che ho fatto nascendo, penserò a lui anche dopo, perché ci sarà un dopo! Se c’è qualcuno lassù non permetterà che mia madre sopravviva a mio fratello”.
Mi arrabbio un po’, se ne accorge. In effetti io e Dio abbiamo un rapporto che va a fasi alterne: a volte lo rimprovero, a volte lo perdono, a volte mi dico che non è volontà sua.
Con la domanda successiva mi riporta su di me: in effetti è per me che sono andata.
“Esci con le amiche? Hai amiche?” Bella domanda dottore.
Gli racconto dell’ultima volta che sono uscita con le compagne di scuola e, come mio solito, ho portato Cristiano: la carrozzina sul selciato del corso non va granché e a quindici anni ridacchi e vuoi correre, incontro la vita, incontro ai ragazzi. Come sempre, nonostante le scarpe col tacco, ci hanno dato vari metri di stacco e l’uscita in gruppo è diventata un’uscita a due, la nostra solita uscita. Negli occhi di mio fratello leggo delusione, gli sorrido “Chi se ne frega!” e cambio proprio strada. Lo porto al bar, tiro fuori la sua cannuccia e lo aiuto a bere un succo. Nemmeno si sono voltate a vedere dove eravamo… Stronze, stronze come si è a quindici anni.
“Perché tu quanti anni hai?”
Io non ho tempo di avere quindici anni.
Lo penso, lui mi legge in testa e ricalca pari pari la frase. Detta da lui però sembra un qualcosa da rimediare. Di fatto lo so, non ho vere amiche, ma ne vorrei almeno una. Una volta accompagnai i miei a un controllo di Cristiano e feci un bellissimo incontro: una ragazzina della mia età teneva per mano la sorella, la cui carrozzina stazionava in sala d’attesa accanto alla nostra.
“Ti sei sentita vicina a quella ragazza?” “Spero sempre di rivederla. Credo che solo lei potrebbe veramente essere mia amica: ci siamo guardate e c’era comprensione e non compassione”. “Vuoi molto bene a tuo fratello… Ti senti in colpa?” La sua domanda mi coglie di sorpresa, nessuno mai mi chiede se mi sento in colpa, tutti vedono che gli sto accanto e che lo adoro: sono le sue gambe quando gli spingo la sedia e le sue braccia quando lo vesto, a volte sono la sua testa, perché lo guardo e so che pensa, così mi faccio anche sua voce. Ma come fai a spiegare che ti senti in colpa perché sei sana? Perché corri, parli e lui non lo fa? Ti senti in colpa perché a volte vorresti essere malata per ricevere altrettante attenzioni e cazzo se mi succede di pensarlo! Anche se è una cosa orribile. Lo dico… per la prima volta a lui.
A questo punto della conversazione piango, piango e non riesco a smettere, lui allunga una mano verso lo zainetto, tira fuori un pacchetto di fazzoletti e me ne porge uno. Mi spiega che vivo una situazione difficile e che è umano certe volte fare determinati pensieri. Farmi una vita mia non vuol dire abbandonare Cristiano, devo avere i miei spazi da quindicenne. Aggiunge che non devo essere perfetta ad ogni costo e che non devo rendere imperfette le mie braccia per cambiare le cose.
Esco dalla stanza dopo aver fissato il secondo di tanti appuntamenti: inizio a capire che posso fare molto per lui, pensando però anche a me.
-30 d.C.: mi laureo in psicologia.
-36 d.C.: mi sposo con Giulio un mio compagno di studi, andiamo ad abitare accanto ai miei.
– 37 d.C.: inizio a lavorare alle Attività Consultoriali insieme a lui, che continua ad indossare jeans e preparare fazzolettini dentro lo zaino.
– 51 d.C.: stringo una mano a mio figlio, che col coraggio dei suoi undici anni è voluto venire a dare l’ultimo saluto alla nonna, con l’altra asciugo una lacrima a mio fratello. Guardiamo il nostro angelo, quasi sorride, se ne è andata serena: non ha dovuto piangere ai piedi della croce, niente Pietà col volto di mia madre scolpito nel marmo.
Silvia che meraviglia! Tu non sarai mai senza parole…e saranno belle e saranno piene di grazia.
Oltre tutto questo mi resta nel cuore una sensazione profonda di rivelazione quotidiana, umana e triste e di speranza altissima.
Sei meravigliosa mentre precipiti da straordinaria altezza eppur sorridi e ancora non sappiamo che avevi le ali.
Grazie per questo racconto bellissimo!
Gianluca grazie mille! I tuoi commenti stessi sono meravigliosi e emozionano. Io sono quella del bicchiere mezzo pieno, per cui la speranza… Sempre e comunque. Ci sono persone al mondo poi, che le ali se le fanno spuntare ogni giorno, per non precipitare
Molto bello. Mi ha colpito la trovata degli anni, il datarli dalla nascita del fratello, dà proprio la dimensione di come la malattia abbia azzerato la vita precedente, di come l’abbia irreversibilmente trasformata.
Ciao Antonella, grazie per aver dedicato del tempo al mio racconto. L’idea della datazione parte proprio da lì: in queste situazioni si è costretti a rinascere e ripartire. Spesso prima si era e si faceva altro, la vita era altra.
Silvia,
ben ritrovata, sono molto felice di leggere nuovamente un tuo lavoro, soprattutto perché almeno potrò evitare di farti causa :-).
Scherzi a parte, comincio da una riflessione di fondo: ho notato una sottile ma fortissima linea che lega a doppio nodo questo racconto con “Consapevole scelta”. Mi pare che tu abbia la spiccata e rara capacità di fronteggiare vicende umane “scomode” (la donna che rimane involontariamente incinta; la sorella apprensiva di un diversamente abile), scandagliandone il lato più intimo e rapportandolo con l’ipocrisia contro cui molto spesso, purtroppo, chi si ritrova in simili scenari è costretto a confrontarsi. Esemplari sotto questo aspetto i richiami al perbenismo dei parrocchiani ed all’indifferenza delle quindicenni tacco-munite.
Scendendo nel merito del racconto, lo trovo stilisticamente maturo e fluido, dal vocabolario moderno e florido, caratterizzato da una prosa sciolta che permette di scivolare senza appesantimenti in un tema spinoso e quanto mai al passo con i tempi; bellissima e carica di significato la linea di confine che marca le “due vite” della protagonista e della sua famiglia (A.C. – D.C.).
Concludo dicendo che il tuo scritto mi ha lasciato sul palato il velluto della serenità conquistata e nelle orecchie il flauto della speranza: nonostante gli ostacoli della vita, la felicità è lì, a due passi.
Basta saperla rincorrere. E non accontentarsi di essere solamente una “sorella minore”.
Stupendo. Sul serio. Ma non avevo dubbi.
Ti auguro il meglio.
Lorenzo, un grazie immenso (moltiplicato per due) per questo commento, che come gli altri mi fornisce la gioia di aver trasmesso alcune cose a cui tenevo. Di quindicenni taccomunite che cercano di lasciare indietro il prossimo c’è ne sono tante a giro: personalmente preferisco chi indossa scarpe comode per saperti camminare accanto. Mi piace che tu abbia trovato un legame tra i miei racconti,credo che la mia spinta principale verso lo scrivere, egoisticamente e altruisticamente, sia il cercare di rielaborare insieme a chi mi legge alcuni fatti di vita, mettendoci sempre quel pizzico di speranza e anche di autodeterminazione, perché “quisque faber fortuna suae”. Concludo dicendo che il temere di doverti fronteggiare in un’aula, mi ha aiutato molto… 🙂
Ehm… Logicamente “ce ne sono”, nonostante il correttore si ostini a somareggiarci :))
Ciao Silvia, mi è piaciuto tantissimo il tuo racconto! Trovo che tu sia riuscita a condensare in poche righe una vicenda intensa con grande maestria e a rendere vivi i tuoi personaggi. La prosa è scorrevole e fluida e per non ripetere quanto è già stato detto nei precedenti commenti aggiungo solo che ho molto apprezzato sia le bellissime citazioni che hai scelto che il parallelismo che hai creato con la vita di Gesù. Eppure, a parte questi dati “tecnici”, il tuo racconto mi è piaciuto soprattutto perché mi sono emozionata nel leggerlo.
P. S. Un caro saluto a tutti, partecipanti vecchi e nuovi!
Gentile Ivana, intanto ricambio il saluto: sono contenta di aver trovato anche questo anno le parole per riaffacciarmi su questa splendida piazza, perché è un luogo di piacevoli scambi, in cui conoscere belle persone. Le madri che affrontano le malattie dei figli vivono una continua “passione di Cristo” e hanno lo stesso grande tormento, oltre l’immensa forza, della Maria che ci è stata raccontata: combattono quotidianamente contro un destino “segnato”.
Struggente e toccante. Un racconto dettato dall’amore e dal sapersi donare. Una difficile ricerca del proprio io, dei propri spazi e del proprio posto nella societá; una ricerca sofferta ma leale che non dimentica nessuno, ma include.
Grazie Gutro per aver commentato. Parli di ricerca di spazi e io in effetti ho voluto dare spazio a una sorella, che da questo punto di vista poteva essere anche un fratello. Oltre i genitori ci sono anche loro a cui la malattia del proprio caro cambia la vita, ma essendo quelli più “fortunati” (passami il termine) succede di dare per scontato, come forse si è detta varie volte la mia protagonista, che vada “tutto ok”. Invece spesso nascondono dentro un grido: sono in salute, ma ci sono anch’io.
Riesci a far ‘entrare’ nella storia in modo graduale e delicato, quasi ricalcando le dinamiche del colloquio con lo psicoterapeuta. E’ la conferma del valore terapeutico della scrittura (e della lettura): riuscire a mettere in fila eventi e sensazioni in modo da attribuire un orizzonte di senso a cose sulle quali ci si interroga tutti i giorni. E dare un senso alle cose ha l’effetto di rassicurare e sostenere l’animo, soprattutto quando si devono fronteggiare le realtà più dure. Il racconto è molto bello e ha il principale merito di accendere un riflettore sul ‘senso di colpa’ di chi è ‘normodotato’ (sic) ed assume su di sè la responsabilità gigantesca di convivere/condividere la sofferenza di un parente stretto. Chapeau, Silvia!
Ti ringrazio per aver commentato e per l’accurata analisi di uno degli aspetti che ho voluto toccare. A volte, non dico la felicità, ma la cercata serenità è lì davanti e spesso è necessario un intervento esterno per togliere il velo dagli occhi e reagire agli eventi della vita che ci travolgono.
Ciao Silvia!
Ma Silvia… Schiavo tu fai il lettore, e lo domini dalla prima all’ultima riga come fossero fruscianti fruste che muovono l’aria e pensieri, e mescolano fluidi e emozioni, e accendono calore e rossore.
Dai 15 ai 51, una storia con un capo e una coda; il racconto di un’anima chiamata nel mondo per essere amore incantato verso la mamma, amore devoto con il fratello, arrivata per trovare il sorriso nella solitudine e nella sofferenza, per ricreare il suo nido a immagine e somiglianza dei genitori; adottabile questa sorellina
cresciuta in fretta ma bene.
E bene sei tornata, Silvia, sempre più brava, sempre di più.
Però ora mi hai lasciata sola soletta con la pendenza della minaccia di denuncia dell’avvocato più ricattatore della rete….
Ehilà cara Marcella, una che scrive commenti di tal fazione e che partorì tre racconti splendidi e variegati nel tema non può esimersi dal ritornare :). Ce lo devi! In aula confermerò che non sarà stato il cedere a un ricatto, ma il lasciarsi di nuovo trascinare dalla passione per lo scrivere. Perdona l’esordio,ma il tuo commento mi ha messo una tale allegria… Grazie mille e a presto! (manina col pollice alzato)
Bellissimo racconto che denota una sensibilità e conseguentemente una capacità di empatia notevoli, unite ad una capacità di scrittura fluida e senza inutili orpelli che affascina e coinvolge, anche in una tematica così difficile da affrontare come questa. Non ho potuto far a meno di notare, e apprezzare, le staffilate sottili all’ipocrisia dominante i personaggi secondari del racconto, sia in chiesa che fuori, che rendono palpabile lo stato d’animo della protagonista. Non posso che farti i miei complimenti.
Visto che hai apprezzato un mio commento per un altro racconto vediamo se apprezzerai anche questo per il tuo …lo avevo già letto e l’impressione ricevuta era fra i seguenti aggettivi :pirandelliano, pascoliano , eduardiano (del teatro di Eduardo) .Aggiungo ora dopo seconda lettura :Dolente, malinconico , ironico,stoico e perché no..schiaviano.(quest’ultimo aggettivo deve essere ancora approvato dal Crusca al pari del palloso petaloso. Contenta o no?
Ciao Laura, intanto complimenti per la vittoria, il tuo racconto mi era piaciuto tanto! E il tuo commento mi ha fatto “morire” in senso positivo. Anche a me è piaciuto immaginare che l’autore potesse essere un vero sicario, vista la precisazione fatta nel titolo. Sono contenta che tu abbia dedicato del tempo a questo mio nuovo scritto. Sicuramente il termine “schiavoso” suona talmente male che la Crusca non cadrebbe mai così in basso 🙂
Cara Silvia, grazie ma lasciamo perdere la Crusca ed usiamola nel pane..poi sta Crusca non ha mai scritto un tubo, giudica e basta ..eh che P..e! Schiavoso (lo preferisci a schiaviano?) va benissimo, speriamo sia apprezzato dalla giuria di quest’anno ! Incrociamo le ditose..
Eccomi Silvia! Hai disegnato uno splendido personaggio femminile, fragile e forte insieme. E’ un racconto sulla vita che bussa dentro un’adolescente e deve farsi comunque spazio fra sensi del dovere, di colpa, di solitudine, paura e diversità. Descritto perfettamente come negli occhi della gente la diversità contagia tutti i familiari. Scrittura espressiva, immagini belle e efficaci. Mi sono piaciute molto quelle dell’interno chiesa e ho sentito il rumore dei tacchi sul selciato che si allontanavano. Brava e bentornata!
Grazie mille Marco per essere venuto a leggermi e per il bel commento!
Beh, che dire! In questo racconto c’è tutto: il tema, il ritmo narrativo, una calda immedesimazione nei personaggi, l’emozione, ti viene quasi la voglia di essere lo psicoterapeuta che ascolta. Hai una naturalezza e una profondità di scrittura che mi fanno un pò invidia (in senso buono ). Ancora complimenti.
Gentile Marco, ti ringrazio per lo splendido complimento. Trattare di temi che stanno a cuore sicuramente aiuta 🙂
Silvia, dolcissimo racconto, nonostante il dolore che racconta. C’é tutto. E più di così non riesco a dirti…
Grazie mille per avergli dedicato del tempo Ester!
Argomento serio, triste, dolorosamente ingombrante dal punto di vista della sorella minore, ma non disperato. Tantissima sofferenza che riesce a trovare la giusta strada. Sei stata forte a condensare nei tre punti datati in modo originalissimo, il proseguo della vita in positivo. Ti faccio i miei complimenti, ho letto un racconto bellissimo.
Grazie mille Pasqualina, in certi adulti rimangono latenti dei ragazzini a cui nessuno ha mai chiesto “come stai” e in certi ragazzini già vivono latenti degli adulti… Con questo voglio dire che ci sono persone costrette a crescere troppo in fretta, a cui la vita insieme al dolore regalerà comunque forza, capacità e resilienza. Ma credo anche che in cuor loro sentano comunque che è rimasto qualche spazio vuoto, che al tempo avrebbero voluto riempire con qualche carezza in più. Io però per natura cerco di riempire con positività i vuoti e ho voluto un finale positivo, dove anche la perdita della madre è comunque un sollievo, rispetto ad altri possibili scenari. Grazie di nuovo 🙂
L’amore nel suo tutto, proprio. Complimenti, brava, Finale bello e con tutta la luce del d.C.
Ti ringrazio Elena!
Un racconto emozionante, triste, ironico, pieno d’amore. Complimenti. Potrebbe diventare un bellissimo corto.
Grazie mille Laura per avergli dedicato del tempo e per aver commentato!
Carissima Silvia, ho visto scorrere da vicino la storia che tu hai scelto di raccontarci ed è proprio così, “con i suoi vuoti e i suoi pieni”, come dici tu in uno dei commenti che ci regali al tuo racconto, la vita di una sorella minore di un Dio baciato dalla sfortuna. Ed stato un piacere leggerla.
Detto questo sulla plausibilità del racconto che è da apprezzare sempre, anche perché non mi pare scontata mai, mi aggiungo al coro nel ritenere bellissima la trovata della datazione attorno alla quale attorcigli le fila della tua narrazione e sciogli la vicenda della tua protagonista. Belli i lievi tocchi ironici che hai inserito e che permettono di sentirsi vicini a una vicenda altrimenti grave e ben costruiti i dialoghi, secondo me con un vero e proprio salto di qualità rispetto a quelli del tuo racconto dello scorso anno (che mi era sfuggito e mi sono letta ora per il piacere di conoscerti meglio) e che forse erano un po’ piegati all’esigenza di costruire una tesi. In bocca al Lupo per il tuo racconto!
Grazie di cuore Simona per il bellissimo commento!un in bocca al lupo immenso anche a te! Ps. Ho visto solo adesso che avevi partecipato anche tu lo scorso anno. Purtroppo ad ogni edizione i bei racconti sono molti e il tempo per leggerli insufficiente. Ho rimediato… Mi è piaciuto molto! Penso anche io, però, che con quelli di ora hai fatto un grosso salto di qualità. Un abbraccio
Sono arrivato a leggere il tuo racconto perché ho visto il tuo commento al mio e dopo averti letto sono ancora più lusingato del tuo apprezzamento. È un racconto contemporaneamente forte e delicato che forse rivela sprazzi di vita vissuta. Ci si sente coinvolti nella situazione non facile, presente in molte famiglie. Apprezzo molto il messaggio positivo di un futuro possibile anche con un avvio così complicato e trovo geniale questa scansione del tempo costruita sull’età del fratello. Bravissima!
Grazie Akhenaton! Mi piace vedere il bicchiere mezzo pieno, per cui mi premeva lanciare un messaggio positivo. Ci sono poi tanti fratelli e sorelle che in certe storie appaiono come comparse, ma in realtà sono protagonisti, con la totalità dei loro sentimenti.
Ciao Silvia! a parte qualcosa i primissimi giorni non ho fatto commenti e pensavo di restare fedele alla consegna… ma con un racconto così non è possibile 🙂 Eccezionale è la parola che mi serve. Invidia è l’altra, anche se un’invidia molto affettuosa. Il tuo racconto è di una complessità e di una raffinatezza speciali. Ci sono più piani. E’ tutto in 3d, ma di quelli che farlo meglio non si può. Sei bravissima! Troverai queste parole anche su Facebook. In bocca al lupo !
Che dirti Ugo… 🙂 la grande stima che ho dei tuoi lavori e, a istinto, della tua persona, mi fa sentire onorata di un tale commento! Ho tanta strada da fare nel mondo della scrittura, certo è che tento di metterci molto cuore. Di nuovo grazie, anche qui!
Ho amato questo racconto intenso e delicato. Sentimenti dipinti da una penna che pare il pennello di un abile pittore (di stati d’animo).
Grazie di cuore LauraBi per l’altrettanto delicato commento.
Grazie Silvia per avere condiviso il senso del mio racconto.
Leggere il tuo dà una grande serenità, come una luce in fondo al tunnel per chi vive situazioni simili.
Grazie a te Francesca per aver dedicato del tempo al mio racconto. Mi piace pensare che è possibile essere sereni anche in situazioni difficili, se si trova il giusto approccio.
Cara Silvia, intanto complimenti perché il tema credo sia tra i più difficili da trattare narrativamente parlando. Il fratello esiste come il centro di un gorgo su cui girano intere esistenze per l’intera vita. Persone che sopravvivono con la forza della fede molto spesso… brava e coraggiosa. Non so quanto ci sia di autobiografico in questo testo ma ci sono passaggi molto belli.
“Figo, io mi rovino da dentro e tu da fuori”! per esempio, mi è piaciuto tanto. Dice la difficoltà degli adolescenti…lì fermi in attesa di essere ascoltati per motivi diversi ma che portano sempre ad una rovina…Grazie per questa storia
Grazie mille Germana per la profondità del tuo commento. Da quando ho ricominciato a provare a scrivere metto sempre, anche se sotto diverse forme, qualche pezzettino di me, cosa che credo, più o meno consapevolmente, facciamo tutti noi, riuniti in questa piazza.
Alle volte i genitori affidano “missioni” senza rendersi conto del malessere che iniettano, quasi ad ucciderti. Ho letto più volte questo tuo stupendo racconto e tante volte per pudore non ho scritto alcun commento. Hai toccato davvero le mie corde più sensibili. Mi piace il modo con cui la protagonista elabora il suo dolore e si “salva” non con una vita ritagliata ma con una vita piena di affetti nei quali trova posto sempre a pieno titolo anche quel fratello, figlio di un dio minore. Inutile dire che mi piace il tuo modo diretto e sincero di scrivere, senza la ricerca di frasi vuote ad effetto, la frase finale davvero stupenda.
Ciao e grazie di cuore Anna Rosa! Riguardo la frase finale, vuole essere un pensiero a tutte quelle madri che hanno dovuto provare quel dolore… E da mamma non oso immaginare. Sono tornata a leggere i tuoi racconti e ho provato a rispondere alla domanda che mi avevi fatto, ma che ho notato solo ora… Il guaio è che non so scegliere: mi piacciono entrambi 🙂
Complimenti per la buona scrittura e per la bravura nella capacità di condensare, nel racconto di una seduta, la storia di una vita condizionata. L’esperienza di conoscere persone che vivono accanto a familiari disabili trattandoli quali CAMPIONI, mi ha reso una persona migliore, e questo tuo racconto evidenzia come ci siano diverse prospettive di visione e di modi di affrontare la realtà.
Grazie di cuore Ilaria per il tuo commento. Ci sono realtà talmente complesse e coinvolgenti che per forza di cose possono essere vissute in mille modi differenti
Una bella e difficile stopria che mi ha riportato molti ricordi, complimenti Silvia,
Patrizia
Grazie mille Patrizia!
Complimenti Silvia. Tema difficile da affrontare. Apprezzo molto l’imparzialità del punto di vista e la capacità di essere contemporaneamente “vicina” a tutti i tuoi personaggi.
Ciao Giada, grazie per il tuo commento, purtroppo ancora non avevo letto il tuo racconto, ma ho rimediato!Avevo molto apprezzato anche quello dell’anno scorso :).
Brava Silvia! Un racconto dove parli con disinvoltura di un tema delicato e che fa riflettere
Ti ringrazio Claudia,il tema non è semplice lo so. Ho cercato di dar voce a determinati sentimenti, tramite la giovane protagonista. Gli adolescenti spesso riescono a drammatizzare e sdrammatizzare al contempo, a causa della loro forza/fragilità.
Un racconto insolito e struggente
Grazie Emanuela per aver riesumato il mio racconto dello scorso anno :). Ci sono molto affezionata!