Premio Racconti nella Rete 2018 “Sesto senso” di Penna Bilama
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018«Secondo te, che cosa si staranno dicendo quei due?»
È il loro gioco preferito quando escono insieme a cena.
Cercare di intuire le vite delle altre coppie sedute ai tavoli è ancora una sfida molto intrigante per Enzo e Marisa, che pure si conoscono da più di dieci anni. Un sottile incrocio di intuizioni, osservazioni, ragionamenti prende di mira le sagome degli sconosciuti avventori in una contesa che i due ingaggiano per il piacere di misurare la loro complicità e il senso di reciproca appartenenza. Uno dei numerosi diletti che la coppia ha inventato e collaudato, settimana dopo settimana, anno dopo anno, per condire con un tocco speziato le cene del venerdì sera, faticosamente ritagliate nel dedalo delle faccende quotidiane.
Pareti in pietra, ambiente né troppo grande, né angusto, tavolo in posizione decentrata ma con visuale sul resto della sala. Il ristorante, scelto di volta in volta con la massima cura, diventa quasi un luogo sacro. Un rifugio salvifico che trasforma l’incontro nel ‘loro momento’, il momento in cui sentono di poter riconquistare a piene mani le loro vite e scandagliarle in profondità, riflettendole, per affinità o per contrasto, nelle storie degli altri.
«È da tanto che non si vede una coppia così da queste parti, non credi?» Marisa indirizza lo sguardo discreto di Enzo verso l’angolo in fondo a sinistra della saletta. Enzo, colto con gli occhiali calati sul naso nell’atto di scorrere la carta dei vini, si concede il tempo per mettere a fuoco i due soggetti, intuirne le caratteristiche essenziali, la postura e le espressioni del volto per poi dirigere gli occhi sulla sua donna. Anche stasera il bersaglio è individuato. Appoggia gli avambracci sul bordo del tavolo e, congiungendo le mani, una ricurva sull’altra, si atteggia a conversare nell’attesa del cameriere.
Nel mirino dei due questa volta è finita una coppia composta da un uomo brizzolato, dall’aspetto fine, ben sopra i sessant’anni, e una ragazza poco più che ventenne, in elegante abito da sera rosso.
«Mi sa che hai ragione. Davvero una bella differenza di età». Marisa, come sempre rilassata, ma seduta in modo più impettito rispetto al suo commensale, schiena dritta e antenne puntate verso le vibrazioni del mondo circostante, annuisce sgranando leggermente gli occhi, con l’aria di chi ha intuito che stavolta in ballo c’è qualcosa di ‘importante’. «Non per fare i moralisti, figurati…» esordisce lei, quasi trattenendosi. «Già… di questi tempi poi…», prosegue Enzo, mentre l’altra incalza: «Guarda con che tenerezza lei mostra di guardarlo, fisso negli occhi, incantata, come se fosse un dio». Enzo decide di accendere la miccia e, recitando il copione della finta ingenuità, domanda: «Come fanno ragazze così giovani ad affidare il proprio cuore a personaggi come questi?» Marisa, pur non perdendo il suo contegno, sferza sottovoce: «Come fanno? Soldi! Potere! Carriera! Come fanno? Tu credi veramente che lei faccia sul serio? Tutta quell’ammirazione che le si legge negli occhi è solo una sceneggiata. Lo si riconosce da un miglio! È una delle tante carrieriste disposte a tutto pur di raggiungere i loro obiettivi. Non vedi che sguardo determinato ha? Non vedi che sicurezza ostenta nei confronti del suo interlocutore, come se lo conoscesse da capo a piedi?» Enzo annuisce silenzioso, mentre con un cenno richiama l’attenzione del cameriere. Marisa liquida frettolosamente la sua ordinazione: «Filetto di maialino speziato anche per me, grazie». E prosegue la sua tirata: «Sono anni che ho smesso di pensare alla favola dell’orco cattivo e della fanciulla rapita. Queste sono delle iene, perfette calcolatrici, altro che!» Enzo a quel punto ribatte: «A me colpisce l’aria che ha lui, il vecchio marpione che ostenta naturalezza nel portare a cena una ragazza molto più giovane. Mi vergogno anche un po’ per lui, per il fatto che non lascia trasparire un minimo senso di colpa… che ne so… un certo imbarazzo… nulla. Per lui ormai è tutto naturale. Si vede che è una pratica seriale». «Chissà che ricompensa le spetta a fine serata…» chiosa inesorabile Marisa, che, dopo un’altra occhiata furtiva verso la coppia nel mirino, spalanca di nuovo gli occhi, questa volta con più decisione, e dice: «Vedi come le stringe la mano e la accarezza? Ti rendi conto di quanto siano capaci di fingere complicità le persone?» A quel punto tocca a Enzo rivolgere un altro paio di occhiate intermittenti ai due e lanciare l’allarme: «Aspetta, aspetta, mi pare… ecco qua… come volevasi dimostrare… voilà! Pacchettino regalo e la preda è nella rete!» Marisa, a quel punto, molla ogni freno, sibilando: «Vecchio porco. Chiamiamo le cose per quello che sono. Uno così è solo un vecchio porco». Sorride compiaciuto Enzo: «E come altro lo vuoi chiamare?» E così vorrebbe chiudere la conversazione, lasciando intendere che a quel punto, emessa la sentenza, sarebbe meglio dedicarsi ad altro.
Il suo sguardo, però, si imbatte subito in una scena che gli appare in naturale connessione con quanto ha già visto. Varca l’ingresso della saletta, passando sotto l’arco in pietra, una donna oltre i cinquanta, seguita subito da un giovane che sembra non aver compiuto i trent’anni. Lui, con grande garbo, la accompagna al tavolo, scosta la sedia per farla accomodare e, con premura, si assicura che la posizione del coperto sia quella giusta affinché tutto sia perfetto per lei. Poi, solo dopo aver preso accordi con il maître ed essersi assicurato che non vi siano incomodi, si siede di fronte a lei.
Enzo coglie l’occasione al volo per rilanciare la conversazione: «Meno male che ogni tanto si vedono cose che rassicurano e fanno riscoprire i vecchi valori, quelli che non passano mai». Marisa ha seguito con gli occhi tutta la scena e intuisce: «Già. Sembrano essere arrivati apposta per farci dimenticare lo sconcio che abbiamo visto prima. In fondo, che cosa c’è di più profondo, di più autentico, di più limpido dell’affetto di una madre verso suo figlio?» E aggiunge: «Se non fosse per la somiglianza, che pure è notevole, ci sarebbero altri centomila indizi che ti farebbero individuare una madre e un figlio in mezzo a una folla di persone». Enzo ancora una volta annuisce sornione, mentre accenna al cameriere la richiesta del conto. Marisa si infervora: «Non saprei dirti… è un gioco di sguardi, è un’intesa sottile, ma aperta al mondo, è un abbraccio che continua anche a distanza, è un affidarsi di lui e un tenero cullare di lei. È il naturale proseguimento dell’abbraccio della madre al neonato». Il tono di Enzo si fa quasi religioso: «È uno spettacolo della natura vedere come queste cose non abbiano tempo. In fondo, si è madri e figli a ogni età. E la bellezza di questo rapporto è visibile agli occhi di tutto il mondo, non può sfuggire a nessuno…».
La voce di Enzo sta per incrinarsi per la commozione quando Marisa lo interrompe per ricordargli che si sta facendo tardi: «È il momento di andare. Non vorremmo far tardi anche oggi? I bimbi ci aspettano!» e lancia il suo solito sguardo complice all’uomo, che sorride con un filo di pudore.
Il rapido dopocena sa di sigaretta e freddo umido sulle gote e sulle mani, mentre il traffico del viale antistante va diradandosi. Per i due, quel congedo frettoloso nel ristretto spazio che separa la fila esterna di siepi e le vetrate del ristorante ha sempre un sapore particolare. Un ritorno al quotidiano e, al contempo, la promessa di un nuovo incontro, in cui il gusto del proibito si intreccia con l’intimità della consuetudine: «Allora, ispettore, la prossima chiamata d’emergenza notturna?» provoca Enzo. «Martedì, alle due di notte, puntuali. Tentativo di rapina con successivi rilievi. C’è da stare in ballo fino all’alba» rilancia Marisa, che espone con il consueto metodo il suo programma: «Mercoledì mattina non sarò in Commissariato, prenderò un giorno di congedo, perciò possiamo prendercela comoda, compreso il caffè al risveglio…». Enzo ridacchia: «Congedo per motivi di famiglia, immagino». «Il piccolo Cristian con la febbre alta, la baby-sitter in giorno di permesso e il fessacchione del papà fuori per lavoro» puntualizza Marisa, mentre leva gli occhi al cielo e congiunge le mani in una maldestra parodia della madre in apprensione. Subito dopo, lei veste il suo volto di un’espressione indagatrice e inchioda l’interlocutore alle sue responsabilità: «Lei, invece, dottore, dove sarà martedì prossimo, tra le 2 e le 7 del mattino? Il suo alibi è credibile?» Enzo non si fa sorprendere: «Intervento d’urgenza per una peritonite con complicanze. Paziente di un certo livello… parente stretto dell’Assessore alla Sanità… urge non sfigurare» e i due esplodono in una risata a lungo trattenuta. «Ma come te le inventi? Parente stretto dell’Assessore alla Sanità… Cose come queste non le sento nemmeno durante gli interrogatori. Roba da professionisti… Capisco come in tutti questi anni quella santa donna di Marzia e il piccolo Ale non ti abbiano scoperto. Hai proprio una faccia di…» e l’epiteto viene bruscamente troncato dalla comparsa, sulla soglia della porta d’ingresso del ristorante, dell’uomo anziano e della ragazza con il vestito rosso.
Enzo e Marisa si ricompongono in un silenzio colmo di malcelata malizia. Tenendo in basso la sigaretta, fanno per guardarsi negli occhi mentre seguono i movimenti dei due: l’uomo anziano apre la portiera della sua auto dal lato del passeggero e fa accomodare la ragazza richiudendo con garbo, poi fa il giro intorno alla vettura continuando a tenere gli occhi su di lei attraverso i vetri e infine sale a bordo. Quando i due sono partiti, Enzo e Marisa incrociano per l’ultima volta i loro sguardi ammiccando all’unico, scontato esito possibile della serata di quei due. Poi si salutano, con la consueta formalità di facciata, per non dare nell’occhio.
All’interno del ristorante, nel frattempo, la donna sopra i cinquanta, in un momento in cui nessuno la guarda, estrae dalla borsa una piccola busta chiusa, la poggia sul tavolo con grande naturalezza e, coprendola con il palmo della mano destra, la fa scorrere fino a intrecciare la mano sinistra del suo commensale. Questi fa un breve, elegante cenno di ringraziamento e, sempre con grande discrezione, solleva la busta mettendola nel taschino interno della giacca, sussurrando, con un sorriso molto professionale: «Quale albergo stasera, cara?»
L’uomo anziano e la ragazza, intanto, sono in macchina, fermi al semaforo, e lei, con gli occhi umidi, guarda il suo cavaliere e dice: «Grazie, papà, per la magnifica serata. È stato molto carino da parte tua voler festeggiare così la mia laurea. Sono certa che mamma, che ci guarda da lassù, sarebbe orgogliosa per quello che hai fatto stasera. Sono la figlia più fortunata del mondo».
Enzo e Marisa si allontanano, ognuno per la propria strada, verso le rispettive auto. Marisa conta le ore che li separano dal prossimo appuntamento. Enzo sta già elaborando la prossima scusa ‘creativa’ da formulare per coprire il prossimo week-end, che i due trascorreranno a Positano.
Appena entrata in macchina, prima di accendere il motore, Marisa getta uno sguardo distratto ai messaggi sullo smartphone. Ce n’è uno in particolare che attira la sua attenzione, il più recente. L’ha appena inviato Enzo: «Pensi che finiremo all’inferno?»
Con un sorriso benevolo Marisa lascia per un attimo la chiave, già inserita nel cruscotto, e si sofferma a rispondere, stando al gioco: «Ne dubito. Piuttosto penso che a noi toccherà il limbo. In fondo siamo come due bambini che giocano a nascondino, senza fare del male a nessuno».
Poi, dopo aver riflettuto un istante, aggiunge: «All’inferno ci vanno i peccatori veri, come quei due che abbiamo visto stasera. La fortuna che abbiamo è quella di saperli riconoscere al volo. E questo ci salverà da ogni dannazione, in questo come nell’altro mondo».
Cercare di intuire le vite delle altre coppie sedute al ristorante durante i loro incontri clandestini è il modo con cui Enzo e Marisa evitano di decifrare il senso della loro “storia”. In questo gioco di affinità di giudizio rivelano tutta la propria miopia: il loro sesto senso, deformato dai luoghi comuni di chi “conosce il mondo” non è più in grado di percepire i veri sentimenti neanche l’amore filiale e paterno, per i veri sentimenti si deve essere disposti ad uscire dal limbo, essere disposti al “peccato” di una scelta.
Li trovo molto veri questi due, anzi, credo di averli trovati anch’io qualche volta al ristorante :). Mentre avevo intuito da subito l’equivoco amanti/padre – figlia e l’illusione madre-figlio, mi ha sorpreso scoprirli quali due “birbaccioni”. Mi avevano ingannato come coppia sposata e annoiata. Molto simpatico e scorrevole e la considerazione finale la dice lunga su come le persone si diano alibi per non vedere le travi nei propri occhi, cercando sempre pagliuzza in quelli degli altri. Complimenti!
La scrittura è tra le poche cose che permettono di realizzare cose leggere che vanno in profondità.
Ringrazio Anna Rosa e Silvia per aver colto questo tratto.
Da ruvido apprendista quale sono, per me è già una bella soddisfazione, che dà un senso a questo piccolo esperimento… e anche al mio pseudonimo.
Un “corto” (starebbe molto bene anche in quella sezione) in agrodolce con due saputelli ben tratteggiati e ben sbugiardati davanti al lettore. Certo, se la capacità diagnostica di Enzo e quella investigativa di Marisa riflettono quelle delle due rispettive categorie…
🙂
Penna (a proposito, nome meraviglioso :-)),
ho letto con piacere di questa cena a base di ipocrisia, saccenza e falso perbenismo.
Il tuo stile, molto raffinato nella scelta dei termini e nell’architettura del periodo ma mai artefatto o autocelebrativo, si presta alla perfezione per svelare man mano, con i tempi giusti, i trabocchetti ed i tranelli di una realtà molto più complicata di quel che può sembrare di primo acchito.
Azzeccato e d’impatto il finale; come dire: cerchiamo di disinfettare la coscienza prima che sia marcia :-).
Veramente molto bravo.
Grazie, Lorenzo, anche per i complimenti riguardo al nome. Se proprio volessimo divertirci, mi piacerebbe che questo tipo di scrittura funzionasse come un rasoio di una vecchia pubblicità: la prima lama, quella della leggerezza, solleva il ‘pelo’ dell’apparenza, la seconda, quella del disvelamento, lo recide in profondità. Ma detta così sembra troppo seria… in fondo siamo come bambini che giocano…
Persone sbagliate che si credono giuste e si sentono autorizzate a giudicare oppure solo persone che cercano i peccati altrui per coprire e perdonare i propri? Comunque sia la risposta è la condanna esplicita che emerge dal dialogo finale… è bello quando un autore ti permette una certa libertà d’ interpretazione in quel che leggi… Il racconto è scorrevole e ben strutturato, non manca nulla! È stato un piacere leggerlo!