Premio Racconti nella Rete 2018 “Le estati lontane” di Fabio Baronti
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018Mi ricordi il mare
non per i riflessi
per il sugo andato a male
il qualunquismo dei discorsi
sotto l’ombrellone
il sudoku che non torna
e quello che era scritto a penna
è già da cancellare
Daniele Silvestri – “A me ricordi il mare”
Mi piaceva andare lì.
Tutti lo chiamavano Ciso, magari poi lo fu anche per me. Prima di tutto, per me, lui era quello del pane. Chissà a che ora si alzava di notte, mi chiedevo, se dava un bacio in fronte al suo piccolo, se richiudeva piano la porta di casa per non far rumore prima di salire sulla sua Ritmo grigia. Certo era quel contrasto, una specie di mix, tra il profumo di pane, salsedine, creme solari al cocco. Libertà. Tutta la via profumava con la sua arte, mi piaceva pensare ai risvegli di quelli che abitavano lì: impagabili. Da Ciso mi portava ogni mattina papà perché lì e solo lì trovavi le rosette più buone. A me metteva di buon umore entrare in quel posto. E non solo per il fatto che fossi in vacanza.
Partivamo sempre appena dopo la fine delle scuole, le giornate migliori quelle con più ore di luce, come piaceva a mia madre. Caricavamo sulla vecchia Uno tutto il necessario per i canonici quindici giorni, soprattutto i giochi da spiaggia. Imboccavamo l’autostrada al tramonto e arrivavamo a Cavallino-Treporti con le luci della sera quando io già dormivo; era quello un modo per evitare le lunghe colonne sotto il sole cocente. Puntuali, il mattino seguente appena dopo colazione, eravamo già in panificio. Dietro la porta che si apriva sempre accompagnata da un sonoro dlin, Ciso era in piedi davanti a noi vestito con la divisa completamente bianca da lavoro. Bianca come le sue mani farinose. Sotto i suoi baffoni neri, egli era una persona dall’animo gentile. Stringeva mio padre con quelle sue grosse braccia abituate allo sforzo e mi regalava come sempre un panino con l’uvetta e io mi chiedevo perché. “Tieni campione, che devi crescere!” mi diceva a gran voce, mentre io osservavo la penna perennemente appoggiata sopra il suo orecchio destro, il crocifisso che cercava di farsi spazio sul petto villoso e le note, immancabili, di Celentano mettevano di buon umore le giovani spose abbronzate che ogni mattino entravano disinvolte con le chiome fresche di lacca. E Ciso, da perfetto latin lover, Ciso, apprezzava quei rotondi fondoschiena. Quelle forme che forse avrebbe voluto plasmare usando le proprie mani come già faceva abilmente con rosette, mantovane, ferraresi, panini al latte, panini all’olio, ciabattine croccanti. E poi tutti quei piccoli sacchettini di carta marrone coi nomi scritti sopra di fretta a penna, da consegnare al giovane garzone in motorino, pronti per le tavole dei residenti o di qualche ristorantino affacciato sulla laguna. Chi nella vita non ci è passato almeno una volta, dico una, da Ciso? Nei suoi occhi, fatti di tante aurore, c’era l’azzurro del mare. Quella pelle increspata di rughe che come onde si spingevano fino a infrangersi su quel suo contagioso sorriso, tipico della gente che vive nei posti di mare, lo rendevano una figura caratteristica, quasi mitologica. Alcune volte mio padre lo invitava a cena nel nostro campeggio. Grigliava pesce per l’occasione, anche se a me non piaceva. Però ci stava giusto. Ciso arrivava con sua moglie e Paolo, suo figlio dai mille riccioli in testa. Ricordo che avevamo pressappoco la stessa età io e lui, ci piaceva l’Uomo Tigre. A tavola si apparecchiavano vari argomenti. Tra i tanti, sentivo spesso parlare di caserma, militari, comandante, Friuli. Si finiva sempre tardi in quelle occasioni, tanto da concedere a Ciso solo qualche ora per il riposo, prima di riprendere a infornare.
Di quel luogo di mare io amavo la libertà. Più di tutto lei mi entrava dentro fino a impossessarsi del mio corpo, fino a possedermi. In quei giorni vivevo in un modo completamente diverso, a stretto contatto con la natura. E non era cosa di poco conto per un animale d’appartamento quale ero. Il mio spazio chiuso era infatti una tenda, che mi serviva solamente per dormire la notte. Da dentro, prima di prendere sonno, mi cullava lo sciabordio delle onde del mare. Fuori, sopra gli alti salici bianchi, il chiarore della luna mi acquietava brillando alta nel cielo buio. La mattina invece, era il canto degli uccelli a destarmi. Appena dopo colazione, inforcavo la mia BMX e con papà al mio fianco percorrevo via Fausta verso Nord guardando con una certa diffidenza la segnaletica che ci separava dalla più nota Jesolo, che ai miei occhi inspiegabilmente si scriveva con la J e non come si pronunciava, con la I. Nel lungo viale alberato ammiravo le villette dei residenti che si affacciavano una dopo l’altra. Mi piaceva notare l’erba fresca tagliata alla perfezione, le fioriture e il profumo delle piante da frutto, la grande varietà di colori nei gerani riposti con cura sui bianchi davanzali. Alzavo lo sguardo e mi sorprendevano ogni volta gli strani camini al contrario, a forma di campana storta, nell’inconfondibile stile veneziano che svettavano sul cielo azzurro e terso. Respiravo la frescura del mattino mentre papà accennava un timido Vecchio Frack e davanti ai miei occhi si apriva il grande maneggio. Un effetto non da poco tutto quel verde, quella ruralità delle contrade picchiate ai fianchi dal torrido sole. Quelle piccole chiese quasi emerse in quei borghi storici che iniziano tutti per Ca’. Un contrasto di silenzio, di ritmi lenti e, di là, il mare e il suo impeto, la sabbia calda e lo straniero vociare dei turisti. Mi chiedevo come fosse lì in inverno, quando sarebbe calato il sipario sulle vacanze di tutti e il mare restava da solo, immerso nel freddo dei ricordi impressi su sbiadite cartoline. Forse era un po’ come quando dovevamo smontare tutto e rimetterci in viaggio verso casa, nella tiepida luce del tramonto e una lacrima nascosta sempre sotto la canotta.
Non feci più ritorno in quel posto. Le mie estati adolescenziali avevano preso i binari di Rimini e Riccione per poi col tempo volare spesso low-cost nei villaggi di Ibiza, Santorini, Minorca, Miami anni dopo. Ma in nessuna di queste ultime destinazioni ho mai ritrovato quella calma, quel senso di appagante totalità e armonia provate nella piccola località balneare veneta. Dopo la morte dei miei genitori non avevo più alcun riferimento di Cavallino-Treporti e di Ciso. Le mie memorie erano confinate in sfumature di ricordi e nulla più. Ero di strada per lavoro giorni fa, andavo a memoria, erano anni che. Niente. Google Maps. Niente. Ho chiesto a un passante, un vecchio col bastone e la coppola in testa: ricordava a parole stentate un panificio della sua Gallipoli. Niente. Ciso è diventato Slot2000. Non ci ho mai messo piede, là dentro. Il profumo del pane, quel profumo buono, quotidiano, insostituibile, lo voglio custodire dentro i miei ricordi d’infanzia. Del mitico panettiere baffuto non ho più avuto notizie. Mi piace ricordarlo non invecchiato, ancora come lo conobbi da piccolo, perché in fondo le persone che incontriamo da bambini le portiamo avanti nel tempo con quel ricordo là, quasi fossero immortali. Mentre il mare, quel mare, è ancora qui davanti ai miei occhi ora, talvolta lento, a tratti impetuoso e scorbutico. Il mare, come diceva mio padre, dentro si fa sempre sentire.
Un bel racconto che ci fa vivere le atmosfere lontane dell’infanzia e il sapore delle piccole cose, quelle di cui da “grandi” perdiamo il senso presi da mete turistiche che si vivono in modo “liquido”. Complimenti
Grazie Anna Rosa!
I ricordi devono restare ‘dolci ‘ e ‘dentro’.Guai a volerli materializzare, Come estrarre succo dal cuore, o dal mare, che mi pare più appropriato, nel tuo caso.Il ricordo così, si fa sempre sentire.Il tuo racconto mi ha colpito molto e dentro, facendomi riflettere sui miei ‘mari’.Piccola nota polemica: Spero tu mi risponda, perché quest’anno stranamente molti non rispondono ai commenti fatti sui loro racconti.Va via la voglia.Vist la tua sensibilità, penso non sarà il tuo caso!
Molte grazie Laura. Ho voluto scrivere un racconto così per contrapporre la dolcezza dei ricordi con i tempi moderni. Un caldo panificio con i suoi profumi viene rimpiazzato da una fredda sala slot. L’unica certezza resta il mare, quello che ognuno porta dentro e che si fa spazio proprio tra la memoria.
Il mare scorbutico: bello questo accostamento ??
Scusa, è la seconda volta che mi succede, avevo messo una faccina sorridente e si è trasformata in punti interrogativi, sarà la mia tastiera gulp!
Grazie Antonella! W la tastiera gulp!
Il tuo racconto mi riporta ai miei anni ’80 (probabilmente abbiamo circa la stessa età). I ricordi più belli e particolari che ho sono legati alle mie estati di bambina e al profumo del forno nel mio vecchio quartiere, che sentivo tutte le mattine e che è impossibile ritrovare nei grandi ipermercati di oggi. Grazie per questo bel salto nel passato, effettuato con maestria nel trattare le parole. Chissà se Ciso ricorda quel bambino…
Proprio così Silvia, probabilmente abbiamo la stessa età. Il profumo delle cose, così per come avviene con la musica, ha un grande potere evocativo. Grazie per le tue splendide parole, mi fa molto piacere ti sia piaciuto il racconto! Grazie molte.
Tutti abbiamo avuto nelle nostre estati un Ciso o qualcosa di simile e tu mi hai fatto rivivere quel profumo. Bello!
Grazie mille Marco! Mi fa piacere tu abbia ritrovato qualcosa di te nel mio racconto! Grazie!
Che bello assaporare i ricordi, i migliori e i più veri, quelli dell’ infanzia! Credo che in ognuno di noi, bambino, ci sia stato un Ciso, e nei più fortunati dei nostri figli, quello che hanno avuto la fortuna di passare delle vacanze in luoghi che ancora oggi possiamo paragonare a quel lontano Cavallino-Treporti, un Ciso possa ancora esserci! Bel racconto, tutto da gustare, come una pagnotta di Ciso! Bravo!
Grazie di cuore Aurora! Le tue parole mi fanno un immenso piacere.