Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2018 “Fuliggine” di Oscar Tison

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018

È arrivata anche oggi, come ieri e come da molto tempo, e come ieri e come da molto tempo, forse da mesi, forse da più, la ignoro. Anche oggi si è presentata lasciando filtrare dalle fessure degli scuri chiusi qualche sottile linea di luce, tenera, accattivante. Io socchiudo gli occhi e guardo, capisco che sono cenni di invito, gli stessi cui un tempo non sapevo resistere, ma è un tempo lontano, tanto lontano che quando ci penso mi pare sia appartenuto a un altro e provo vergogna, come se stessi spiando un’intimità cui non ho diritto.

Anche oggi è arrivata una di quelle giornate che non mi appartengono, una giornata presa in prestito e che devo stare attento a maneggiare con cura: la devo restituire intonsa. Anche oggi è una giornata di giugno, come ieri, come da molto tempo, e, con le poche forze che il sonno mi ha restituito, riesco ad alzare la coperta fino a coprirmi gli occhi e la testa per poter reimmergermi nel buio e continuare il sogno.

Questa cosa mi fa impazzire. Questa faccenda del sogno.

Non ci facevo caso, all’inizio. Sono (ero?) un uomo razionale, c’è il bianco e c’è il nero, ci sono le strisce per attraversare la strada e se io ci cammino sopra, ti fermi. Se tu attraversi la strada come se fosse tua, dove le strisce non ci sono, ti centro. No, non l’ho mai fatto, ci mancherebbe. Ma l’ho pensato. Scusate i miei cambi di umore.

All’inizio, dicevo solo: “Che strano sogno” e mi reimmergevo nelle mie certezze. Forse per questo, per non averlo considerato con l’attenzione che merita, piano piano si è intrufolato nelle mie ore, senza che io ci facessi caso. È subdolo, il sogno. Ora so che è l’essenza più pura di quello che sono, ma è tardi. È tardi per tutto, per chiedere scusa alle rose ed al pane, per aver strappato le rose e buttato il pane, per i giorni di aprile che ho perso correndo verso l’autunno.

“Tonio è impazzito.” Dicevano piano i colleghi quando pensavano che non potessi sentirli.

Allora in ufficio non ci sono andato più. Certo, ho sbagliato a voler raccontare loro cosa mi stava accadendo, cosa volete capiscano quei quattro cafoni ignoranti… Scusate. Sbalzi d’umore. Comprensibili, sono certo capirete. Tutto è cominciato un giorno che non pareva essere diverso da tutti quelli che l’avevano preceduto, e non lasciava sperare in un avvenire migliore. Ero stanco, ero molto stanco quando mi sono buttato sul divano di casa e ho cenato con un glen grant, pure single malt, mi piace solo quello, color giallo paglierino come la pipì accidenti… Scusate di nuovo. Cercherò di mantenere la calma, la coperta aiuta, voi che leggete Linus lo sapete. Ero molto stanco, dicevo, e mi sono addormentato sul divano senza finire il liquido ambrato, il mattino dopo avevo il tappeto ubriaco. E ho cominciato a sognare. Non ci sarebbe nulla di strano, capita a tutti, mi dicono. Non fosse che. Ho dormito undici ore filate e durante quelle undici ore ho rivissuto momento per momento la giornata appena passata. Che strano sogno. Ve lo racconto: sono entrato nel sogno e sono uscito di casa. Sono salito in macchina, mi sono avviato e… Qui qualcosa non torna: ho rallentato quando ho visto le strisce, mi sono fermato, ho aspettato con un sorriso gentile che quelle due signore mi passassero davanti con calma, chiacchierando, fermandosi ogni tanto per meglio chiarire chissà che concetto. Dietro a me uno ha strombazzato con forza, ma non mi sono scomposto. (Strano. Chissà che vuol dire.) Sono arrivato in ufficio con un bel ritardo, ma che mi frega, sono il capoufficio.

-”Attenti, oggi gira peggio del solito.”

Mormora uno e noto sorrisini tirati sulle facce chine alle scrivanie. Ma, nel sogno, sorrido e con noncuranza, dico:

-”Buongiorno a tutti. Traffico bestiale, oggi. Scusate.”

Anche nel sogno non posso fare a meno di notare la sorpresa sui volti.

Ma è solo un sogno, che diamine.

-”Forza, che state facendo? State sognando?”

Non vola una mosca, in ufficio. Ma io li guardo e rido, la giornata passa veloce. Sono persino andato due volte a bere un caffè al distributore, insieme alla Rosa, quella bruttina con l’aria altera che di solito non saluto nemmeno e non mi sono neppure incazzato quando la macchinetta si è categoricamente rifiutata di darmi il resto. Bah.

Ma lasciamo perdere i sogni, c’è da lavorare qui, nessuno deve battere la fiacca, nemmeno io, ho pensato il giorno dopo mentre seduto alla scrivania cercavo di capire se qualcuno barava. Non mi faccio prendere per il culo, io.

La sera rientro finalmente a casa e, non ci crederete, la cosa si ripete. Con l’unica differenza che stavolta è toccato a una birra l’onere di rinverdire i colori del tappeto, che forse è persiano, forse no, il certificato su carta pergamena non mi rassicura più di tanto. Mi addormento e le ore di lavoro raddoppiano. Penso a questo, mentre, il giorno dopo ancora, mi siedo in ufficio. Quando sono entrato mi pareva di esserne appena uscito. Avevo l’aria un po’ sbattuta, non ho neppure sbraitato, quella mattina, di salutare non se parla, non l’ho fatto mai.

-”Si sente male, signor Tonio?”

A rivolgermi la domanda è stata la Rosa, che, dato che non l’ho mai considerata, è quella cui ho riservato meno rimproveri.

-”Non è niente,” – risposi, guardandola grato – “ci beviamo un caffè? Come ieri?”

Mi guardò allibita, forse un po’ spaventata. Fece due passi indietro dicendo:

-”Noi non abbiamo MAI bevuto un caffè insieme.”

E se ne andò, mentre qualcuno le sussurrava: “Lascia perdere, quello ti vuole fregare.”

Continuò così per dei giorni, ero sempre più stanco, sempre più fuori di me, sempre più magro, sempre più incapace di distinguere tra le azioni reali e quelle sognate. Sempre più, amavo dirmi, “etereo”, parola di cui non conoscevo bene il significato e gliene assegnavo uno tutto mio.

Di giorno lavoravo incazzato, la notte divertendomi. Ogni tanto cercavo di parlare a qualcuno del mio sogno, non so più se di giorno o durante la notte, forse un po’ e un po’, forse. In cambio ricevevo qualche sorriso stentato, qualche ghigno che pareva soddisfatto. Cominciai a sentirmi come avvolto da un alone strano, grigiastro, scuro, unto. Respiravo a fatica, avevo nel naso e nella pelle un sentore e un odore di fuliggine, era come se qualcosa si stesse incenerendo dentro di me e uscisse dai pori della pelle. Cominciavo a non farcela più, non si può lavorare ventiquattro ore al giorno, sapete. Infine, ad un certo momento, senza che l’avessi consapevolmente cercata, mi balenò nella mente la soluzione. Non so se accadde durante il giorno o nel sogno, cercate di capire. Era semplice: se non volevo ripetere la notte quello che avevo fatto il giorno, durante il giorno non dovevo fare nulla. Fu così che una sera, era una sera di giugno, uscii dall’ufficio senza salutare e nessuno mi vide più. Giunto a casa, chiusi bene le imposte, mi sdraiai sul divano, sgolai tre whisky, il quarto finì nel tappeto e mi prese una strana felicità pensando che sarebbe stata l’ultima notte di lavoro.

Non so quante giornate e nottate sono passate da allora. È difficile distinguerle una dall’altra, solo qualche lieve variazione nelle sottili linee di sole che sfidano gli scuri le differenzia, ma sono variazioni che la mia mente si rifiuta di registrare e per me è sempre giugno. Ogni tanto, cerco di non farlo troppo spesso, tocco e annuso la mia pelle e noto che la presenza della fuliggine sta lentamente scemando. Bene, molto bene. Sembra funzionare.

Anche se non so più cosa voglia dire, da qualche parte là fuori sta iniziando una nuova giornata. Con le poche forze che il sonno mi ha restituito porto la coperta a coprirmi gli occhi e la testa e provo a reimmergermi nel sogno vuoto che tanto mi aggrada. Poi sento dei colpi, dei tonfi. Che sia il sangue ribelle che mi pulsa alle tempie? No, inutile che mi illuda. Il mio piano aveva una falla che puntualmente si è aperta. Lo temevo, non vogliono che guarisca, sono arrivati, bussano alla porta. Più forte, ora, sempre più forte. Cosa posso fare, a questo punto? Cosa posso inventare? Niente, proprio niente. Non c’è niente da fare, è inutile ribellarsi: non puoi vincere, contro le anime caritatevoli.

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19 commenti »

  1. Un racconto che si legge tutto d’un fiato e che ha il pregio di condurti dentro i meccanismi di una psicosi.
    Un uomo apparentemente “integrato” ma integralmente solo, “un uomo razionale, da bianco e nero” cui si infrangono tutte le certezze attraverso un “sogno” che lo rende
    cosciente di aver sprecato la sua vita. Che dire sei riuscito a porre molte domande e farci sentire l’odore della” fuliggine”. Complimenti

  2. Molto bello questo tuo racconto Oscar!
    Una lucida follia di quotidiano affanno che avvolge il lettore lentamente, dosando sapientemente visione onirica è realtà diminuita.
    Il tuo stile è maturo e la narrazione scorre calda e avvolgente come la coperta di Linus,da te citata e non si vorrebbe smettere di leggerti.
    Accidenti alle anime caritatevoli…
    Davvero bravo.

  3. Molto bello. Bravo Oscar. Situazione che degenera da sbalzi d’umore a profonda depressione. Ho pensato che i sogni potessero essere manifestazione del desiderio del protagonista di cambiare, di porsi in maniera diversa con gli altri e la vita stessa. Insoddisfazione, solitudine, pessime relazioni con i dipendenti e Glen Grant non portano certo felicità.

  4. Grazie Anna Rosa, sono contento che sei riuscita a sentire l’odore della “fuliggine”. Sono convinto che siano molti gli uomini costretti a un ruolo non confacente la loro personalità, e se non sono bene corazzati finiscono per soccombere. Grazie per avermi dedicato tempo per leggere e commentare.
    A presto, spero, con il tuo racconto, se le festività incombenti non mi renderanno insopportabile.

  5. Gianluca, troppo buono! Ti ringrazio di quanto dici, leggo le tue parole con molto piacere. E sì, le anime caritatevoli ci mettono spesso alla prova. Grazie ancora e in bocca al lupo per il tuo racconto.

  6. Ciao Anna, sì, hai compreso bene quello che intendevo. La difficoltà, spesso l’impossibilità di mutare i tipi di relazione una volta avviati su un certo binario. E c’è chi non regge. Grazie per la lettura e il commento, graditissimo. A presto.

  7. Molto bello il tuo racconto, Oscar. Sogno e realtà si alternano e finiscono col fondersi nella mente di Tonio. Troppo faticoso lavorare incazzato di giorno e felice di notte. Proietta nei suoi sogni il bisogno di contatti umani ma, purtroppo, non riesce più a cambiare in positivo l’impostazione delle sue giornate. Problematica attualissima, resa molto bene da una scrittura fluida e coinvolgente.

  8. Grazie Pasqualina per il tuo commento m ha fatto molto piacere leggerlo.

  9. Anche io mi sono sentita come trascinata dentro un vortice grigio, leggendo il tuo racconto! Una spirale in cui si mischiano bianco e nero (realtà e sogno) fino a dar luogo a fuliggine. Belle le immagini che rendono le sensazioni! Complimenti!

  10. Grazie Silvia, ho letto il tuo racconto e, dette da te, le parole che hai scritto assumono un valore ancora maggiore. Grazie del tempo che mi hai dedicato.

  11. Una bella e per niente improbabile storia. Il coinvolgimento al plurale della controparte (gli “scusate” del protagonista) mi ha fatto visualizzare la scena sulle assi di un palcoscenico, la luce che attraversa il pulviscolo fino a colpire il protagonista che su un divano racconta la sua storia. Sarebbe un perfetto monologo teatrale. Complimenti.

  12. Bellissimo! Ho i brividi.

  13. Grazie Marco, e che ben vengano nuovi “giorni”! Come molti, li aspetto.

  14. Antonella, grazie. Ho letto più di una volta il tuo “Letizia” e sto cercando le parole giuste per esprimerti la mi ammirazione per come hai trattato l’argomento non facile. Mi dovrai dire dove trovare il tuo romanzo.

  15. Un bel tema, quello della migrazione del lavoro dalla realtà al sogno, e poi viceversa, fino a confondersi. Il finale mi ha lasciato l’amaro in bocca… perchè sento che molto altro bolle in pentola. Sotto la cenere, pardon, la fuliggine, c’è il fuoco di una storia più grande pronto a divampare. Complimenti vivissimi.

  16. Un racconto pieno di umanità. Davvero una bella lettura

  17. Eh sì, confermo, mi hai messa knock-out!
    Un campione.

  18. Avvincente e scorrevole.Bravo !

  19. Anna e Marcella, grazie molte, un in bocca al lupo per i vostri racconti, bellissimi.

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