Premio Racconti nella Rete 2010 “Per qualche sacco di grano” di Tommaso Maria Gliozzi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2010
Negli anni a cavallo della seconda guerra mondiale, nel sud esisteva ancora una certa distinzione di classe, che non condizionava tuttavia i rapporti tra i bambini. Era cosi’ soprattutto nelle piccole contrade di campagna, dove i figli delle poche famiglie di ceto medio alto familiarizzavano con quelli dei poveri contadini. Tino era uno di questi e uno dei miei piu’ cari compagni di gioco sin da quando la mia mente riesce ad andare indietro con il ricordo. Eravamo bambini della stessa eta`, della stessa indole mite, della stessa corporatura esile e riuscivamo a intrattenerci piacevolmente anche giocando per diverse ore a quel gioco semplice, anzi banale, che andava sotto il nome di “u campanaru”.
Nutrivo per Tino un affetto particolare, un po’ perche’ era il piu’ povero dei miei amici, un po’, forse, perche’ mi seguiva sempre come se fossi il suo padroncino.
Allora mi chiedevo perche’ Dio avesse creato alcune persone benestanti e altre povere. Non sapevo darmi una spiegazione e ritenevo che chi era benestante lo fosse sempre stato e che la poverta` fosse anch’essa una condizione permanente di certi individui, una sorta di seconda pelle appiccicata al loro corpo. Una distinzione tra le due categorie di persone che facesse capo non a Dio, ma ai comportamenti della societa` nel tempo, non riuscivo ancora ad afferrarla.
Specie d’inverno, andavo a trovare Tino nella sua capanna. Mi piaceva starmene seduto sul vecchio ceppo di legno davanti al focolare, mentre il vento, infilandosi rabbiosamente tra una tegola e l’altra, brontolava sulle nostre teste.
La capanna era una semplice tettoia appoggiata al muro esterno dell’unica stanza che costituiva la dimora dell’intera famiglia e si reggeva, a sud, su due pali conficcati nel terreno. Il lato nord e quello ovest erano chiusi da una fitta parete di frasche, mentre il lato sud restava aperto.
Cosi’, il focolare, piuttosto rudimentale, era addossato all’unico muro della capanna, che la fiamma investiva e riscaldava, trasmettendo del calore alla stanza attigua. Ma il fuoco depositava su quel muro anche il suo peggiore ingrediente: il nerofumo. Uno strato spesso di nerofumo, nel quale Tino ed io, a carnevale, affondavamo le dita per trasformare i nostri volti.
Sua madre, Maria, si divideva tra le faccende domestiche, la culla del secondo nato e la “pignata” di terracotta che pendeva da un sostegno sul focolare; in essa, i legumi cuocevano lentamente ed emettevano una sorta di mormorio, come un lamento di protesta al gran calore. Talvolta, lei veniva nella capanna, prendeva un pezzo di legno e con esso selezionava nel fuoco della brace e la tirava in avanti dove non arrivavano le fiamme; su di essa depositava poi dei pomodorini piccoli e rotondi; li faceva scivolare dalla sua mano proprio negli spazi tra due o piu’ pezzi di brace con tale rapidita` e tale precisione che ne ero affascinato.
Di solito, Tino sedeva dietro, su un ceppo un po’ distante, come se volesse riconoscermi un diritto alla prima fila.
La madre parlava poco e quasi sempre solo per raccontare al figlioletto qualche pettegolezzo del vicinato.
La ricordo come una donna semplice, ma energica; si aggiustava spesso sotto il collo il nodo del fazzoletto che avvolgeva i capelli folti e neri; il viso piccolo e rotondetto su un corpo robusto e tozzo le dava un’apparenza un po’ buffa. Mi voleva bene e mi faceva sentire sempre benvenuto, a qualsiasi ora mi presentassi nella capanna.
La sentivo dire spesso che le mancavano diciannove centesimi per fare una lira; e per la sua poverta`, i vicini la consideravano una contadina di seconda categoria. Ma lei teneva ugualmente la testa alta, orgogliosa della sua famigliola.
“Quando saro` grande, mamma, ti portero` via da qui…”, assicurava qualche volta Tino.
“Non sara` facile per noi, povera gente, lasciare il lavoro dei campi, dei campi altrui. I vicini almeno zappano il proprio campo! “, replicava con rassegnazione Maria.
“Vedrai Mamma…!” insisteva Tino.
Io non intervenivo mai; sentivo una sorta di imbarazzo; quelle parole sembravano un rimprovero alla classe sociale superiore alla quale appartenevo, non per mia scelta personale. Tenevo lo sguardo fisso sul fuoco, allungavo le mani verso la fiamma e quando erano belle calde le strofinavo su quella parte delle gambe non coperta dai pantaloncini , dove il calore sembrava non essere mai abbastanza.
Nella stanza accanto alla capanna, il fratellino a volte piangeva. La mamma accorreva, lo prendeva in braccio e veniva a sedersi anche lei vicino al fuoco, porgendo il seno con poco latte al piccolo affamato.
Quando la madre non era presente, Tino e io, sottovoce, commentavamo i risultati dei nostri giochi e programmavamo le azioni successive. Nei commenti c’era sempre una punta di sfotto`, che sottolineava la rivalita` agonistica, gia` ben presente a quell’eta`. Solo rivalita` agonistica, perche’, tra noi, c’era affetto genuino e una intimita` prodotta anche dallo stare insieme nella capanna della poverta`. Mi sentivo quasi parte di quella famiglia!
Anche mia madre voleva bene a Tino. Lo chiamava Tinuccio e diceva che le ricordava suo fratello da piccolo, quel fratello che era morto nella prima guerra mondiale.
Nello, padre di Tino, al contrario di sua moglie, era alto e magro; le guance risucchiate dalla vita di stenti facevano apparire il naso piu’ lungo di quanto lo fosse in realta`. Partiva la mattina presto, per andare a fare “la giornata” nei campi altrui. Quando nessuno lo chiamava, andava ad aiutare nel mulino del villaggio; lo pagavano in natura; cosi’, portava a casa un po’ di farina, che la moglie trasformava in pane. La domenica non si vestiva quasi mai a festa, come facevano gli altri uomini del posto, e preferiva starsene indaffarato intorno alla casa. Quando lo salutavo, rispondeva con un tono chiaramente di riguardo, non so se perche’ mio padre, ogni tanto, gli faceva fare “la giornata” nei suoi terreni, o perche’ ero amico di suo figlio.
Tino gli somigliava molto, sia nei lineamenti che nel carattere alquanto chiuso.
Era piena estate, quando, una domenica, di mattina, voci concitate e poi una imprecazione disperata hanno sconvolto la quiete consueta e monotona della contrada. Le ho sentite anche io e con mia madre sono uscito sul balcone. Abbiamo guardato al di la` delle palme, sull’altra sponda del vallone che separava la nostra villa dalle casette dei contadini. Nella luce spietata del sole gia` alto, abbiamo visto un poliziotto davanti alla casa di Tino, mentre i vicini, spinti dalla curiosita`, si dirigevano lentamente verso il luogo da dove proveniva il clamore. Poi, altri due poliziotti sono usciti dalla casetta, trascinando Nello ammanettato.
Mi ha invaso una forte emozione; ho sentito un nodo alla gola e mi sono stretto con il braccio attorno alle anche di mia madre. Lei ha posato una mano sulla mia testa e ha sussurrato :
“Tutti si aspettavano che, prima o poi…..!“
“Perche’?“ ho chiesto con voce fievole.
“Si diceva che avesse rubato del grano….qualche sacco di grano a don Priscupino…!“
C’e` stata una pausa, durante la quale mi sono staccato da mia madre e mi sono aggrappato alla ringhiera del balcone. Con gli occhi sgranati, ho cercato di individuare tra la gente Tino. Non l’ho visto e ho pensato che, per il dolore e la vergogna, si fosse nascosto in qualche angolo della capanna.
“Vieni, rientriamo!“ ha detto mia madre, e, appoggiando una mano sulle mie spalle, mi ha indotto a entrare prima di lei. Ha chiuso quindi il balcone e, lasciandomi libero, si e` diretta verso la cucina.
Sono rimasto molto scosso tutto il giorno.
L’indomani mattina, incoraggiato anche da mia madre, sono andato a trovare Tino. Ho raggiunto di corsa la sua casetta. L’ho trovato seduto sul gradino sconnesso davanti alla porta. Guardava fisso in avanti, verso la stradina lungo la quale, dietro la prima curva, aveva visto scomparire suo padre in manette. Ho pensato che aspettasse di vederlo arrivare, mantenendo la promessa di ritornare subito; la promessa che, certamente, aveva fatto, lanciando alla moglie e ai figlioletti lo sguardo atterrito del distacco forzato.
Ero confuso. Non sapevo come affrontare quella situazione insolita e imbarazzante.
“Tino, vieni a giocare?“ ho provato a proporre, senza accostarmi troppo, per non interferire con la sua solitudine.
Si e` voltato di scatto verso di me. Ho notato un’espressione stravolta nel viso e gli occhi stanchi e umidi. Ha scosso la testa in un gesto di diniego deciso. Poi si e` chinato in avanti e ha nascosto il volto tra le gambette.
Mi son ritirato in silenzio, dapprima camminando all’indietro, senza staccare lo sguardo da lui, nella speranza che mi desse qualche indizio di ripensamento. Raggiunta la discesa del vallone, ho preso la corsa verso casa, ancora piu’ addolorato di prima.
Sono tornato da Tino il giorno successivo, pensando che la seconda notte avesse lenito la sua angoscia. Era nuovamente li’, accovacciato sul gradino, incurante del sole cocente che lo colpiva in pieno. Sentendo i miei passi, ha sollevato il capo. Mi son fatto coraggio; mi sono avvicinato e mi son seduto accanto, sui mattoni infuocati. Ho respirato l’odore acidulo dei suoi capelli sudati.
“Ciao, Tino!“ ho sussurrato.
Non ha reagito.
“Vieni con me, la mamma ha fatto la crostata di fragole anche per te!“
Non ho sentito la sua voce, perche’ mi si e` negato nuovamente con un movimento della testa.
“Vai, vai, cu u’ signurinu!” lo ha spronato la madre, che da dentro la stanza aveva seguito il monologo.
Ha staccato leggermente il viso dalle gambe e ha emesso un “no” deciso, quasi un grido.
Mi sono alzato e mi sono allontanato, con tanta tristezza nel cuore.
Dopo qualche giorno, Tino e`stato trovato impiccato a una delle travi della capanna. Della nostra capanna!
Aveva sette anni, come me!
La vicenda del padre aveva offuscato la sua fragile mente di fanciullo molto sensibile.
Solo un paio di sacchi in meno nel ricco granaio di don Priscupino avevano stroncato la vita del mio amichetto!
E avrebbero lasciato un segno profondo nella mia vita.
Un racconto che mi ha ricordato i classici dell’infanzia. Mi è piaciuto.
Un racconto – commovente e spero che i lettori avranno piacere leggere questo racconto .Io ero commossa. Auguri al autore.
Eccezionale ! Congratulazione per l’ispirazione.
Inspirazione! Scrivete encora? Spero.
Caro Nonno,
Tutti i tuoi libri e tutto che tu scrivi sono inspirazioni per me. Sono la gioventu` del 2000 e ti ringrazio per i valori del passato che sono cosi`importanti e quasi perduti.
Complimenti, la storia ritorna al presente per non dimenticare.
Ho letto con interesse questo tuo bel racconto, scritto con uno stile che apprezzo particolarmente: quello della sintesi. Mi spiego con una tua frase: “la promessa che, certamente, aveva fatto, lanciando alla moglie e ai figlioletti lo sguardo atterrito del distacco forzato”. Le situazioni, le sensazioni e i ricordi descritti così vanno dritti alla mente e al cuore.
Un bel racconto che fa trasparire sentimenti antichi e che sembrano ormai persi per sempre in un’Italia che non riconosco più. Un’Italia dove nolte mamme di un paese del Nord trovano perfettamente normale che un bambino sia messo a scuola a pane e acqua perchè i suoi genitori sono morosi con la retta e che si indignano se un imprenditore paga quelle rette arretrate e mostra umana solidarietà verso i più poveri e i più negletti.
Caro Tommaso, continua a raccontarci queste storie, che in gran parte affondano nei ricordi di un vissuto antico ma ancora vivo. Continua a tener vivo il ricordo di come eravamo, specialmente nel sud povero di un’Italia diseguale. Continua a smuovere con le tue storie le pietre che coprono i nuovi sepolcri imbiancati.
Continua a farci commuovere. Ne abbiamo bisogno come il pane in questo paese dove ci hanno rubato anche il significato della parola Amore.
“Molto bello, molto triste. Mi fa pensare che la così detta “civiltà contadina” non era così bella, ecologica e da rimpiangere come spesso la si presenta. Tommaso con una penna lieve e amara ne mostra un risvolto tragico. D’altra parte l’avanzare della civiltà e della tecnologia di per se non comporta il superamento delle frustrazioni individuali e tutti i giorni ci troviamo di fronte a giovani (magari non di sette anni) che si uccidono con l’alcool o la droga, o nella migliore delle ipotesi portano il loro cervello e il loro cuore all’ammasso mediatico.
Tratteggi liricamente una storia del Sud del nostro passato con l’amaro e drammatico finale che ti ha segnato.
Edmondo de Amicis,Grazia Deledda,Verga: preferisco il tuo stile. Giuseppe Faberi
The story reminds me of similar events related in the book “Italy’s Sorrow” by James Holland, an account of wartime life and poverty in Italy in 1944-45. As told by Tommaso Gliozzi, the experiences of his friend Tino and himself are believable and provide a history and moving insight into previous times. Bravo and congratulations Tommaso.
C’era una volta….una realtà”reale”dove la gente agiva,interagiva,aveva dei sentimenti genuini e se sbagliava pagava di tasca sua e, a volte, molto duramente.A questa realtà si contrappone oggi una realtà “virtuale” o mediatica basata sul calcolo e sull’apparenza, che qualcuno cerca di imporre ,per suo calcolo e convenienza, come modello sociale.
E’ bene mantenere vivo il ricordo di situazioni vere, meglio se lo si fa con il tocco leggero e lo stile di Gliozzi .Situazioni semplici e vere come questa, anche se non necessariamente cos’ drammatiche, ci hanno aiutati a crescere e a cercare di leggere la vita con la nostra testa.
Many years ago, I read and was much moved by Carlo Levi’s “Cristo si e’ fermato a Eboli” . Today I read Tommaso Gliozzi’s story of the child Tino and of his times and I was once again moved. Tommaso brings to life, on a more personal level, similar memories of the crushing poverty, the injustices dealt to the people of the mezzogiorno and above all, their innate dignity. Complimenti Tommaso!
Dirò subito che il racconto mi ha lasciato per qualche tempo una strana sensazione, mi aveva coinvolto per ragioni in un primo momento a me non chiare.
Poco a poco mi è tornata alla mente una impressione da tanti decenni rimossa ma che ,evidentemente, conservavo
in qualche anfratto della memoria : il recupero dal Po del corpo di una mia amichetta (avevamo più o meno l’età dei personaggi del racconto) che mi aveva lasciato la stessa impressione da te descritta .
Perchè morire così giovane e,soprattutto, perchè un destino così avverso per una già provata dalle ristrettezze e da varie avversità che incombevano sulla sua famiglia?
Anche in seguito -fino alla fine dell’adolescenza- ho riprovato la stessa sensazione di immotivato privilegio ogni qual volta constatavo che amici e, comunque,persone a me vicine, erano vitttime di avvenimenti eccessivamente tragici…una condivisione che,forse,solo a quell’età non trova quelle mediazioni culturale e/o ideologiche, in seguito ben altrimenti attive…
Non posso che rinnovarti la mia ammirazione per questa tua nuova iniziativa che riesce ottimamente ad esprimere la tua singolare sensibilità.
Questo racconto di attento osservatore mi riporta a momenti di vissuto,anche se in tempi di poco successivi ai tuoi, che mi fanno rivivere momenti belli per un certo verso, ma anche di incertezza ed angoscia per l’incerto futuro che ci aspettava e che mi impongono oggi di riflettere e ricordare.
Lo scorcio di vita che tu così bene descrivi portava, in quel periodo, ad un unico assillante pensiero, andare via dalla propria terra, in cerca di un futuro migliore, oltre il grande mare che era sotto i nostri occhi o verso il mitico nord con i vecchi ansimanti treni carichi di sogni e di speranze, di bagagli legati con lo spago e di persone che partivano per la maggior parte contadini e si ritrovavano “terroni”.
Con pochi ma sapienti tocchi di penna sei riuscito a fotografare e trasmettere un mondo tanto vivo e caro ad ognuno di noi
perchè specchio della nostra infanzia quando i sentimenti erano importanti e l’amicizia, che si nutriva anche di silenzi,
arricchiva il nostro animo ed alimentava i nostri sogni. Ognuno di noi porta dentro di se una parte di quel mondo e ripensa,
con struggente nostalgia, a quanti, come Tino, non sono riusciti a sopravvivere ai soprusi e alle ingiustizie che, ieri come oggi, costellano la vita dei più deboli.
Complimenti per la tua prosa e per il tenace ed affettuoso attaccamento alla nostra Terra.
La storia di per se e` triste ma rispecchia il tuo carattere maturo, sincero e generoso. Congratulazioni!
Complimenti Tommaso! L’Italia di cui scrivi è un mondo, purtroppo, in via d’estinzione…ma che ha assolutamente il dovere di essere ricordato, perchè non possiamo dimenticare chi siamo e quali siano le nostre origini, per vivere al meglio il presente e avere una maggiore consapevolezza del futuro che ci attende! Lo stile è semplice, chiaro e alla portata di tutti, e in più traspare una partecipazione emotiva profondamente vissuta e sentita, come nei tuoi scritti che ho avuto occasione di leggere, e che rende questo racconto assolutamente degno di essere letto! Di nuovo complimenti! Attendo nuove “proposte di lettura”!
Una storia che emoziona, che commuove.Narrata in maniera tale che leggendola ci si sente partecipi. Viene voglia di intervenire, di spronare il bambino, di colmarlo di speranza e di voglia di vivere.
Una storia del passato, una storia triste.
Cio che e’ ancora piu’ triste, e che dopo tanti anni in questo mondo ci sono ancora talmente tanti Tino …
Una prosa pittorica minuziosa ed efficace che descrive un mondo antico bucolico e rassegnato.
Il Racconto scorre “liscio” ed in gran parte piacevole con enfasi sui nobili sentimenti.
Ma poi, ecco il tocco artistico dell’autore: un finale triste e inaspettato che scarica sulle piccole spalle di Tino il dramma di una società ingiusta.
Ben fatto!! Congratulazioni ed Auguri
Michele Armento
Una vicenda tragica,che rappresenta molto bene il mondo agricolo a metà del Novecento,e non solo nel meridione,e in particolare la vità dei bambini, che giocavano con nulla .La mortalità per incidenti vari e per malattia ,tipo la tubercolosi,era elevatissima.Il racconto mi ha colpito anche per lo stile scarno ed essenziale, sul modello della grande letteratura americana dell’epoca,realista o verista,che Vittorini imitò in Uomini e no.Complimenti all’autore.
Caro Tommy, grazie innanzitutto per avere scelto anche me come tuo lettore e commentatore.
In tale veste non posso fare altro che inviarti le mie piu’ vive congratulazioni per questo toccante cortometraggio di sapore “antico” dalle cui righe la tua bravura fa trasparire tanto dolore e tanta tristezza per quanto accaduto in quel momento della tua infanzia, ma altrettanto disagio e profonda amarezza per il perpetuarsi delle stesse diversità e delle stesse gravi ingiustizie sociali che ancora oggi, purtroppo, rimangono “sempreverdi”.
Per la forma. complimenti ì ì ì ì
Per il contenuto : rispettoso silenzio di fronte a chi deve rubare per …. e a chi deve subire ì ì ì
Una realtà dimenticata, quella del Sud, dolente e rassegnato ad una povertà senza speranza, ad un destino amaro che cancella una piccola vita, una piccola orma appena impressa su una terra ingrata… Il racconto mi ha profondamente commosso, evocando lo sbigottimento con cui da piccola recepivo la morte e la sofferenza delle persone a me vicine, specie se giovani o bambini come me. Ancora una volta, attraverso questo lucido e toccante racconto, che nulla cede al compiacimento dialettico, ho avuto modo di riflettere su quanto più grande sia la sofferenza morale, l’umiliazione, la mancanza di ogni speranza, rispetto alle privazioni e ai dolori del corpo… Grazie, abbiamo biogno di questi momenti, come di un farmaco efficace contro gli accaniti perseguimenti giornalieri di vuoti obiettivi materiali.
mi hai fatto riviverele impressioni che avevo da bambino: un mondo diviso rigidamente in figli di signori e figli di tamarri. La cosa mi sembrava naturale ma mi induceva a sperare che un giorno la situazione sarebbe cambiata. Se penso al passato penso proprio che le cose siano cambiate molto in meglio. Grazie
La narrazione, Intensa ed incalzante, giunge fino alla tragedia che si consuma davanti agli occhi del bimbo, ora scrittore. Il racconto stimola con forza la memoria del lettore più maturo e lo porta al ricordo delle crudeli differenze sociali del passato. oggi, forse, apparentemente scomparse. Spero di leggere un tuo nuovo scritto.