Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2018 “Lo zio anarchico” di Loretta Molari

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018

Lo zio Giovanni, Zvan, classe ’93 era il fratello più piccolo di mio nonno Nazzareno , quindi zio di mio padre che mi ha raccontato di lui.
Di natura allegra e gioviale, come tutti i veri romagnoli, gli piacevano nell’ordine: la politica, le donne, il vino e il ballo. Quattro attività cui si dedicava con molto impegno ma che generavano nei fratelli una vera insofferenza perché così veniva a mancare un aiuto costante nel lavoro dei campi.
Per la politica aveva una vera e propria passione. Fin da ragazzo, sapendo leggere e scrivere, aveva potuto accedere a qualche opuscolo propagandistico che lo aveva portato dritto nelle file degli anarchici del tempo, abbracciando ideali di libertà e uguaglianza. Figurarsi quindi se poteva convertirsi, più tardi al fascismo.
Così nei primi anni del regime la zio Giovanni era caduto inevitabilmente sotto la stretta sorveglianza dei carabinieri del paese.
In verità, il maresciallo che lo conosceva da sempre, sapeva bene che non era un agitatore di popolo e tantomeno un violento. Sicché, quando veniva a sapere che all’osteria, lo zio Giovanni, tra un bicchiere di sangiovese, una palpata al culo della serva, la lingua sciolta nel vino, si lanciava in comizi improvvisati, con qualche approssimativo riferimenti storico e filosofico, non avendo un briciolo di cultura generale, figurarsi sull’argomento, ma con convinzione, tentando di far proseliti alla causa anarchica, invano, il maresciallo dunque lasciava correre.
L’ufficiale della benemerita, sapeva inoltre che lo zio Giovanni concludeva sempre le sue appassionate arringhe con un eloquente e vigoroso gesto dell’ombrello all’indirizzo esplicito del regime e del suo capo supremo. E lasciava correre anche questo, finché si poteva.

Ma non poteva sottrarsi, il maresciallo, dall’applicare la prevenzione, diremmo noi oggi, quando ravvisava un potenziale pericolo. E così ogni volta che era annunciata una manifestazione ufficiale del regime, un’adunata, una sfilata, un comizio ecc., nel comprensorio territoriale di sua competenza, il maresciallo, accompagnato da due sottoposti, saliva lo stradino che portava al poggio, alla casa di Giovanni.
I tre si presentavano sull’aia e il maresciallo chiamava: “Zvan”. Una volta sola.
Zvan sbucava da qualche angolo e l’ufficiale diceva semplicemente: “Andem, forza”.
Consapevole Zvan lasciava il lavoro cui era intento, entrava in casa, dove la moglie, mormorando orazioni e raccomandazioni a mezza bocca gli consegnava un fagotto già approntato da giorni, con cibo, vino e un mazzo di carte. Quindi, una carezza appena accennata alla moglie, un bacio ai figli, un saluto a braccia larghe a tutti i parenti che scuotevano la testa, la giacca lisa buttata su una spalla, una mano in tasca, seguiva tranquillo il maresciallo e il suo destino, giù per la strada, fino alla caserma.
Trovava buona compagnia, lo aspettavano infatti altri tre o quattro soggetti “pericolosi” quanto lui e tutti venivano chiusi nelle due celle a disposizione.
Lì lo zio Zvan era in vacanza, niente lavoro nei campi, niente mansioni di stalla, niente levatacce ecc.. Riposo assoluto. Zvan allora si organizzava con i compagni di cella, partite a carte, cibo condiviso, cori irriverenti ma niente vino, quello era stato requisito subito.
Passata la manifestazione, veniva rilasciato assieme agli altri non senza aver subito il predicozzo di circostanza del maresciallo che sapeva benissimo essere una perdita di tempo.

Il pericoloso anarchico allora si incamminava per tornare a casa, ma vuoi non fermarti un po’, solo un po’ all’osteria che era di strada? Sarebbe stato peccato mortale “guai e mond” diceva. I presenti lo accoglievano con lazzi e motti amichevoli, lui con un ampio gesto del braccio salutava tutti, si sedeva, ordinava da bere, una pacca al giovane culo della serva che glielo portava e quando cominciava l’effetto alcolico denunciava ad alta voce la sua indignazione per la coercizione subita come uomo libero, riaffermava con forza le sue idee e concludeva con il solito gesto dell’ombrello all’indirizzo del detestabile capo del regime e anche dei preti.
Ore dopo, malfermo sulle gambe, ma forte e saldo nello spirito arrancava su per la salita fino a casa.
La moglie era già sull’uscio, avvezza e rassegnata, lo guidava come un bambino su per le scale sino al letto e così come si trovava sprofondava in un sonno senza sogni. Il sonno del giusto e libero come diceva lui. Era un nemico del regime veramente pericoloso!

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1 commento »

  1. Mi piace la figura dello zio Zvan, pericoloso anarchico che di pericoloso non ha proprio niente. Nonostante il racconto si riferisca a un periodo buio della nostra storia, ne hai fatto una narrazione pacata e piacevole, con la figura dello zio che ispira simpatia e tenerezza.

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