Premio Racconti nella Rete 2018 “Confronto con il nemico” di Bernadette Capone
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018– Smettila di parlarmi in quel modo, non ne hai diritto!
La ragazza bruna si alzò in piedi di scatto, lasciando che i suoi lunghi capelli lisci ondeggiassero nell’aria come un mantello di seta. Con il volto contrito in un’espressione di disperata impotenza incrociò le braccia sul petto e rimase qualche istante immobile con lo sguardo perso nel vuoto della sua disarmante fragilità.
Quindi si avvicinò alla finestra e accostò lo sguardo ad un piccolo sensore luminoso attendendo che scannerizzasse la sua splendida iride azzurra.
La persiana avvolgibile si alzò producendo un rumore metallico ed un sole iridescente le illuminò il volto.
– Apriti, maledetta! – sussurrò digrignando i denti, mentre con un arnese piatto aveva cominciato a forzare l’apertura dell’anta di vetro. Finalmente si aprì uno spiraglio e la ragazza, con gli occhi chiusi e la testa inclinata all’indietro, prese ad inghiottire voracemente quanto più ossigeno poteva.
– Non fare così.
Una voce maschile, calda e doppia, le causò un brivido che percorse lentamente l’intera sua colonna vertebrale, per poi sciogliersi in un sospiro oltre la nuca.
– Smettila di dirmi quello che devo fare!
– Sei nervosa, calmati e parliamone.
– Non voglio parlare con te. Voglio essere libera!
– Ma di cosa stai parlando? Tu sei libera!
La ragazza si voltò leggermente, mostrando un sorrisino ironico triste e spento, come la mezzaluna di oscurità che le invase il volto. Era ormai da tempo il colore di quella stanza e della sua vita.
– Davvero credi che io mi senta libera nella condizione in cui mi trovo? Tu conosci sul serio il significato della libertà? – calò lo sguardo affranto, distrutto, stanco di lottare ancora.
– Quando parlo di libertà intendo dire che rivoglio la mia vita. La mia vita! Capisci? Le mie emozioni, tutte, complete, voglio tornare a provarle sulla pelle. Certe volte mi chiedo se tu possa capirmi.
– Mi sottovaluti e questo mi addolora profondamente. Io ti capisco meglio di chiunque altro.
La voce maschile fece una pausa nei cui istanti lei si preparò all’impatto con l’attesa e inevitabile ritorsione.
– Se stai forse pensando di escludermi dalla tua vita sappi che senza di me sei finita.
– Mi stai minacciando?
La ragazza si voltò e, dopo aver racchiuso il volto tra le mani, cominciò a singhiozzare.
– Ce la farò. – continuò con la voce rotta dal pianto – Sono molto più forte di quanto tu creda.
– Senza di me la tua vita sarà un inferno, lo sai bene.
– Smettila di provocarmi o ti faccio del male.
– Non ho paura di te, sei una ragazzina.
– Non sottovalutarmi nemmeno tu.
– E cosa intendi farmi? Sentiamo!
– Ti distruggo come tu hai distrutto me.
– Ah, ah, ah. Una donnina insicura e innocua come te non lo farebbe mai. Cosa direbbero i tuoi genitori, ci hai pensato? Del resto sono loro che mi hanno portato da te.
– Glielo spiegherò in qualche modo.
Sul volto della ragazza emerse a poco a poco un’espressione di rabbia inquietante sotto un manto copioso di lacrime. Quell’espressione avrebbe potuto condurre il corpo a qualunque azione.
– Lo so che sei stato tu ad uccidere mio fratello! – sbottò senza alcun preavviso, come un tifone che si scatena sotto un cielo che preannuncia semplice pioggia.
– Era un ragazzo sorridente, pieno di vita. Gli hai tolto tutto; lo hai privato anche delle sue emozioni. Negli ultimi tempi aveva talmente paura che non usciva più nemmeno dalla sua stanza.
I singhiozzi rendevano il discorso spezzato e incomprensibile ma l’interlocutore era riuscito già ampiamente a coglierne il significato.
– Stai farneticando! – le rispose senza tradire alcuna emozione.
– Non ho mai fatto nulla di ciò che dici. Sei ingiusta e mi preoccupi. Adesso dimmi un po’! Quali sarebbero le tue intenzioni arrivati a questo punto?
– Voglio uscire senza di te!
– Che cosa? Uscire di casa senza di me? Sei impazzita?
– Hai capito bene! Voglio uscire, conoscere gente, fare lunghe passeggiate in bici senza che nessuno sappia dove sono, perdermi nel bosco, pormi delle domande e sforzarmi di cercare con fatica le risposte. Voglio vivere la vita guardandola solo dal mio angolo di mondo, gioiendo delle persone che mi sono accanto, di chi mi stringe la mano, di chi mi avvolge in un abbraccio, di chi mi mostra le sue paure e mi arricchisce con i suoi difetti e la sua spontaneità.
– Puoi fare tutto questo anche insieme a me.
– No. Non è vero. Mi hai dato tanto, non lo nego. Ma il nostro rapporto non può andare avanti. Rischio d’impazzire.
L’aveva accolto nella sua vita con incontenibile entusiasmo, era vero.
Il primo giorno in cui l’aveva conosciuto aveva passato la nottata a rigirarsi nel letto, preda di una travolgente eccitazione. Nella sua tela sapiente c’era finita senza accorgersene, a poco a poco, fino a sentirsi vittima di indicibili violenze.
Ma finalmente aveva vinto ogni paura, ogni remora, e si era decisa a rivolgersi ad uno specialista che l’aveva aiutata, con pazienza e abnegazione, ad abbracciare il vento della ribellione.
Così quel giorno, che avrebbe sempre ricordato come il giorno della libertà, aveva deciso che era arrivato il momento di mettere in pratica tutto quello su cui con fatica, in tanti mesi di terapia, aveva lavorato.
Con esitazione allungò il braccio e colse dalla sua scrivania quell’oggetto scuro. Lo voltò all’ingiù affinché dal suo occhio più sensibile non vedesse.
– Che fai? – sbraitò la voce maschile che defluì rapidamente in un suono dissonante.
– Non essere ridicola, finiamo questa pagliacciata. Vivere senza di me? Non senti già due mani che ti stringono la gola e ti mozzano il respiro?
Era vero. Fu esattamente quella la sensazione che la ragazza provò. Le gambe cominciarono a tremarle all’altezza delle ginocchia, come se si trovasse sul bordo di un precipizio e tutto il corpo pareva aver perso ogni equilibrio, ogni stabilità.
– Sarai un’emarginata, verrai esclusa da qualsiasi contesto sociale e dopo un periodo dilaniante di cocenti umiliazioni tornerai da me. Il tuo cervello non può farcela a sostenere i ritmi della società moderna. Diventerai una vittima.
Con sguardo vuoto e assente la ragazza sfilò la cover e ricordò quando l’aveva scelta su internet fra gli ultimi modelli, i più costosi. Quindi tirò via il coperchio posteriore e, nonostante la mano tremante, strappò via con un gesto secco il cuore di quell’aggeggio infernale: la batteria.
Si alzò in piedi e con un ampio gesto del braccio la scaraventò dalla finestra.
Ritornò alla scrivania e focalizzò la scritta “Iphone 20”, la sigla del diavolo.
Il cuore le tremò ancora, solo un istante. Poi afferrò il resto del corpo e scagliò anch’esso al di là dei vetri.
Adesso era finito. Il giorno della libertà.
Molto triste e drammatico questo tuo racconto, Bernadette. Anche se estremizzato al massimo, hai reso l’idea del rapporto malsano che a volte hanno i giovani con la tecnologia, portandola avanti in modo drammatico e angosciante fino al triste epilogo. Brava, molto coinvolgente.
Grazie per l’attenzione! 🙂
Un racconto avvincente di “dipendenza” e di riscatto. La drammaticità della narrazione è un motivo di riflessione su come la tecnologica fornendoci un surrogato di “vita” possa estrometterci dai veri rapporti , chiudendoci dentro una “cella” virtuale. Complimenti
Grazie di cuore!
Bernadette, nonostante il finale sia liberatorio la tua scrittura alterna quasi un senso di poesia della cosa terribile che sta per accadere (narratore in terza persona con utilizzo di parole “musicali e poetiche”) e la prigionia terrificante delle emozioni di vita della ragazza (dialoghi “crudi”). Un alternarsi dei sentimenti che, ancora oggi, fa parte della nostra società. In bocca al lupo!
Attualissimo. Brava