Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2018 “Toby” di Ilaria Palomba

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018

Non lo vedi che non mangia?
Cosa?
Il cane, non mangia, ha qualcosa che non va.
Magari non ha fame.
Magari non avremmo dovuto lasciarlo da Pasquale per così tanto tempo.
Ti preoccupi troppo, vedrai, se avrà fame mangerà.
Durante tutta la discussione Toby era stato a leccarsi le zampe sdraiato nella cuccia blu relegata in un angolo del retrocucina. A cosa poteva pensare un cane? Me lo chiedevo di continuo ma non riuscivo a trovare risposta. Era un bel cane, un pastore tedesco un po’ più scuro del dovuto e con un pelo liscio e folto.
Mia madre si avvicinava alla ciotola gialla in cui aveva lasciato dei pezzetti di pane inzuppato nell’acqua e condito con gli avanzi del nostro pranzo. Mio padre era andato a cercare lo spray alla rinazina per l’allergia.
Mai una volta che si pensi a me, borbottava, gliel’avevo detto che tenere un cane in casa con l’allergia che mi ritrovo non sarebbe stata una buona idea.
Mamma si avvicinava circospetta alla cuccia di Toby e poi superava la serranda del balcone, sollevata solo per metà, piegandosi in due con l’andatura di un australopitecus zoppo.
Osservavo la scena dalla sedia blu della cucina. Nel retro se ne stava Toby, incurante di noi e delle nostre attenzioni. Mi avvicinai e cercai di accarezzarlo per quella sorta di sentimento di universale compassione che i bambini a dieci anni posseggono di loro. Proprio in quel momento mia madre stava armeggiando con la ciotola del cane, intenta a cambiare il cibo che pareva non piacergli neanche un po’. La mia mano sfiorava il pelo liscio di Toby e lui continuava a non calcolarmi, quando si accorse di mamma con le mani nella sua ciotola cominciò a ringhiare. Non l’avevo mai sentito ringhiare prima e non me ne preoccupai, continuai ad accarezzarlo e cercai di voltargli il muso verso di me. Mamma sollevò la ciotola per portarla via e sostituirne il contenuto e io avevo tra le mani il muso bagnato e ringhiante di Toby che preso dalla rabbia abbaiò feroce, da lupo, e mi azzannò la mano. Un bisturi nel palmo senza anestesia. Il sangue cominciò a inondare la pelle. Ho ancora i segni dei denti nell’incavo tra pollice e indice.
Il rumore della ciotola che sbatte sul pavimento del balcone, il rosa del pane pregno di sugo che cade sul grigio del pavimento. Le mani di mamma che tentano di raggiungere le mie. La fuga di Toby verso il balcone con la coda tra le gambe, la tosse di papà che si avvicina sempre più, tutto questo era chiaro, distinto, incredibilmente lento. Poi il vuoto. Quando mi riebbi c’era mamma che mi bendava la mano immersa in un disinfettante. Papà, sempre tossendo a gran voce, bofonchiava: il cane se ne deve andare.
Asciugavo le lacrime con l’altro palmo, quello sano, e cercavo di capire cosa avessi fatto di tanto sbagliato.
Toby arrivò in bagno con le orecchie tirate indietro come un topo al vento e la coda tra le gambe. Papà lo vide e lo cacciò via con il dito indice e una solennità nel tono di voce.
Sparisci! Sparisci! Cagnaccio! Domani ti riporto da Pasquale e non voglio vederti mai più!
Toby aveva iniziato a guaire forte e si era rimesso nella cuccia, mogio, senza toccare cibo né acqua. Perfino mamma aveva smesso di coccolarlo e di portargli del cibo e io ora non mi ci avvicinavo più.
La notte non riuscivo a dormire, fissavo nel buio la luce provenire dallo spiraglio della porta della stanza semichiusa. Mi sembrava di vedere l’ombra del cane venirmi incontro ringhiando e la cosa mi paralizzava tra le coperte. Avvertivo il battito cardiaco a una frequenza insolita e credevo che sarebbe successo qualcosa di terribile. A un tratto sentii cigolare la porta e notai nel buio la forma delle orecchie triangolari di Toby. Mi misi a tremare e a sussurrare: vattene, va via, lasciami in pace! Ma lui niente, restava. Avevo paura persino di accendere la luce, me ne stavo immobile nel letto. E lui lì, immobile, sull’uscio della stanza.
Cercavo di farmi forza e respirare e dicevo a me stessa che non sarebbe accaduto niente. Poi di scatto mi alzai. Lui rimase lì, fermo. Accostai la mano al ruvido della carta da parati e a tentoni cercai l’interruttore. Riuscii ad accendere, solo allora, lui si avvicinò.
Non ti arrabbiare, ti prego, non ti arrabbiare, supplicavo.
Era sempre più vicino e avevo sempre più paura. Ma qualcosa nei suoi occhi mi diceva di calmarmi. Lo capii quando avvertii il freddo e umido del muso sulla gamba destra su cui era poggiata la mano fasciata. Me ne stavo lì, rigida, imbalsamata, un pezzo di marmo, e invece lui mi cercava. A quel punto, poco per volta, avvicinai l’altra mano alla sua testa e gli lisciai il pelo con piccole carezze. Fuori dalla finestra le prime luci dell’alba rischiaravano i palazzi con una luce violacea, facendoli sembrare di cartone. Io e Toby ci addormentammo uno accanto all’altra, io tra le coperte e lui ai piedi del letto.
Quando mi svegliai lui non c’era più. Era una domenica mattina e i miei mi avevano lasciata dormire fino a tardi. Dall’altra stanza arrivava l’odore del pomodoro che cuoce. Mi avvicinai assonnata alla cucina.
Mia madre girava il sugo mentre mio padre leggeva le notizie sul giornale, questa volta senza tossire o starnutire. Mamma aveva un’espressione triste ma quando mi vide finse un sorriso. Corsi nello stanzino della cuccia e il cane non c’era.
Dove l’avete portato?
Da Pasquale, disse mia madre, di sicuro starà meglio lì.
Non dissi nulla ma cominciarono a uscirmi due grossi lacrimoni dagli occhi.
Come, non sei contenta? Niente più morsi. Disse mio padre.
Scappai in camera e mi vestii di corsa. Uscii di casa senza dare spiegazioni. Papà si mise a urlare e mamma mi seguì giù per il giardino. Raggiunsi la villetta di Pasquale alla fine della strada in cui abitavo. Citofonai ma non c’era nessuno. L’erba non era potata e la casa era cadente, il muro con le crepe e le finestre serrate. Citofonai e citofonai e citofonai ma la villetta era disabitata. Guardai in alto e una grande nuvola a forma di Toby sembrò fissarmi. Poi scomparve.

 

 

 

© ilaria palomba

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19 commenti »

  1. Ilaria veramente bello, bello come solo tu sai scriverlo. Ti tiene incollato alla pagina fino alla fine e quando pensi sia tutto finito… invece…
    Veramente bello e emozionante

  2. Sarà perchè amo gli animali più dell’essere umano che questo racconto già alla terza riga, mi ha fatto intuire dove sarei arrivato leggendolo.
    Ed è strabiliante quanto c’è di celato a livello emozionale in queste righe. Lacrime latenti forse, che volevano essere esposte e han trovato lo stimolo tramite questo scritto.
    A parte le mie debolezze, tirate tutte fuori quasi istantaneamente dalla tematica, non posso fare altro che notare come sia bello lo spaccato emozionale infantile che l’autrice ci ha presentato in pochissimo tempo/spazio narrativo.
    Si tange il dolore vero ed ingenuo.
    E’ li che si infrange sulle incompetenze degli adulti, che cavalca le onde delle colpe riversate su chi non ne ha, e che cerca di resistere, attaccandosi al candore infantile, ai tifoni provocati dalle bugie e gli inganni degli adulti.
    Bambina che in un giorno e in una notte ha conosciuto, in un vortice di eventi, mille emozioni e sensazioni. E si carpiscono tutte dallo stile narrativo.
    Il dolore fisico, provocato apparentemente senza ragione che la riguardasse direttamente, da chi vive di istinto
    La paura del contatto, figlia degli eventi. Il morso ed il dolore e lo stupore. Eppure bambina ed animale trovano il modo di spiegarsi e unirsi, la prima cessando di aver paura ed il secondo dimostrando di esser degno di fiducia.
    Ed il giorno dopo ulteriore lezione. Nel giorno del Signore. “Niente più morsi”. Una frase che è una condanna. Ed una corsa a perdifiato pur di rivederlo, quando scopre che è stato portato da Pasquale. E lei no che non è contenta. Anche se perso (ed in fondo io spero però ancora vivo) nella realtà, lei non sembra rassegnarsi anche quando scopre e realizza che Pasquale non esiste e la casa dove citofonava non è viva. Qui risiede il culmine del falso degli adulti agli occhi della bambina.
    Eppure come la sera prima, alla fine, è lui che in alto appare a calmarla di nuovo dal dolore, non fisico, ma intenso ed animale.

  3. Molto bello questo affresco che rappresenta al meglio il rapporto non sempre facile fra uomini e animali. Mi è piaciuta molto la tua scrittura svelta e diretta, senza fronzoli che colpisce e rappresenta sentimenti contrastanti con pennellate decise. Complimenti.

  4. Alle volte i cani sono gelosi dei bambini….

  5. Meraviglia ed eleganza nel modo di scrivere di Ilaria Palomba.
    Complimenti!

  6. Che bello Ilaria! Me lo sono proprio gustato. Bravissima!

  7. Cara Ilaria le parole di questo tuo racconto mi hanno colpita al cuore e commossa fino alle lacrime.
    Ho avvertito tutto il dispiacere di Toby e il dolore della bambina per la perdita del suo cucciolo.
    Ancora adesso piango mentre ti scrivo queste poche righe.
    È un racconto bellissimo!
    Complimenti Ilaria!

  8. Il racconto è bellissimo. Le emozioni entrano nel cuore e non solo. Come sempre il tuo narrare sollecita il pensiero profondo che conduce oltre il senso comune. Grazie Ilaria.

  9. Il racconto è bellissimo. Le emozioni entrano nel cuore e non solo. Come sempre il tuo narrare sollecita una
    riflessione più profonda che vada oltre il senso comune. Grazie Ilaria.

  10. Essendo molto legata dal punto di vista affettivo al mondo animale, questo racconto mi colpisce profondamente per la delicatezza con cui viene descritto il rapporto con un mondo a noi così vicino eppure lontano dalle nostre dinamiche. A volte si è impreparati alle loro reazioni istintive di protezione a ciò che è loro ma ancora di più, a
    mio avviso, alla loro sensibilità. Aveva capito di aver fatto del male alla sua padroncina e ha chiesto scusa in quel modo così delicato. Peccato non sia stato insegnato ad entrambi a rispettarsi e a comprendersi come esseri diversi invece di punire quella differenza con la lontananza. Scritto benissimo, con passione e sensibilità. Magari un giorno sarebbe bello, per una eterna romantica come me, leggere un finale alternativo di questo racconto.

  11. Si legge tutto d’un fiato e si rilegge ancora,lascia nel cuore tenerezza e tristezza strettamente intrecciate, sfiora sottilmente il mondo interno di una bambina,e l’apparente saggezza degli adulti.Lascia un segno e fa riflettere

  12. Grazie Marisa, Monica, Bibiana, Elena, Alessandro, Adelmo, AAA, Lino, Vincenzo, Giangiacomo, i vostri commenti mi restituiscono aspetti del racconto, chiavi di lettura del mondo e di me, grazie di cuore.

  13. Conosco bene questa sensazione… “Perché Chicco non esce dalla cuccia?”. Ma Chicco non c’era più. “Ora è in campagna, non era adatto a un condominio…”. L’inganno, l’improvvisa sparizione, un affetto strappato. Unica colpa sua e di Toby: essere un cane, con esigenze e reazioni di cane… Molto brava Ilaria, sia in questo che negli altri racconti! Sai trasmettere pienamente le emozioni, le fai entrare nel profondo a chi legge.

  14. Avendo conosciuto il bellissimo Toby, non ho potuto non emozionarmi. I ricordi affiorati alla mente sono davvero tanti.
    Toby è stato un cane, anzi, un amico speciale.
    Tu, come sempre, bravissima.

  15. Racconto meraviglioso, toccante, potente..a cominciare dalla chiusura. Complimenti.

  16. Questo racconto mi ha fatto emozionare. Non mi succedeva ormai da tempo. È dal 1976 che non mi emoziono così.
    Grazie Ilaria Palomba.

  17. Un racconto commovente… Tanto semplice quanto profondo. Quante volte agiamo pensando di sapere cos’è meglio per gli altri e facciamo degli errori madornali…

  18. Grazie, davvero. Ciascuno ha il suo Toby. E continua a cercarlo nelle nuvole.

  19. Brava Ilaria, complimenti. Nei tuoi racconti io vedo uno stesso personaggio femminile attraversare tre età diverse in una difficile evoluzione. Mi ha colpito la tua capacità di adattare lo stile al contenuto, saltando senza difficoltà dalla ruvida e disperata fotografia di “dove finisce il mondo”, a questa storia che sei riuscita così bene a raccontare con gli occhi, la voce e le emozioni di una bambina per cui il bianco è bianco, il nero è nero e il resto non si capisce e basta.

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