Premio Racconti nella Rete 2018 “J’accuse” di Stefano Adduci
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018Aprì gli occhi con fatica. Gli era particolarmente doloroso tenerli aperti.
Tentò di sfregarseli come tutte le mattine, ma stavolta qualcosa era cambiato. No non aveva bevuto troppo come aveva pensato in un primo istante.
Aveva i polsi fermamente legati dietro la schiena.
“cristo”
Era stato ammanettato nell’ingresso di casa sua. I suoi occhi ballarono una tarantella infernale in ricerca di qualcosa che gli facesse capire cosa fosse successo. Non ricordava nulla.
Rivolse lo sguardo ancora appannato verso il basso per riprendersi dallo shock poi, gli occhi risalirono lentamente fino a notare un piccolo post it giallo proprio accanto allo spioncino.
Si avvicinò alla porta, le sue gambe scricchiolarono e il rumore di una rotula urlante lo risvegliò dal suo torpore e lo aiutò a concentrarsi. Il post it era di un giallo fosforescente e pendeva sbilenco dalla blindata color quercia, la calligrafia dello scritto sembrava quella di un bambino, incerta e tremolante anche se il concetto espresso non poteva certo essere il frutto della mente di un infante.
Il contrasto lo fece rabbrividire. Si scosse tentando di rilassare i muscoli, li sciolse e si concentrò.
L’unica qualità che aveva sempre apprezzato di sé stesso era la razionalità e la freddezza in qualsiasi circostanza.
Inspirò, espirò.
Si focalizzò sul testo
“ok, qualcuno stava tentando di mascherare la propria calligrafia, ma perché?”
< voltati, hai due scelte>
Alla parola “scelte” sorrise, lo trovò molto ironico sentendo ancorale manette sfregare contro i suoi polsi.
Le opzioni concesse dal foglio erano due: “scegli il frigo” oppure “il telefono è sul microonde”.
“bravo” pensò “l’ermetismo di Montale proprio”
Stava sudando e il suo corpo emanava quell’odore acre che molte volte aveva sentito. Era l’odore della paura, un olezzo che penetrava a fondo, acido e intenso.
“sì ho paura , cazzo”
Prese un attimo di respiro poggiando la fronte sulla blindata. Era stanco.
“inspirare, espirare”
Si voltò ed effettivamente vide il cellulare sul microonde, era a circa tre metri di distanza.
Rifletté appoggiando di nuovo la testa contro il legno di quercia.
“chi mai, dopo aver fatto una cosa del genere ti concederebbe una via d’uscita così accessibile, così semplice, così a portata di mano?”
Sbatté la testa un paio di volte contro la porta per riprendersi.
Si voltò. Scelse il frigo.
Lentamente focalizzò lo sguardo sull’obbiettivo, lo fissò e mentalmente calcolò i passi necessari per raggiungerlo. Il narcotico che avevano dato continuava ad interferire sulla sua lucidità. Come previsto infatti, cadde.
Arrancò verso il tavolo di fronte a sé, lo costeggiò, lo doppiò e raggiunse il suo capo di Buona speranza come un vecchio esploratore alzò lo sguardo ed era a un passo dal frigo.
“dai Dario, un ultimo sforzo”
Riuscì ad alzarsi, il frigo era l’ Everest e lui novello Messnerr.
Aprì la bocca più che poteva e addentò la maniglia. Rivoli di saliva scorsero sul suo mento. Tirò con forza e con un rumore simile ad un bacio il frigo si aprì.
Esultò mentalmente a quel suono come neanche ai mondiali del 2006 e asciugandosi la sua stessa bava sulla spalla diede un’occhiata all’interno. Sembrava tutto normale.
Visualizzò nell’ordine: – birra
– Uova marce dal ‘75
– Il latte scaduto
– Altra smarrita tra due bottiglie di vodka shostakovich (“2,99 euro al tigros”)
– Un pomodoro troppo maturo che il deperimento aveva fatto somigliare all’ urlo di Munch
Rise al pensiero di quell’immagine.
“no, cazzo. Brutto, brutto segno ridere da soli”
“controllo Dario, controllo”
Abbassò lo sguardo per riprendere in mano la situazione. Poi la vide, una mela. Era proprio in basso.
Lo avevano sempre disgustato le mele, l’unica frutta edibile per lui erano le morositas alla fragola.
“che cazzo ci fa una mela nel mio frigorifero?”
Al suo fianco notò un altro foglietto giallo.
Capì subito. La chiave delle manette era nella mela.
Infilò subito la testa nel frigo e, come mai aveva fatto in vita sua, addentò la mela.
Ingoiò, masticò, divorò e sputò finché sentì qualcosa di duro sotto i suoi denti.
“è la chiave, sono salvo. Dio ti ringrazio.”
Ce l’aveva fatta. Continuò a masticare, ingoio pezzi di mela e alla fine sputò a terra la chiave.
“la prendo e sono libero”
Chinandosi vide un altro post it ai piedi del frigo.
“ fanculo. Ho la chiave machiavelli di sto cazzo”
Si abbassò e dopo vari interminabili tentativi, voltandosi e divincolandosi riuscì ad afferrare la chiave.
Sorrise e quasi gli scese una lacrima per quell’effimero successo. La vittoria di Pirro era la vittoria di Dario.
Riuscì faticosamente ad usare la chiave e sentì un click liberatorio. Si sentiva come Tim Robbins in “Le ali della libertà” mentre scattava verso la porta d’ingresso.
“era uno scherzo, sì! Magari qualcuno che voleva solo fargli provare una mela… Anzi…no, no un attimo”
Come in un deja vu’ si ricordo del post it ai piedi del frigo.
La curiosità ebbe la meglio, torno sui suoi passi e lesse.
Ancora la stessa calligrafia deforme diceva:
< come biancaneve la mela è avvelenata, hai due minuti e sei aldilà dello specchio, ora hai capito chi scrive?”>
Le caviglie non ressero la pesantezza della rivelazione e cadde in ginocchio. Poi, quasi al rallentatore, cadde faccia a terra semisvenuto.
Rinvenne quasi subito, aprì gli occhi e il foglietto era proprio di fronte a lui ora.
“Mia, è la mia calligrafia”
Chiuse gli occhi e un flash di un ricordo gli attraversò la mente. Una mano che afferra una mela da uno scaffale della frutta.
“ La mia mano”
Da quella posizione aveva ben chiara la visione del divano. Era di pelle nera, vecchio e consunto, i punti in cui la pelle si era staccata e i vari graffi ne sottolineavano l’età.
Con la coda dell’occhio notò che sul bracciolo giaceva qualcosa, non sapeva cosa fosse, vedeva solo una coperta dalla cui estremità colava a terra una specie di liquido. Lentamente il rumore delle gocce scandiva il ritmo dei suoi pensieri.
Ai piedi del divano infine vide un ennesimo post it.
“ma che cazzo è, saw l’enigmista?” esclamò ormai esausto.
Si avvicinò e lesse.
<Sì, sei stato tu>
Un altro flashback gli squarciò i pensieri. Intravide le sue mani inserire la chiave delle manette nella mela.
Ripiombò faccia a terra, la droga, il veleno o qualsiasi cosa ci fosse stata in quella mela stava facendo il suo effetto. L’incontro non proprio amoroso tra il suo mento e il parquet non fu dei migliori.
Sbarrò gli occhi.
“ Ricordo tutto ora. Sì ricordo ogni cosa, avevo previsto tutto”
Vide la busta a lato del divano e la prese con foga. Sapeva già di cosa trattava il contenuto.
Mentre legge i ricordi vengono tutti a galla, come conati di vomito dopo una sbronza.
Ancora la sua calligrafia. Il tempo sembrava essersi fermato in quel momento. Congelato nell’attesa della rivelazione.
< era l’unico modo per fermarti, Dario. Era l’unico modo per fermarmi. Ho ucciso la Bestia, ho ucciso me>
“nonvogliomorirenonvogliomorirenonvogliomorire”
Gli si stava appannando la vista ormai, vedeva perlopiù ombre. Aveva freddo.
Vide una piccola ombra alzarsi dal divano. Ecco cosa c’era sotto la coperta.
Capì che era il bimbo.
“pensavo di averlo ucciso, pensavo fosse morto.”
Il bimbo si chiama Goran e ha 6 anni. Dario lo aveva rapito due giorni prima al Tigros.
Lo voleva per sé, in tutti i modi possibili. Come tanti altri prima di lui.
Questo era quello che la Bestia lo costringeva a fare. Questo era quello che diventava.
Ricordò quel giorno.
“quell’avida di sua madre lo aveva lasciato solo a mendicare. Signora mamma questo è sbagliato, il mondo è pieno di gente cattiva” pensò la Bestia\ Dario.
Gli offrì 50 euro.
“il problema, cucciolo, è che non li ho con me, li ho lì in casa” disse la Bestia indicando un punto indefinito verso la statale.
Gli prese la mano e Goran lo seguì docile.
La Bestia lo portò a casa. Lo ebbe ed infine lo accoltellò con il suo coltello giallo. Usava sempre quello non sapeva perché.
Ora il bimbo lo stava fissando. Poi , come risvegliandosi da un incubo Goran si voltò e si avvicinò all’uscita. Alla salvezza.
“non può finire così, vuole scappare il piccolo bastardo”
Con uno sforzo sovrumano la Bestia riuscì a rimettersi in piedi e afferrò un pesante bicchiere di whiskey che era sul tavolo da cucina.
Alzò la mano e il collo che al movimento rispose con uno scricchiolio.
Il lieve rumore fece voltare il piccolo.
Fu un attimo.
Con gli ultimi brandelli di forza la Bestia lanciò il bicchiere verso il ragazzo e lo colpì sullo zigomo.
L’ urto fece girare di scatto il piccolo che perse l’equilibrio finendo a sbattere contro lo stipite della porta.
La Bestia udì un rumore secco, vide l’ombra a terra, immobile.
Poi crollò a terra anche lui, quasi sorridente Dario sentì un sapore ferroso invadergli la bocca. Chiuse gli occhi e si lasciò finalmente andare.
I mie complimenti Stefano, un grandissimo racconto, scritto in maniera magistrale!
Sei riuscito a costruire una storia diabolica con una tensione in crescendo senza un attimo di respiro.
Una prosa efficace e moderna,un finale alla Psyco e…una coltellata nelle viscere del lettore.
Per me bravissimo, anche se non so quanti apprezzeranno l’ orrore oltre l’ultimo sipario…
Coraggioso il tema trattato e l’uso della prima persona !
Wow!
Un vortice di emozioni e sorprese, scritto in modo incredibile e con un finale terribilmente (in tutti i sensi) perfetto.
Bello … da paura!
Bravissimo.
Grazie mille Gianluca
Grazie Luca… Gentilissimo
Mi piace moltissimo questo tipo di scrittura. E’ come entrare nella testa del personaggio. Geniale nella sua crudezza
Grazie mille Laura. Molto gentile.
Stefano ti faccio i miei complimenti per il coraggio nel trattare un tema come quello della pedofilia. É un racconto che fa rabbrividire… Soprattutto perché è pieno il mondo di Bestie e di Goran. A volte fanno notizia… altre neanche.
Bentornato Stefano, e complimenti. Sono stato catturato da questo tuo nuovo scontro fra due personaggi uniti e intrappolati in una partita che non possono vincere. La tua scrittura è efficace e tagliente e disseziona la parte buia dell’anima quando parla, agisce e ride senza speranza e cuore.