Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2018 “Ritorno al Caos” di Alessandro di Nepi Finzi

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018

Per costruire un Boeing occorrono circa 2.800 pezzi. In un pianoforte ce ne sono oltre 12.000.

Mattia era riuscito ad acquistare il suo, grazie al lascito della nonna paterna che aveva dedicato la vita all’insegnamento della musica ai ragazzi con disabilità.

Lei era stata l’unica a comprendere la passione del nipote per quel misterioso strumento e a consigliargli di sfuggire alle facoltà universitarie tradizionali e al futuro in ufficio che promettevano.

Prima che arrivasse il pianoforte, il monolocale di 40 metri quadrati di Mattia era già un caos di libri, CD e fogli di spartiti sui quali abbozzava idee cui non riusciva a dare un volto definitivo.

Il massiccio strumento era arrivato una mattina di ottobre e aveva condizionato la disposizione dello poco mobilio del monolocale. Le pile di libri e dischi erano state adagiate contro i muri, così come le altre testimonianze del suo rapporto sciatto con le cose. Ora, più di prima, gli “accumuli di cultura” ricordavano le stalagmiti di una grotta che giorno dopo giorno, impercettibilmente, finiscono per imporre la loro presenza grazie al sovrapporsi di una goccia sull’altra.

Mattia era disordinato non meno del proprio monolocale: i capelli rossi sempre arruffati incorniciavano lo sguardo di un azzurro profondo e i lineamenti ancora infantili, a dispetto dei 26 anni suonati.

Valentina, con la quale conviveva da appena un anno, di carattere completamente diverso, non era riuscita a incidere sul suo modo di vivere.

Gli opposti non si attraggono, si avvicinano inesorabilmente. Per poi scontrarsi.

Prima di trasferirsi da Mattia, Valentina aveva vissuto in casa con i genitori. La stanza dove dormiva e studiava rispecchiava perfettamente la sua concezione ortogonale del mondo: solo un poster dei Pink Floyd e alcuni libri adagiati scompostamente su un lato della scrivania turbavano le geometrie di quell’ambiente senza guizzi di gioventù.

L’appartamento di Mattia era proprio come la stanza nella casa dei suoi genitori. Solo con un bel segno “meno” davanti.

A Valentina era mancato il fiato quando, invitata per un caffè, era entrata per la prima volta in quel monolocale. Quando, però, Mattia aveva aperto il coperchio del piano e si era seduto sulla panca per suonare, gioia e dolore, compassione e ferocia e tante emozioni differenti ma in armonia tra loro, avevano inondato l’appartamento.

Riverso sulla tastiera e intento a percorrere i sentieri della sua musica, in alcuni momenti con autentica disperazione, in altri con impalpabile leggerezza, Mattia aveva offerto all’unica ascoltatrice un’esperienza emotiva indimenticabile.

«Questo brano non è finito. Sono due anni che sono bloccato su un passaggio… non so come risolverlo» le aveva detto, interrompendo il concerto all’improvviso.

Valentina era rimasta seduta. In silenzio. Un po’ intimorita ma soprattutto incantata dall’animo tormentato di Mattia che le si era rivelato in maniera così travolgente in quella mezz’ora di musica ed emozioni.

«Niente di che questi brani, vero? Senza capo né coda.»

Mentre parlava, si era accorto che Valentina lo guardava in modo più arrendevole rispetto a prima, come se avesse compreso che il caos della stanza era il riflesso in superficie del suo essere artista. La punta di un iceberg. Incandescente come una stella.

«Che dici? No! Sono pieni di anima» le aveva risposto finalmente lei, interrompendo quel silenzio così denso.

Mattia era arrossito e aveva scrollato le spalle timidamente. Non sapeva cosa rispondere ma aveva intuito che quelle note li avevano avvicinati.

Valentina e Mattia, dopo il primo caffè e quel pomeriggio di musica, si erano visti con maggiore regolarità fino a ritrovarsi in un’appassionata relazione sentimentale, sfociata poi nella condivisione degli spazi.

Ogni sera, mentre lei preparava la cena, Mattia sedeva al piano alla ricerca di melodie delicate o struggenti che pescava nel pozzo della propria sensibilità.

Valentina stava proprio bene con lui, pur avvertendo la mancanza di un tocco femminile nella casa e l’assenza del prezioso conforto dell’ordine, retaggio della vita precedente con i genitori.

Un giorno, approfittando di una sua trasferta a Milano per un’audizione, Valentina aveva acquistato qualche mensola e un armadio componibile all’IKEA e, indossata una tuta da ginnastica e raccolti i capelli in una lunga coda, aveva provato a ridimensionare l’informe caos del loro appartamento.

Il risultato era stato che i cd di Mattia erano ora allineati su una mensola sopra il letto, i fogli di musica ordinatamente inseriti in un porta-documenti di metallo posto sul bordo della scrivania, la biancheria pulita piegata nei cassetti e i vestiti di entrambi riposti nell’armadio secondo una rigorosa progressione cromatica.

«Ci voleva proprio. È tutta un’altra cosa ora!» si era detta al termine dello sforzo, rossa in viso e con entrambi i palmi delle mani schiacciati sui fianchi.

Soddisfatta dell’opera, era scesa nuovamente da casa per acquistare un vaso con delle finte orchidee. Dopo vari tentativi, l’aveva collocato sulla coda del pianoforte chiuso e aveva annuito a se stessa con convinzione.

Si era, poi, fatta una rapida doccia attendendo il ritorno del fidanzato, certa che la piccola metamorfosi sarebbe stata apprezzata. Mattia era rientrato qualche decina di minuti dopo. Gli si leggevano sul viso le buone notizie e l’entusiasmo con cui voleva condividerle.

Pochi passi in casa e, atterrito, si era dovuto fermare. Barcollando, aveva indietreggiato fino all’uscio. Poi aveva guardato le nuove sembianze del suo monolocale. Era frastornato, confuso. Sembrava proprio che ogni cosa avesse trovato il proprio posto e che, ora, ogni posto custodisse una e una sola cosa.

Mattia non poteva certo definirsi un tipo loquace ma lo sforzo compiuto – pensava Valentina – meritava, in ogni caso, uno straccio di commento.

Mattia, però, era rimasto in silenzio sulla porta dell’ingresso con una mano incollata al trolley e l’altra a contenere tra indice e pollice il giubbotto di pelle accartocciato.

«Meglio no? Che dici?» gli aveva chiesto.

«Meglio cosa?»

«C’è più spazio per noi. C’è più ordine. Non sembra anche a te che si respiri meglio senza tutta quella confusione?»

«Confusione? Vale, di cosa parli?»

«Dai, Mattia! Fogli scarabocchiati ovunque, colonne di libri che sembravano crescere come rampicanti sui muri. Non è più carino così?»

«Quegli scarabocchi sono la mia musica, il mio lavoro. La mia vita! Come ti è venuto in mente di rinchiuderli lontano dalla mia vista?»

«Pensavo che un giorno li avresti sistemati. Non c’eri e l’ho fatto io per te. Ho sbagliato? Non dovevo?»

«Certo che hai sbagliato! Le idee voglio che prendano forma e direzione da sole. Liberamente. Se i fogli – che io chiamerei spartiti, se non ti dispiace – erano lì è perché lì volevo che fossero. Non dovevano diventare le vittime sacrificali della tua smania di mettere sempre tutto a posto. Secondo il tuo ordine, ovviamente. Questo è ciò che non fa respirare me. Tanto per esser chiari!»

«Non credevo che mettere mano alla confusione che ci circonda ti avrebbe fatto innervosire così. Scusa tanto, sai! Comunque l’ho fatto con l’idea di farti un piacere. Perché sei così aggressivo? È andata male l’audizione, Mattia?»

«Esattamente il contrario. L’audizione è andata benissimo. È che mi fa strano che questi cambiamenti li hai fatti proprio quando io non c’ero. Hai soddisfatto il tuo implacabile bisogno di ordine! Non hai fatto un favore a me. Non dirmi balle!»

«Ho cercato di rendere più vivibile l’appartamento per entrambi. Scusami tanto! Non so se ti sei accorto che, qui con te, ci vivo anch’io da un po’…»

«Ma poi che ho fatto di tanto sbagliato? Hai visto? Ho messo anche i fiori sul piano. Belli, no? Non dobbiamo nemmeno innaffiarli così non c’è rischio di fare casini con l’acqua. Sono bellissimi però finti. Li ho trovati in un negozio qui vicino.»

«Il pianoforte è uno strumento musicale con trecento anni di storia. Non un mobile dove appoggiare un vaso di fiori finti del cazzo!»

Valentina stava per replicare ma poi aveva deciso di lasciar perdere, percependo il crescente nervosismo di Mattia.

Bianco in volto e leggermente sudato, il suo compagno si era liberato del trolley scaraventandolo in un angolo, aveva lasciato cadere a terra il giubbotto, si era levato furiosamente di dosso il maglione e la camicia, entrambi logori sul collo, e si era seduto al piano.

Sperava che il cattivo presagio che lo turbava fosse soltanto frutto della suggestione e della stanchezza della trasferta.

Come un arco senza frecce, si era incurvato verso la tastiera ma l’implacabile pianoforte non restituiva più la passione, la fluidità, la brillantezza e il calore delle sue intuizioni musicali. Nella stanza fluttuavano senza grazia note e suoni senza corpo.

«E io come faccio adesso? L’hai sentito, no? Non suona più… ».

«Porca troia, Vale! Come ti è venuto in mente?»

«Voglio che tutto torni immediatamente come era prima!» Le ultime parole Mattia gliele aveva gridate in faccia mentre lei, rannicchiata in posizione fetale, piangeva sommessamente in un angolo del letto addossato alla parete.

Dopo quella sfuriata incomprensibile, Valentina aveva deciso di tornare dai propri genitori e aveva promesso di presentarsi l’indomani per togliere l’impiccio delle sue cose.

Il giorno dopo, rientrando nel monolocale, aveva notato che le mensole che, con fatica, aveva montato, erano state divelte con inaudita violenza.

Mattia, invece, l’aveva trovato a terra. Intento a ricreare la confusione che, prima di lei, era stata l’unica creatura con cui era riuscito a interagire fino in fondo. Lui non si era nemmeno accorto del suo arrivo, nonostante il freddo saluto di Valentina.

Stava spargendo fogli, CD e libri sul pavimento mentre le sue labbra tenevano un incomprensibile conto.

«Seimila-quattrocentocinque… Seimila-quattrocentosei… Seimila-quattrocentosette».

Lei lo aveva lasciato lì. Aveva deciso di prendere le sue cose e basta. Gli aveva voltato le spalle ed era andata via, non preoccupandosi nemmeno di richiudere la porta dietro di sé.

Mattia aveva terminato il folle conteggio in piena notte, il giorno seguente. Si era fermato a diecimila-settecentoventi.

Tanti erano i pezzi necessari a ricomporre quel caos, indispensabile per far esprimere al meglio la sua musica e fargli riassaporare il dono della sua creatività.

Il pianoforte, nero e lucido, immobile al centro del monolocale, ne aveva, invece, molti di più. Oltre 12.000.

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10 commenti »

  1. Ciao Alessandro, ho letto piacevolmente entrambi i tuoi racconti,belli e scorrevoli con una prosa chiara e un giusto intercalare di dialoghi e descrizioni.
    Questo in particolare mi ha colpito per la trovata che unisce l’incipit al finale e che naturalmente non riprendo per non togliere la sorpresa ai futuri lettori.
    Bravo veramente!

  2. Bravo Alessandro! Scusa ma faccio il tifo per Valentina … sarà per la sua condivisa mania per l’ordine sarà perché é donna … scherzi a parte mi é piaciuto il tuo racconto denso di sentimenti, scritto bene con i dialoghi che movimentano la narrazione e un finale non scontato. Complimenti!

  3. Racconto intenso che ben descrive una relazione di coppia. Belli i contrasti caratteriali e particolare l’incipit.
    Davvero bello. Complimenti

  4. Grazie ragazzi.Poi anche i complimenti da uno dei vincitori della scorsa edizione… Gongolo!

  5. La vita come un grande puzzle: ognuno ha la libertà di usare quanti pezzi vuole per costruire il suo nel migliore dei modi.
    Nel segno del caos

  6. Alla ricerca del Caos perduto! Un’indagine psicoanalitica di una sindrome patologica descritta con un eccellente mix di partecipazione e condivisione-

  7. Bravissimo Ale!
    Ottima narrazione e piacevole finale
    Un abbraccio da Elena

  8. Ottima analisi di coppia. Qualche volta c’è necessità del caos per far chiarezza dentro noi stessi, è una delle stranezze della vita

  9. Caro Alex, complimenti alla tua penna che trasferisce bene in una “web form” il racconto del disordine creativo degli artisti.Più che alla coppia, penso al mio rapporto col pensiero destrutturato degli artisti … io sono Valentina che cerca di mettere ordine non tanto al momento creativo, quello è pure auspicato, ma a quello successivo, quando è necessario consolidare l’oggetto della creazione, quando bisogna organizzare il frutto del momento creativo. Beh, senza una Valentina, gli artisti sono sovente perduti … spesso si bruciano in mancanza di quella. Ecco lo spunto per il seguito … 😉
    Bravo ! A presto, a riordinare le 12.000 parti del pianoforte.
    Francesco

  10. Nel mio disordine c’è il mio ordine…
    Razionalmente, comprendo Valentina e il suo gesto di “amorevole egoismo”. Però, mentre leggevo, mi immaginavo il ritorno di Mattia. Non più a casa, ma in un altrove senza anima… la sua.
    Bravo Alex!

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