Premio Racconti nella Rete 2018 “Polifemo” di Chiara Lombi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2018Era la terza volta che passava di lì, era passata ormai un’ora e a furia di camminare i piedi cominciavano a risentirne, si soffermò nuovamente ad osservare quella stupida statua, non si spiegava ancora, dopo tanti anni in quella triste e monotona città, il perché di quella testa esageratamente enorme, certo più volte gli avevano ripetuto la storiella della metafora della saggezza o qualcosa di simile, ma sinceramente non si capacitava di come l’artista potesse aver anche solo creduto che un elemento tanto caricaturale potesse evidenziare una spiccata profondità intellettuale, a lui sembrava solo stupida e assolutamente spassosa. Riportò l’attenzione all’orologio. Un’ora e un quarto, davvero si era fermato di nuovo quindici minuti a fissare quella statua idiota? Doveva cambiare il cinturino, era terribilmente consunto, la pelle logora assumeva diverse tonalità di marrone e il bordo era in parte, se non completamente, sfilacciato, se lo portò al naso, gli sembrò di sentire, nascosto tra le note del cuoio, un aroma di tabacco e sudore; un ricordo gli sfiorò la mente, lo scacciò via rapido, facendo un cenno con la testa, come se quel gesto potesse nasconderlo nuovamente lì dove era stato sepolto. Si incamminò verso il lato nord della piazza, i portici marmorei offrivano un po’ di sollievo dall’afa estiva e le persone vi si rifugiavano come se ne dipendesse della loro stessa vita, correvano ed una volta raggiunti enfatizzavano il sollievo provato con profondi e troppo rumorosi sospiri. Dal bar all’angolo proveniva un’orecchiabile musica country, schioccando le dita a ritmo di When I’ve Been Drinkin’ si avviò verso la scalinata laterale con uno sciocco sorriso stampato in faccia, poi si fermò. Immobile. Una smorfia di disgusto gli passò rapida sul viso. Fottuto piccione, odiava quelle bestiacce fin da piccolo, ricordava ancora come la madre li aveva descritti una volta: “topi con le ali”, una sorta di creatura mitologica, “Cosa può esserci di peggio di un topo con le ali?” Aveva esclamato con tono melodrammatico, e poi aveva posato i suoi occhi tristi su di lui ed immediatamente distolto lo sguardo, come se guardarlo le facesse troppo male al cuore per potersi permettere di soffermarsi più di qualche secondo ad osservare il figlio. La madre l’aveva sempre odiato e lui dopo anni si era perfino dimenticato il motivo o forse non l’aveva mai davvero saputo. Lei era morta e il suo odio l’abbracciava nella tomba raffreddando un corpo già gelido. Il piccione saltellò per qualche metro e spiccò il volo. Strada libera. Un’ora e mezza. Quel cinturino era davvero da buttare! Si allontanò dai portici e il sole lo colpì, si portò le mani al viso per ripararsi e si massaggiò freneticamente le palpebre, sollevò piano le sopracciglia e corrugò la fronte. Anni prima la maestra Sofia aveva raccontato alla classe la storia del gigante Polifemo da cui Nessuno era sfuggito, tutti tifavano per Ulisse ma lui no, a lui piaceva Polifemo, lui si rispecchiava in Polifemo, diverso, strano, deriso, l’antagonista, il modello di nessuno accecato da Nessuno, ed ora come allora si sentiva rinchiuso in un ruolo disprezzato, non capito, scomodo. La sua stranezza non era concepita come diversità, ma come mostruosità, un antagonista in un mondo dove tutti vogliono essere eroi e dove forse l’eroe non è nemmeno Nessuno. Continuò a camminare con un passo più lento e la schiena leggermente inarcata, si osservava i piedi e faceva attenzione a non poggiarli sulle scanalature tra una lastra di pietra e l’altra, quella stupida fissazione l’aveva sempre divertito, il campanile suonò cinque rintocchi, ognuno si disperse gradualmente come se volesse lasciare un fugace ricordo di sé. Mancavano due minuti. Era arrivato due ore prima per essere sicuro di trovarsi davanti alla fontana alle 17.02 esatte. Aumentò il passo e frugò nelle tasche, ne estrasse immediatamente una moneta da venti centesimi, si avvicinò al parapetto, controllò rapidamente l’orologio, chiuse gli occhi e la gettò nell’acqua, espresse lo stesso desiderio che esprimeva ogni anno. Essere una piccola libellula e volare via, via dalla sofferenza, via dalla pietà disgustosa riflessa negli occhi di tutti coloro che lo circondavano, via dalla monotona inerzia che muoveva la sua vita. Voglio essere una libellula. Si voltò e si avvicino ad un cestino massaggiandosi il polso, slacciò l’orologio e lo gettò. Quel cinturino era davvero da buttare.
Titolo: “L’autismo della libellula che rinchiusero nel barattolo”
Una sola parola: fantastico.
Chi legge sente e vive la claustrofobica sofferenza della diversità.
L’ho riletto più volte, affascinato, spingendo le pareti barattolo.
Bravissima.
E’ la terza volta che passo di qui…ed ogni volta che leggo questo racconto trovo qualcosa che mi era sfuggito la volta precedente e mi piace sempre di più. Mi era già capitato di leggere racconti che trattano di autismo, ma il tuo, Chiara, è proprio speciale. Mi piace la tua ” cura del particolare ” , la ripetizione delle immagini e sei stata davvero brava a dare alla voce narrante una voce diretta, essenziale quasi a volerci privare di qualsiasi emozione per poi lasciarla arrivare come un’ onda, subito dopo, nella riflessione del testo . Mi piace il ritmo, scandito da quell’ orologio col cinturino usurato che trascina il lettore sempre sullo stesso punto e ne sottolinea, ogni volta, l’ importanza: l’ importanza dell’ utilizzo del tempo nelle persone autistiche che, quando non vengono sapientemente guidate, rischiano di disperderlo e di girare sempre in tondo. Come dentro ad un barattolo, appunto. Commovente l’ analogia con Polifemo e azzeccatissima, magica e romantica la simbologia della libellula come desiderio di libertà e trasformazione. I Samurai ne avevano sempre una impressa sul proprio elmo e per loro significava VITTORIA. Ti auguro ti sia di buon auspicio. Bravissima.
Grazie mille Gloria e Luca, è stata un’emozione grandissima leggere i vostri commenti, la profonda comprensione di questo piccolo mondo da parte vostra è la mia più grande vittoria! in ognuno di noi risiede un Polifemo e dobbiamo andarne fieri.
Struggente. Molto bello.
complimenti davvero!
Le parole sono spesso inadatte a trasmettere emozioni; è un pò come cercare di dipingere un quadro con un pennello troppo grosso. Solo alcune persone speciali sono in grado. Tu , Chiara , hai dipinto un quadro bellissimo ; e con quel pennello. E’ evidente che sei persona speciale .
Grazie Mariangele e Pietro sono commossa, di certo non mi aspettavo questi commenti, mi avete lasciata senza parole!
Breve, intenso e terribile, in senso buono.
Davvero bello, avrei voluto durasse di più.
Complimenti!
Grazie mille Giovanni, volevo lasciare al lettore spazio per l’immaginazione, fare in modo che chiunque leggesse il mio racconto fosse parte attiva e non solo passiva della narrazione, sono contenta che tu l’abbia apprezzato nonostante la sua brevità.
Bravissima Gloria. Ho voluto anch’io rileggerlo più volte e anch’io ogni volta colgo e sento qualcosa in più. Conosco.. Se così si può dire.. bene l’autismo e mi sembra di immaginare il protagonista nelle sue movenze descritte con cura e precisione preso dalle cose da fare e da guardare. Che tenerezza contrapposta alla durezza della madre e della vita quando si è troppo speciali per essere “normali” e passare… Almeno ogni tanto.. inosservati.
Un ragazzo autistico in una città che pone attenzione alla “diversità” esclusivamente con sguardo pietoso.
Il ragazzo ha cognizione della sua disabilità tanto da immedesimarsi nella figura “perdente” di Polifemo, si sente anche lui ” modello di nessuno” perché la società non si prende cura di lui come di una persona speciale. Lasciato nella grotta oscura o per meglio dire nel barattolo, può vedere trascorrere il tempo osservando ciò che gli sta attorno senza possibilità di interagire se non con i desideri: la moneta gettata nella fontana ritualmente ogni anno alla stessa ora. Nel racconto seppure tra le righe noto la denuncia della condizione dei ragazzi autistici, abbandonati dalle istituzioni dopo il compimento della maggiore età, per i quali le istituzioni non hanno strutturato servizi alternativi alla scuola ed alla famiglia. Mi è piaciuto molto, davvero brava
Nota a margine:
vorrei leggessi il mio racconto per avere elementi di riflessione, questo vuol dire in tutta sincerità.
Grazie Anna e Anna Rosa è stato un piacere leggere i vostri commenti. Anna Rosa leggerò sicuramente il tuo racconto e sarò felice di lasciarti un commento.
Viene voglia di abbracciarlo e stringerlo forte questo tuo personaggio così ben descritto, con la sua ipersensibilità, le sue fobie, il suo voler non essere di peso, il suo guardare da un’angolazione diversa (ma poi così tanto? Veramente nessuno di noi di fronte ad una celebrata opera d’arte e alle spiegazioni fornite ha mai pensato: ma sarà vero o ce la stanno raccontando?) e la sua ossessione del tempo, il suo voler essere accettato per la persona che è e il suo dolore presente in ogni pensiero o gesto per essere stato rifiutato persino dalla madre, e chi lo può accettare allora? Meglio volare via, come una libellula, leggero del passato sconfitto. Bello il gesto finale, quel suo gettare via non solo il cinturino (la chiusura dei ricordi), ma anche l’orologio, che ha misurato tutto il tempo passato, fiducioso che il suo desiderio verrà esaudito. Molto brava, grazie per questo tuo racconto.
Molto bello e ricco, di immagini, sensazioni. Ci fa entrare dentro al protagonista, nel leggere mi sono sentita un poco lui. Mi unisco agli altri complimenti, perché ci sono cose che solo un animo sensibile e attento può riuscire a trasmettere.
Mi emoziono sempre a leggere i vostri commenti così belli e profondi, devo ringraziare io voi per la sensibilità e l’attenzione che dimostrate, penso che molti di noi siano afflitti da una sorta di “autismo metaforico” che spesso ci fa sentire soli e spaesati, circondati da persone che non possono comprendeci, tutti a volte vorremmo gridare a squarciagola, sperando che qualcuno ci presti attenzione e non posso che essere felice di essere stata ascoltata da voi. Se urliamo tutti insieme forse qualcuno ci sentirà e ci prenderà per mano, come voi avete preso per mano il mio personaggio. Grazie di cuore