Premio Racconti nella Rete 2017 “Stazione di cambio” di Simone Gentile
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017Venerdì 6 ottobre.
Oggi.
La data in agenda era segnata con tre linee rosse. Niente di più.
Eppure la data rappresentava un momento importante per la vita di Paolo.
Oggi – precisamente alle 18:15 – Giulia sarebbe tornata a Roma.
Il suo soggiorno studio di 6 mesi era terminato e con esso la lontananza forzata che ne era derivata.
Mentre prendeva il bus, con netto anticipo sull’arrivo del treno, ripensava a prima delle partenza, quando l’eccitazione si mescolava alle prime forme abbozzate di malinconia negli occhi velati di entrambi.
Paolo la rincuorava, rassicurava Giulia sulla sua integrità, sulle sue intenzioni di raggiungerla presto per starle vicino e le ricordava dei progetti fatti insieme che avrebbero trovato compimento una volta ricongiunti.
Di non preoccuparsi di nulla.
Il bus sobbalzava continuamente restituendogli tutta l’inadeguatezza delle sospensioni su una strada che non risparmiava nessuno.
Lei era partita con tutta la serie di ultime cose fatte insieme: l’ultimo bacio, le ultime lacrime asciugate con il dorso della mano, l’ultima volta a far l’amore in macchina – con lentezza esasperante, non appagante per entrambi.
Si erano separati e dal lento incedere del treno era cominciato il distacco che impercettibile, insinuante e subdolo aveva allentato le maglie del loro rapporto.
Niente che non si aspettassero di sperimentare (di fatto era la prima volta che si separavano dopo anni di fidanzamento) eppure la loro capacità di esasperare le cose – con canzoni strappalacrime, pensieri sdolcinati affidati a e-mail trepidanti e preghiere affidate ad un dio diversamente percepito – rendeva la faccenda molto più drammatica di quanto non fosse in realtà.
Si sentivano ogni giorno, tra i rimbrotti di lei, e Paolo ne conservava il sapore agrodolce delle parole dette e di quelle taciute.
Il filo dei pensieri fu bruscamente spezzato da un forte olezzo proveniente da un barbone che barcollava lungo l’autobus. Paolo non potè opporsi quando l’uomo lercio andò a sedersi di fronte a lui per poi addormentarsi rumorosamente di lì a poco.
Ritornò lentamente ai suoi pensieri, ancora disturbato dall’odore penetrante, cercando di filtrare le immagini da quella cortina giallastra che gli nauseava la memoria.
Ripercorse il viaggio, a sorpresa, che le fece circa un mese dopo la sua partenza. I faticosi scali e l’esborso notevole per il suo portafogli da studente non erano argomenti che andavano a scalfire il suo ideale romantico.
Di ben altro avviso fu Giulia, spiazzata dalla sorpresa di trovarselo allo studentato con lo zaino in spalla e un sorriso a 32 denti.
Quel giorno avevano impegnato tutto il tempo a riconoscersi in vesti così diverse: lei studentessa alle prese con una lingua ostica e fredda e un impegno notevole a camuffarsi da “non italiana”, lui con l’incapacità di portare in quel bozzolo ovattato qualcosa di nuovo che non fosse una porzione stantia del loro quotidiano pre partenza…una porzione che fece presto capolino e divenne slavina di nostalgia.
Fecero l’amore sul materasso buttato a terra per il troppo cigolio del letto: risultò macchinoso, rapido e insoddisfacente.
Il secondo giorno – già monco per la partenza prevista nel pomeriggio – sembrò diluito nel tempo e nello spirito. Passeggiarono nel parco cittadino, lei parlando dei suoi corsi e delle sue aspettative a breve termine e lui disquisendo del questo e di quel pettegolezzo del giro di amici; viaggiavano su binari diversi che convergevano solo alla stazione.
Come saluto si scambiarono rimbrotti reciproci: “Dovevi proprio venire?”,” So che non potevi stare senza di me!”, “Sembra quasi tu mi voglia controllare”, “No, anzi, voglio solo farti capire quanto ti sono vicino”, “Ci vediamo quando torno”, “Ci sentiamo presto”.
Paolo ricordava bene il rientro; funestato da un guasto del treno e dall’ansia di perdere coincidenze e aereo di ritorno,si muoveva in uno spazio ovattato da una sensazione di perdita e dall’ingombrante malessere generato dall’avere deluso le aspettative di Giulia.
Decise di non farsi sentire nei giorni successivi, fiero di renderle la tranquillità che lui stesso aveva infranto.
In qualche modo tornò l’equilibrio.
Paolo fu sorpreso e lusingato dal sentire dalla voce di Giulia che “Forse sono stata troppo dura con te”…”Sono felice tu sia venuto”…”Lo capisco solo ora che siamo di nuovo lontani quanto mi manchi”.
Ora era torntao a respirare aria di aspettative – soprattutto perchè il barbone era finalmente sceso dal bus – si era riconciliato con la sua anima catastrofica che vedeva solo cose sbagliate da tutta la faccenda.
Aveva atteso stoico la data del ritorno, sforzandosi di rimandare tutti gli argomenti che riguardassero loro due e la vita del suo quotidiano. Paolo si era sintonizzato sulle onde corte di Giulia, viveva pienamente le sue vicende, sosteneva le sue cadute e ne esaltava i successi.
Si era ridotto al minimo per non pensare, per non crearsi aspettative troppo pressanti e bersaglio facile di delusioni cocenti.
La sua atrofia viveva un opposto nell’ipertrofia di lei che costruiva castelli via via più grandi, in altri posti, in altri tempi e, probabilmete – pur non ammettendolo mai a se stessa – con altre persone.
Il viaggio nei ricordi aveva spossato Paolo più del dovuto e giunto alla stazione si ritrovò spaesato e indeciso sul da farsi.
Voleva regalarle qualcosa per il ritorno.
Un regalo, si, ma non troppo impegantivo.
Più un simbolo, un dono di impatto emotivo.
Il suo sguardo si spostava tra le scelte offerte dallo snodo ferroviario (tutte con il commento della voce di Giulia): libri (troppo commerciali!), riviste (dozzinali!), peluche (sdolcinati!) e dolciumi (mi vuoi grassa?!).
Paolo optò per dei fiori.
Una composizione semplice che badasse più ai colori ( i preferiti di Giulia) che al significato dietro ai fiori. Si pentì non appena messo mano al portafogli.
Ormai era fatta .
Un po’ per combattere l’ansia e un po’ per puro senso pratico, Paolo alzo lo sguardo verso il tabellone degli annunci. Le tessere cominciavano una danza frenetica, sgomitando per prendere posizione e aggiornare lo stato dell’arte.
Trovava rinfrancate che a quella corsa continua al cambiamento seguisse, con assoluta certezza, il trovare sempre un posto nel grande schema della vita; vivevano la loro frenesia senza sorprese.
Il treno di Giulia era dato in arrivo.
Appena 10 minuti e Paolo avrebbe sciolto il fardello grumoso cresciutogli dentro lo stomaco in un abbraccio ristoratore.
Il tempo di guardagnare il binario giusto ed attenderla sulla banchina.
Paolo si incamminò lungo il corridoio mentre, dalle altre banchine, cominciavano a sciamare studenti, professionisti, turisti, lavoratori, comitive, scolaresche e tutto quel variopinto mondo di viaggiatori pendolari.
Ben presto il suo andare controcorrente risultò un problema. Paolo cercava di evitare i banchi delle persone più strette tra di loro, fuggiva le coppie che mai si sarebbero lasciati la mano per farlo passare in mezzo, schivava i gruppi di ragazzi attaccabrighe che lo avrebbero fagocitato nei loro giochi barbari.
Saltellando qua e là sembrava guadagnare metri ma, appena perdeva la concentrazione, subito si trovava costretto a recuperare.
Il tutto badando alla composizione così fragile tra le sue mani.
Prese un minuto per riorganizzare le idee.
Doveva affrontare la massa mutevole di persone con l’unica priorità di arrivare qualche istante in anticipo all’abbraccio riconciliatorio con Giulia.
Affrontò nuovamente il flusso stupendosi di come, imboccandolo con la giusta risolutezza, fosse più malneabile, quasi rispondesse benigno alla sua volontà.
Paolo portava la composizione floreale ora come un araldo in battaglia, tenendolo ben davanti a se, ammantando quel fragile oggetto della sua fermezza.
Arrivato all’imboccatura del binario giusto, Paolo fu raggiunto dalla voce metallica dell’altoparlante. Il treno era arrivato in stazione ed era in procinto di stazionarsi in banchina.
Era fatta.
Una rampa di scale lo divideva dal suo proposito di farsi trovare sorridente e immobile di fronte al treno di Giulia.
Esitò un istante.
Incapace di resistere alla corrente umana, si lasciò trasportare dai dubbi e dalle incertezze.
Il grumo dentro di lui esplose rilasciando la sua tossicità. Tutti i propositi vennero spazzati via e non gli rimase altro che negazione: il non fatto, il non detto, il non scelto, dilagarono in lui e lo sommersero.
L’insicurezza lo avvinghiò costriggendolo a guardarsi indietro con la paura di scorgerla, di sentirla chiamare il suo nome.
Quando il treno aprì le sue porte, non c’era nessuno ad attendere Giulia. Lei quasi non si aspettava diversamente tanto aveva anestetizzato il suo animo.
Scese le scale sospinta dal flusso dei passeggeri e provò tristezza nel vedere quella scialba composizione floreale, dai colori accoppiati male, calpestata da innumerevoli scarpe distratte.
Un racconto emozionante e toccante, che lascia un sapore amaro in bocca. Mi ha ricordato il nostro continuo andare avanti quando dovremmo invece fermarci e riflettere su quello che stiamo facendo, su chi abbiamo al nostro fianco. Andiamo avanti senza mai domandarci “è la cosa giusta? Sono davvero felice?” e siamo sempre convinti che tutto si risolverà. Il tuo racconto mi ha permesso di riflettere, ti ringrazio con tutto il cuore. In bocca al lupo
E’ vero. Succede proprio così. Credo che tanti possano identificarsi nei due protagonisti e nel progressivo scadere e decadere dei sentimenti di fronte alla semplice ma ingovernabile varietà della vita, quella stessa che impone dei cambi non sempre desiderati e a volte anche combattuti ma che finiscono comunque con l’influenzare le cose.
Un po’ di amarezza, ma sana e credibile. E un titolo perfetto.
Simone,
un flusso di sensazioni, calde emozioni, ricordi incombenti e pericolose aspettative che lascia riflettere sull’impossibilità di frenare il vento, silenzioso ma inesorabile, del cambiamento.
Vero e sincero come una pugnalata allo stomaco.
Bravissimo.