Premio Racconti nella Rete 2017 “La bambina e la sua ombra” di Sabina Rizzo
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017
Nata durante una notte di tempesta, il parto fu difficile per le condizioni avverse che si verificarono nell’arrivo all’ospedale crebbe in un clima freddo e arido d’ affetti, il padre sempre fuori per lavoro al ritorno a casa non aveva tempo da dedicare ai figli, nel tempo libero beveva, la madre presa da problemi economici, riusciva a malapena a non far mancare niente alla famiglia e a farli vestire dignitosamente, cresciuta con l’ affetto della nonna che riusciva a darle quel calore e quell’affetto di cui la bimba aveva bisogno, dopo un periodo di breve serenità le condizioni di quella anziana donna cominciarono a peggiorare, la vecchiaia avanzava, le condizioni di salute si aggravarono velocemente fino al sopraggiungere della morte. Rimasi sola, ricordo gli ultimi momenti in cui osservavo quello sguardo spento, cercando di interpretare un suo gesto che ormai la voce affievolita non riusciva ad esprimere, piansi tanto nei momenti di sofferenza, l’agonia la accompagnò nei diversi giorni che precedevano la sua morte.. Mi alzai di improvvisamente, la guardai aveva lo sguardo fisso nel vuoto come se le cose che le accadessero intorno non destassero in lei nessun interesse, le labbra serrate in un silenzio profondo,evocavano la sua morte, gli occhi penetranti spenti di un torpore oscuro sembravano indicare pensieri reconditi nascosti, il corpo immobile, stanco di un affannoso velo di cupo torpore, rievocava oscuri presagi, ascoltavo quel silenzio risuonare dritto nel mio cuore, capivo che qualcosa la preoccupava talmente tanto da affannare il suo pensiero, volevo aiutarla, ma non sapevo come, la situazione era resa difficile dalle sue gravose condizioni, era una donna amabile aveva dato tanto alla vita e così poco le era stato restituito nella vecchiaia. Quando la sofferenza ti tocca così tantro da vicino non sai come gestirla. La volevo molto bene, ero preoccupata, la voce mi tremava al solo sussulto del suo cuore, le dissi cosa la preoccupava, con voce soffusa affievolita riuscì a emanare solo gemito di dolore,non riusciva a raccontarmi le sue paure, forse il pensiero che la preoccupava maggiormente era quello di lasciarmi sola, avrei aspettato, avrei dato la mia vita per lei pur di saperla serena e tranquilla, non riuscivo ad accettare che l’idea della morte turbasse il suo pensiero. Quanti notti insonni perse immaginando una sua ripresa, un forte sentimento di dolore e sofferenza mi opprimeva se pensavo alla sua immanente perdita, inconsciamente speravo che sentendosi capita potesse sentire meno questa sofferenza, la sentivo vicina, sentivo nascere un sentimento forte tra di noi, eppure erano pochi quei momenti che mi tenevano stretti a quella vita, pochi attimi ancora e avrebbe visto la sua vita spegnersi lentamente, in quegli attimi avrebbe capito l’avvicinarsi della morte, un gelido vento avrebbe avvolto il suo corpo, mentre l’ultima scintilla che ardeva in lei esplorava i luoghi oscuri del suo cuore, ed io ritornavo alla cruda realtà, senza più l’amore per quell’affetto che silenziosamente avevo maturato, la mia coscienza zelante, procedeva nel presente senza che io me ne rendessi conto e quando un barlume di razionalità mi costringeva a fare i conti con la realtà mi trovavo con il cuore tra le mani piangendo le mie vane speranze e le mie attese negate in pena. Appena rimasi sola capii la difficoltà di vivere quei momenti, avevo perso la mia serenità, sentivo che quella vita vana non mi apparteneva più, quegli affetti familiari cosi’ lontani dal mio essere non potevano colmare il vuoto che stavo provando in quel momento per la perdita di una persona lìcara, la più importante della mia vita,ero in preda alla rabbia e alla frustrazione, non riuscivo a sopportare l’angoscia che mi cingeva l’anima, decisi di non lasciarmi sopraffare dall’istinto e iniziai ad andare avanti, aiutavo in casa, la maggior parte del mio tempo trascorreva a sbrigare faccende e lavori domestici, la mia libertà dipendeva dalle incessanti richieste che ricoprivano la mia giornata, purtroppo non avevo amicizie, il mio compito era aiutare in casa, uscivo di rado, solo per sbrigare le faccende, speravo di riuscire a trovare un po’ di tempo da impiegare per qualche lavoro che mi permettesse di poter mettere da parte qualche soldo e di potermi comperare qualche cosa,iniziai a lavorare per aiutare la famiglia e per essere indipendente, man mano che passava il tempo la situazione in quella famiglia nonostante le mie lunghe assenze diventava sempre più insostenibile, ero un estranea senza affetti, in una casa arida di calore, i miei legami erano recisi già dalla nascita, ne avevo preso consapevolezza nel tempo, era difficile da accettare per una bambina ma questa era l’amara realtà, decisi di comprenderla appieno per non restarne delusa,presto decidendo di affrontare la vita con un amara verità. Pretendiamo di essere felici in una vita che non ci appartiene del tutto, ci usiamo a vicenda, tutti commettiamo errori, cerchiamo di prendere dal prossimo i benefici di una vita infame. La mia ingenuità era svanita del tutto, all’inizio mi sentivo sbagliata, fuori posto, come se qualcosa non andasse in me poi con il tempo capii che il mio sentirmi inadeguata era il riflesso di un comportamento sbagliato,di una non completa consapevolezza dei veri valori della vita, di un amore che non esisteva, che non tutti potevano conoscere, si viveva di relazioni inconsistenti in un mondo cinico di affetto, li conoscevo così bene che adesso capivo le sfaccettature dei loro caratteri, da piccola non avevo notato il lato oscuro di quei comportamenti, che mi era rimasto nascosto per lungo tempo, il fatto che mi usassero per i loro servizi, era ormai ovvio, presto presi consapevolezza della effimerità della vita, della inconsistenza della esistenza umana, mi resi conto che non esistevo, nei loro legami e nei loro progetti, avevano deciso di abbandonarmi senza un motivo e senza nessuna spiegazione, e lo avrebbero fatto il presto possibile, convinti che avrebbero vissuto una vita felice senza di me,cominciarono a dire che non avevano la possibilità di mantenermi che sarebbe stato meglio per me che trovassi qualcuno che si sarebbe preso cura di me, che mi sarei creata un futuro e questo da quando avevo perso quel piccolo lavoro che mi aveva permesso per un po’ di tempo di mantenerli e di mettere qualche cosa da parte, adesso che non servivo più ai loro scopi potevano abbandonarmi, li guardavo incredula mentre i loro sguardi impietriti dall’odio nei miei confronti si alternavano a sorrisi di compiacimento per le cattiverie che le loro ingiustizie riuscivano a perpetrare ai miei danni, quelle bocche avare piene di brutti presagi proferivano malvagità, distolsi lo sguardo da quelle espressioni piene di odio e compiaciute mentre mi dicevano che mi avrebbero lasciato in una comunità, “non ti sentirai sola, avrai tante persone vicino che ti vorranno bene dicevano”, cercai di dominare il tremito che il mio corpo acquisiva ad ogni parola, mi sentivo ancora più ingannata, vittima di una società materialista, mi voltai per non far intravedere le lacrime che mi coprivano il viso, il cuore mi scoppiava, mi sentivo profondamente infelice, una profonda disperazione aleggiava e mi avvolgeva intorno. Giunse il giorno che mi accompagnarono in comunità, convinti della loro scelta, non fecero neanche lo sforzo di mostrarsi dispiaciuti, scorsi un velo di cattiveria nei loro occhi compiaciuti per avermi abbandonato, non capivo perchè chi mi aveva fatto nascere e aveva il compito di proteggermi in vita, mi aveva allontanato mentendomi spudoratamente, colsi nel loro sguardo le asperità del sentimento mentre si allontanavano velocemente, distolsi lo sguardo impaurita per ciò che mi aspettava, forse avrei trovato un rifugio sicuro dove nascondere le mie paure, la mia ombra mi avrebbe fatto compagnia nei momenti più bui della mia esistenza. Inizialmente fui accolta molto freddamente, d’altronde ero l’ultima arrivata, non mi conoscevano e per chi arrivava da poco c’ erano delle regole rigide, una prassi da seguire, si viveva con poco, in ristrettezza e le relazioni sociali erano difficili, solo dopo un po’ di tempo iniziai a fare amicizia con qualcuno, conobbi una ragazza che era mi raccontò che i genitori erano morti da piccola in un incidente stradale ed era stata messa in questo luogo, un giorno avevano cercato di adottarla, aveva conosciuto le persone che la volevano prendere con sé, le piacevano molto, ma che una difficoltà si era presentata durante l’adozione, impedendole di andare via da quel luogo che proprio non le piaceva, mi disse che rimase delusa da quella situazione, pianse per molte settimane prima che il dolore cessò, conobbi un altra bambina che mi raccontò di essere stata trovata dalle suore, che i genitori l’avevano abbandonata da piccola, non sapeva chi fossero, ne se fossero ancora vivi, ne il motivo dell’abbandono, che successivamente le suore non potendosi occupare di lei la portarono alla comunità, viveva come una trovatella, mi confessò che non potendosi comprare nemmeno un vestito, spesso girava per le strade chiedendo l’elemosina, tanto nessuno avrebbe rivendicato la sua persona, mi disse che in questi anni quegli stessi genitori che l’avevano abbandonata non avevano fatto nessuno sforzo per cercare di rintracciarla e sapere se era viva e stava bene, mentre mi diceva questo la tristezza ricopriva il suo volto, riempendolo di lacrime, poi un altro ragazzino mi raccontò che i suoi genitori, possedevano un negozio di frutta, che alla morte della mamma, dopo pochi anni il padre aveva conosciuto un altra donna che inizialmente trattava il ragazzino bene poi dopo essere entrata nella loro casa aveva iniziato a trattarlo male, facendolo lavorare continuamente dalla mattina alla sera, gli avevano fatto lasciare gli studi e lo avevano ridotto in condizione di totale schiavitù, oltre le minacce e le cattiverie che quotidianamente subiva in silenzio, fino a quando alla morte del padre una volta rimasta vedova, non aveva motivo di lasciarlo in quella casa, perchè ero di ostacolo alla sua libertà, solo un peso, con una indifferenza brutale non vide l’ora di abbandonarmi,mentre mi raccontava la sua storia piangeva. Presto mi resi conto che all’interno di quel luogo c’ erano situazioni inimmaginabili e difficili da comprendere, che la mia era solo una delle tante difficili situazioni che si vivevano all’interno. Nei momenti in cui ero presa dalla solitudine, ripensavo a certe situazioni non tanto piacevoli della mia vita, mi venivano in mente i tormenti di quell’esistenza futile, vana, certe volte di notte mi svegliavo piena di inquietudine, piena di ansia, ricordando i soprusi che avevo dovuto accettare, i compromessi che avevo sopportato, i rimproveri ricevuti ingiustamente, quante cattiverie senza alcun motivo, non mi sentivo ingrata per la mia esistenza, non avevo chiesto io di nascere in questo mondo senza valori, ricordo che spesso erano adirati, li ascoltavo cercando di calmare la loro ira, pensavo di ammalarmi per le ingiustizie che ingiustamente subivo e che ricoprivano il mio cuore di malinconia,le stesse che rendevano il mio animo triste, certe volte guardavo attraverso la finestra cercando di fantasticare un futuro pieno di serenità, ma per quanto mi sentissi sola non li odiavo, iniziai una vita diversa nella comunità piano piano feci amicizia, anche se erano difficili i rapporti lì dentro, certe volte mi sentivo esclusa da quelle relazioni ambivalenti, c’erano regole ferree, non si poteva uscire spesso, all’interno dovevamo svolgere dei lavori, alcuni anche pesanti, non c’era tempo nemmeno per pensare, perchè il tempo libero era impiegato per lo studio, certi ragazzi si rendevano complici di atti illeciti, talvolta eravamo controllati dalla polizia e se sapevamo qualcosa di qualcuno che aveva commesso un reato non potevamo dirlo perchè eravamo vittime di violenze, c’era un ragazzo che spacciava droga, si sapeva all’interno ma si faceva finta di niente, qualcun altro mentre usciva andava commettendo piccoli reati e nessuno sospettava niente, c’ era un clima di paura all’interno di questo luogo, presto iniziai a guardarmi intorno e a farmi i fatti miei, iniziai a fare dei piccoli lavoretti all’interno della comunità e quando ebbi un po’ di tempo in più da impiegare fuori trovai un piccolo lavoro part-time che mi permetteva di guadagnare qualcosa da mettere da parte, non avevo nessuno che mi venisse a trovare, mi comprasse vestiti o mi portasse qualcosa da mangiare, i ragazzi della comunità erano la mia famiglia e piano piano iniziai ad affezionarmi anche a loro, una volta mentre ero uscita fui aggredita, mi ferirono e mi derubarono di quei pochi soldi che mi ero guadagnata a fatica e mi lasciarono per terra, svenuta, priva di sensi mentre i passanti indifferenti continuavano il loro percorso, quando ripresi conoscenza erano passate molte ore, mi ritrovai in piena notte sola, senza soldi, lontana da casa, ero debole, avevo una brutta ferita nella gamba, era pieno inverno la temperatura era scesa di molti gradi, ero infreddolita, non c’era nessuno che mi avrebbe cercato, nessuno preoccupato per me, riuscii ad alzarmi a fatica, mi sentivo debole, avevo perso molto sangue, camminavo lentamente per la brutta ferita che si era formata, il dolore non era da meno, riuscii a recarmi all’ospedale dove mi curarono, dopo qualche giorno mi dimisero e riuscii a tornare in comunità, nessuno si era preoccupato per la mia assenza, mi dissero che pensavano fossi scappata e che non volessi più tornare in quel posto, gli raccontai l’accaduto e vidi la tristezza nei loro occhi capii in quel momento che per loro contavo veramente qualcosa, li sentivo vicini come fossero una famiglia e lo stesso accadde quando un bambino da poco entrato in comunità, che i primi tempi era isolato, era stato preso di mira da alcuni ragazzi della comunità, io lo avevo difeso ma in più circostanze aveva manifestato atteggiamenti aggressivi e violenti, alcune volte queste manifestazioni le rivolgeva verso gli altri altre volte le rivolgeva verso se stesso, comportamenti aggressivi e esplosioni di rabbia con il tempo riuscimmo a capire che aveva avuto delle violenze fisiche da parte dei genitori che erano drogati e di un amico di famiglia che approfittando di quella situazione aveva abusato in varie occasioni di un piccolo bambino indifeso, ci volle molto tempo prima che lui si fidasse di noi ed imparasse a volerci bene. Ho capito il vero valore di una famiglia quando ho visto la gente intorno comportarsi come una vera famiglia, degli estranei comportarsi con amore, prendersi cura di noi affettuosamente, non cercavano di commiserarmi, feci un profondo respiro, colmando le sofferenze che piano piano andavo svanendo nel corso della vita.
Questa storia di una vita è densissima come la forma grafica che lei hai voluto dare e che spaventa un po’, con il suo muro di parole fitte fitte. Però l’esistenza può anche essere vista così, claustrofobica per certi versi o afflitta da una forma di horror vacui… in realtà sto commentando anche la forma grafica del tuo racconto, è che lei racconta come il racconto. Interessante, molto.