Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2017 “Eterni secondi” di Jonathan Retico

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017

L’organizzatore della compagnia saliva svelto le grandi scale del Teatro della Pergola. Basso da sparirci tra quei gradoni, con appesa ad una spalla la pesante borsa dell’attrezzatura e nell’altra mano un bicchiere, che cercava di tener dritto nella foga. In cima a quelle scale li attendeva l’audizione per uno dei migliori festival teatrali, lassù in Scozia. E con questa, gran parte dell’ipotetico stipendio estivo. Dieci minuti in cui giocarsi tutto. Un breve estratto di spettacolo da recitare in lingua ad uno dei capoccia del festival sperando, se non di colpire nel segno, almeno di fare meno schifo della concorrenza. Quindi tutto quello sfarzo attorno neanche lo vedeva, schiacciato com’era tra la smania della competizione e le ansie per la padronanza dell’inglese della sua compagnia. Dei tre attori che lo seguivano tronfi e rumorosi un paio di rampe di scale addietro, uno non condivideva l’esistenza di quella lingua, mentre gli altri si fermavano ad una generosa sufficienza. Senza badare alla pronuncia. La sicurezza con cui i due millantavano un buon livello di parlantina albionica scemava ad ogni superamento delle varie fasi preliminari del concorso, quelle su carta. In più, era una selezione per giovani compagnie. E la sua era diversamente giovane, al massimo. Due trentacinquenni ed un cinquantenne. Sempre su carta era riuscito a far rientrare l’ età media sotto il limite dei trentacinque, inserendo un paio di finti tecnici poco più che ventenni. Col beneplacito della segretaria del concorso, vecchia conoscenza del decano della compagnia, con cui aveva condiviso un po’ di quel mondo molto ma molto a margine delle fiction televisive romane pre e post ora di pranzo.

Sbucò nello stretto e buio corridoio poco sotto il tetto, che in portineria avevano indicato come la sala di attesa del concorso. Dalle finestre occhieggiava un meraviglioso mosaico dei tetti di Firenze su un cielo beatamente terso, libero dalla foschia come per magia. Ma non era tempo di calcolare quella bellezza. Oltre al ritardo, doveva trovare un nascondiglio al bicchiere. Le altre compagnie, già schierate in plotoni ben separati, ripassavano il da farsi o rimuginavano sottovoce. All’arrivo del resto della compagnia, i vari gruppetti si alzarono a turno, condendo i saluti con abbracci troppo enfatici e sorrisi da emiparesi facciale. Quel che interessava era scoprire che pezzo di spettacolo portavano in gara. Più per scaramanzia che per altro, visto che nessuno aveva visto gli spettacoli dei concorrenti, e potevano solo fare congetture sul sentito dire o sulle poche e striminzite recensioni. Pochi secondi, e il corridoio ripiombò nella solita aria greve ed acidula da teatranti che si contendono qualcosa. Che fosse un premio, l’attenzione di qualche direttore artistico o la prima fila di un buffet, poco cambiava.

Il selezionatore, rapito dalla bellezza incorniciata dalla finestrella del bagno, cercava di depurarsi da tutto quell’inglese deturpato, e dal teatro con poche idee che quella gente speranzosa recitava per colpirlo. Elegante ma non troppo, fece qualche smorfia allo specchio, si scrutò con cura analizzando le prime rughe. Sguardo vivo ed intelligente, volto ovale e pallido su cui gli unici peli, compresa la testa ben rasata di mattina, erano le sopracciglia. Tornò a contemplare il panorama, deciso a prolungare al massimo quella pausa, sollevato dal fatto che l’ultima della mattinata fosse una compagnia di danza.

Una delle responsabili del concorso, magra fino ai fianchi e nervosa oltre il dovuto, si avvicinò all’organizzatore col piglio di chi avrebbe voluto esser da tutt’altra parte.

– TdR, giusto? Mancavate solo voi. –

– Ehm abbiamo trovato traffico… –

– Sì, certo… qui ci sono i fogli da compilare coi dati. In inglese ovviamente. Appena hai fatto riconsegnameli. Il Direttore è in pausa. Ha già visto tre compagnie. Voi siete la quinta, ricordate? –

Lo portò poi nella piccola sala teatrale adiacente per lasciarlo in balìa del tecnico, un giovane tondotto e dalla faccia vitrea, con delle occhiaie che arrivavano fino alla barbetta di un paio di giorni. Costui lo istruì stancamente sulle specifiche tecniche, con la solita sufficienza riservata agli organizzatori che improvvisano il mestiere del tecnico. Il banco delle luci, questione audio e casse, attacchi, uscite ed un sacco di solite cose, sempre diverse in ogni spazio teatrale. Alla fine del breve tour del banco ributtò la sua abbondanza in poltrona, spippolando nella penombra sul cellulare che gli colorava di rimando la faccia assorta.

– Ah, importantissimo! – si rinvenne poco dopo drizzando la schiena – Non toccare mai quell’interruttore! Mai! –

– Quale? Ce ne sono due – fece l’organizzatore guardando in direzione del ditone puntato.

– Quello lì con la carta argentata intorno… –

– Mmmh, ok – fu tutto quello che uscì dalla perplessa bocca dell’organizzatore, che si grattava spaesato la rada barbetta a punta.

– A meno che tu non voglia fare un gran casino… –

– Tipo? –

– Tipo spegnere tutto in sala, visto che è l’interruttore generale. –

– Ah, ok, capito! –

L’organizzatore tornò fuori dai suoi. Dei tre attori, due discutevano spaparanzati delle ultime vicissitudini dell’Inter ed il terzo cercava di richiamarli all’ordine, mentre andava su e giù per il corridoio, salmodiando pezzi di Pinter orfani di risposta.

Simone si fermò e lo raggiunse.

– Com’è la sala? – chiese tirandosi nervosamente gli scuri capelli all’indietro. Poi voltandosi – Ehi voi, venite a sentire! –

L’organizzatore spiegò loro quel che doveva, rispose alle varie domande, poi si spostò al davanzale per compilare i fogli. Gli si avvicinò Paolo.

– Senti…dov’è la vodka? –

– E’ nascosta dietro la mia borsa, sull’altro davanzale. –

– Grazie. –

– Ehi! Non ti far vedere dagli altri, lo sai… –

– No no, certo – e si avviò sollevato, ma dopo un passo si voltò, serio – Lo sai che mi serve, no? – e ripartì.

Toccava a loro. Videro uscire due grosse sagome di plastica sotto braccio agli stessi due attori che riproducevano, poco soddisfatti e dalle facce perplesse. Uno Shakespeare molto pop. Veloce scambio di battute ed entrarono. Era il turno del loro Pinter molto pop.

I tre raggiunsero il centro della sala mentre l’organizzatore si sistemava al banco delle luci, a fianco del grosso tecnico che guardava perso di fronte a sé.

Presentarono il direttore della sezione giovani del festival, che si alzò per stringere la mano ai tre. Era davvero giovane. Poco più che trentenne. Sorrise con un pò di amarezza, meravigliandosi dello strano concetto di giovinezza con cui si era confrontato in quella mattinata fiorentina. Ma niente poteva turbarlo. Ancora poche ore ed avrebbe cullato il suo pomeriggio con una visita guidata agli Uffizi.

Via. Buio. Pochi secondi di Revolution dei Beatles. Due luci a pioggia. Due attori, una scopa ed una tazzina. Un barista ed una avventore notturno, un edicolante. Dario, barista col fisico da sofficino e la presenza scenica del venditore ambulante di porchetta, sbrindellava Pinter come se stesse biascicando una salciccia. Scambi di persona prima, poi una lunga discussione sull’ultima copia del giornale venduta. Minuti lunghi e densi di confusione. La responsabile del concorso traghettava il suo stato d’animo dal nervoso allo sconsolato scarabocchiando sul taccuino.  Lo scozzese, dopo un paio di minuti in cui aveva provato ad analizzare quella noiosa scena da bar, si era estraniato. Sorrideva pensando alla serata precedente, alla simpatia dei gay fiorentini. Prese poi ad esaminare le alternative per il pranzo. Voleva provare un altro ristorante rinomato, tanto era tutto a spese del concorso. E col panino del giorno prima a pranzo, restava parecchio da spendere.

Al banco delle luci, l’organizzatore stranito teneva il passo sul copione tradotto. Mancava poco alla fine della scena del bar. Al segno dell’evidenziatore, cambio luci. Partì la strobo, ed anche la sigla del Benny Hill show a volume altissimo.

Entrò in scena anche Paolo. Gli ultimi due minuti di gag fisiche per strappare qualche risata. Ma dopo pochi secondi, il buio più totale. Silenzio.

– Ma che cazzo!? – sibilò Dario.

Tutti gli occhi si volsero verso il banco del tecnico che, occhi sgranati ed ingiallito dalla luce di emergenza sopra di lui, rimpallava la colpa indicando l’organizzatore. Che, incredulo, aveva lasciato il banco ed aveva ancora il dito su quell’interruttore generale argentato da non toccare mai.

– Scusate – balbettò confuso ed imbarazzato nel premerlo nuovamente dopo una manciata di eterni secondi. La strobo e la sigla del Benny Hill show ripartirono come saette. Ma i tre in scena ci misero un po’ prima di riprendere lenti e delusi le loro gag.

Quell’estate, ad Edimburgo, videro della buona danza toscana.

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2 commenti »

  1. Jonathan,

    ho letto con molta partecipazione le vicissitudini che colpiscono i tuoi “eterni secondi”.

    Oltre alla preparazione tecnica sul tema, ho ammirato la maniera ironica e peculiare che hai utilizzato per descrivere un mondo, quello del teatro, che visto da spettatori del sabato sera sembra distante, inaccessibile, intoccabile ed etereo.

    E poi, da Toscano, se dovessi passare da Edimburgo pretenderò di vedere “una buona danza delle
    mia parti”! 🙂

    Complimenti.

  2. Grazie delle belle parole Lorenzo!
    Tutto è più terreno e meno etereo di quel che sembra il sabato sera…
    Buon tutto!

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