Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2017 “Il predatore” di Elisabetta Tozzo

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017

“Il gatto se ne stava immobile, fingendo di sonnecchiare, finché la preda non fu alla sua portata. Allora sfoderò un poderoso colpo d’artiglio, e per il piccolo topo non ci fu più scampo.”

Fu in una gelida, nevosa mattinata di dicembre che un ragazzino con una sciarpa gialla si sedette per la prima volta all’angolo della pasticceria più lussuosa della città, situata a metà del Corso, in pieno centro storico.

Era molto magro, e vestiva abiti laceri. Indossava un grande pastrano verde, rattoppato in più punti, e calzava dei vecchi sandali di cuoio che lasciavano intravedere i piedi ossuti, con le dita un poco storte, che ricordavano vagamente le grinfie dei rapaci.

A quell’ora la gente transitava a passo spedito, chi in ritardo per il lavoro, chi per la scuola, chi per un appuntamento, senza vederlo, come fosse parte del marciapiede.

Ma, via via che passavano le ore, il flusso umano rallentò, e qualcuno si accorse della sua presenza. Una grossa e grassa signora, impellicciata dalla testa ai piedi, alla sua vista sospirò rattristata, aprì la borsa di lucida pelle nera e ne estrasse alcuni spiccioli che porse al giovane. Lui allora allungò la mano, un po’ esitante; la donna, attenta a non toccarlo, gli lasciò cadere nel palmo tre monetine; poi, commossa, gli voltò le spalle ed entrò in pasticceria, dove premiò la propria generosità nei confronti dei meno abbienti con una fumante cioccolata con panna, che consumò avidamente, in un battibaleno, accompagnandola a varie paste dall’aspetto delizioso.

La porta della pasticceria iniziò ad aprirsi e chiudersi con una certa frequenza e, nel giro di poco più di un’ora, tutti gli eleganti tavolini con il piano di marmo grigio furono occupati dai golosi che desideravano assaporare le dolci delizie.

Il povero annusò l’aria. Si alzò e, come seguendo una scia invisibile, giunse davanti alla pasticceria. Con le mani appoggiate alla vetrina, poté osservare affascinato le persone, tutte per la verità di corporatura piuttosto pingue, indaffarate a sorseggiare, gustare, alcune addirittura a trangugiare senza ritegno, torte, pasticcini, cioccolate. Le loro espressioni di vera beatitudine suggerivano un’atmosfera di estasi collettiva. Dinanzi a quello spettacolo il ragazzino spalancò gli occhi e dalla bocca gli colò un filo di bava, assorto com’era nella contemplazione di tanto ben di Dio.

Una bimba paffuta, dai bei boccoli biondi e la punta del nasino sporca di panna montata, lo vide attraverso il vetro, e si intenerì. Al momento di lasciare quel luogo di meraviglia, si fece incartare un croissant, chiese alla nonna degli spiccioli ed uscì. Gli si avvicinò, consegnandogli sia il dolce che il denaro; quando la piccola però fece per voltarsi e rientrare nel locale, lui la afferrò per il polso grassottello e, per alcuni secondi, gliel’annusò, sorridendole. La nonna, che a causa della propria mole aveva faticato non poco a farsi strada tra i tavolini del bar stracolmo, uscì giusto in tempo per strappargli dalle grinfie la sua nipotina, che si spaventò non poco.

Il proprietario del locale notò la scena e, non appena la piccola benefattrice se ne fu andata, uscì e gli intimò di non permettersi mai più di toccare i suoi clienti. Il mendicante fece prontamente un cenno di scuse, tornando a sedersi sul marciapiede, ma questa volta proprio di fronte alla vetrata, ricolma di ogni squisitezza posata in bella mostra su raffinati pizzi e con, sullo sfondo, tutti i golosoni della città.

La giornata proseguì senza altri intoppi. Il giovane annusava i profumi provenienti dalla pasticceria ogni volta che qualcuno ne varcava la soglia. Qualche anima un po’ più sensibile delle altre a volte gli regalava qualche spicciolo.

Giunse la sera e il via vai si diradò.

Un corpulento uomo di mezz’età, che aveva trascorso buona parte del pomeriggio nella pasticceria a leggere un libro divorando un’intera Sacher Torte, fece per andarsene. Mentre indossava il suo giaccone di montone ed un colbacco di pelliccia come copricapo, diede ordine ad una cameriera di preparare un enorme cabaret di paste, una per ogni tipo.

L’uomo uscì con il vassoio ricolmo di dolciumi e si fermò dinanzi al ragazzo, scostò un poco la carta con cui erano stati avvolti, e glieli offrì, chiedendogli in cambio un po’ di compagnia.

Lui non se lo fece ripetere due volte e lo seguì, docile, come un cagnolino affamato cui si offra un pezzettino di pane. Il buio della sera li inghiottì.

Nessuno vide mai più il giovane da quelle parti.

Il giorno seguente, alle prime luci dell’alba, un urlo di donna fece raggelare il sangue a tutti quelli che ebbero modo di udirlo. La poveretta, che si stava recando presso una casa in cui prestava servizio come domestica, aveva visto un fagotto abbandonato in un vicoletto. La curiosità l’aveva spinta ad avvicinarsi.

Non era riuscita più a proferir parola per oltre una settimana. Quello che aveva visto l’aveva così sconvolta che non si riprese mai completamente.

I resti di un essere umano dilaniato da morsi erano uno spettacolo talmente ripugnante che la sua mente non riuscì mai ad accettare di aver visto.

Ci vollero diversi giorni per identificare quel povero corpo, o, meglio, quel poco che ne restava. Pare fosse appartenuto ad un distinto gentiluomo, solito frequentare la pasticceria del Corso.

Un vecchio ubriacone, in seguito, testimoniò di aver visto una bestia alata che con degli artigli immobilizzava un uomo, divorandogli le carni a morsi, ma era una storia troppo assurda, e non gli credette nessuno.

Loading

3 commenti »

  1. Elisabetta,

    mi hai davvero disorientato (ed è un grandissimo complimento).

    Il racconto prende piede svendendo il tema della povertà e del suo impatto sociale, che sembra rappresentare il fulcro attorno a cui ruota tutta la vicenda.

    Nel finale (addirittura dai toni noir/fatasy che ho veramente amato), invece, in pochissime e calibratissime righe scompigli le carte in tavola, riponendo al proprio posto tutte le tessere di un mosaico più che riuscito: la citazione iniziale, il gesto del bimbo che annusa la ragazzina, il povero che odora l’aria.

    Una fantasia, resa con molta efficacia, davvero fuori dal comune.

    Brava.

  2. Trovo che i racconti che mescolano in modo interessante reale e irreale abbiano spesso un poco di pepe in più. E in questo senso Il predatore è pepatissimo. E’ un racconto non solo ben scritto ma, vorrei dire, anche molto curato nei dettagli d’ambiente e di casting. Brava!

  3. Non amo i racconti di orrore. Tuttavia, questo mi ha catturato. Per l’idea, decisamente originale, di descrivere la caccia di un predatore.
    Per l’atmosfera dark, per l’ambientazione (sembra di essere davvero seduti sul marciapiede con lui!) e per i dettagli delle persone e dei loro comportamenti…
    Complimenti speciali, Elisabetta!

Lascia un commento

Devi essere registrato per lasciare un commento.