Premio Racconti nella Rete 2017 “La macchia” di Paolo Panaro
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017Chiuso nel suo studio, seduto alla massiccia scrivania in noce nazionale, l’avvocato Sponzano esaminava la pratica per il finanziamento pubblico del progetto, quando una lieve fitta al fianco lo distrasse. Il suo sguardo si levò dalle carte e d’istinto si volse alla parete spoglia di fronte a lui, verso il soffitto. Osservò la macchia d’umido che partiva dall’angolo e cercò di capire se si fosse ancora estesa. Non che ad occhio la trovasse cresciuta dal giorno prima, ma certo che da semplice alone in pochi mesi si era trasformata in una chiazza policroma enorme, irregolare e frastagliata. Si proponeva ogni giorno di provvedere il giorno dopo, continuando a rimandare qualsiasi intervento di riparazione. In orizzontale si era allungata di almeno mezzo metro da una parte e mezzo metro dall’altra, e lo spigolo si era tutto increspato e aveva assunto un’aria molliccia. In verticale si era abbassata di ben oltre un metro, e terminava con una punta aguzza che sembrava minacciare il pavimento.
Benché non lo ammettesse, l’osservazione dei suoi contorni e delle sue forme, ora sfumate di giallo, ora tratteggiate di grigio, protese fino a impensabili punte di verde-azzurro, gli procurava un piacere irresistibile e nuovo. Trascorreva ore e ore ad osservarla, e pian piano quella era diventata la sua principale occupazione quotidiana. Ne scattava ogni giorno una foto per studiarne approfonditamente la geografia e l’orografia, aggiornarne le mappe e monitorarne passo-passo l’evoluzione. Quella specie di micro Pangea si espandeva progressivamente nell’oceano dell’intonaco, plasmando rilievi, laghi, continenti ed arcipelaghi. Pur senza riconoscerlo, ormai gli risultava impossibile il solo immaginarne la cancellazione. Aveva preso a programmare e a intraprendervi viaggi avventurosi alla scoperta dei suoi territori mutevoli e inesplorati, del tutto differenti da quello in cui era cresciuto e da ciò a cui era sempre stato abituato. L’ultima volta aveva navigato per miglia e miglia fino al golfo della Sorte, si era infilato nella foce di un grande fiume che aveva battezzato Eupadre, risalendone la corrente fino a dove il fittissimo intrico di vegetazione lo consentiva, proseguendo a piedi fino alle sorgenti e incontrando tribù di indigeni abilissimi nella caccia, ma curiosi e pacifici, simili a quelli dell’Amazzonia prima della deforestazione. Aveva trascorso giorni e giorni tra quei presunti selvaggi dagli articolati riti familiari, dalle suggestive tradizioni e dalle sorprendenti regole di solidarietà sociale. Più di tutto lo aveva entusiasmato imparare a tirare con l’arco e ascoltare, mescolato tra i giovani, le strane storie che quei vecchi raggrinziti raccontavano seduti intorno al fuoco. Pensare che tutto nasceva da una macchiolina di umidità una volta a stento riconoscibile.
L’aveva notata per la prima volta quella memorabile sera del pestaggio, in cui a stento era riuscito a trascinarsi fino a casa e, steso sul pavimento dello studio, aveva trovato sollievo respirando con gli occhi fissi al soffitto. Temendo di avere il torace fracassato, si era dovuto considerare anche fortunato nello scoprire di non avere niente di rotto. Ai suoi era riuscito a nascondere tutto. Aveva fatto sparire i vestiti strappati, dissimulato la zoppia e mascherato i dolori. Il viso gliel’avevano risparmiato, da veri gentiluomini quali erano, così la scusa di una caduta aveva retto e né moglie né figli sapevano o sospettavano nulla. Anche lui non avrebbe sospettato nulla, prima del vigoroso sollecito, su quei clienti così distinti e generosi, per quanto abiti gessati e scarpe lucide non gli fossero mai piaciuti. Ma che il progetto fosse viziato, quello si, era chiaro sin dall’inizio. Del resto era già guarito, e solo quella stupida fitta al fianco di tanto in tanto lo infastidiva, proprio come adesso, distraendolo ancora una volta. Abbassò la testa e si toccò il fianco. Si fece serio. Per un attimo pensò di non farcela, di avere bisogno di un medico, e anche di un idraulico. Ma si tirò su e decise di ignorare il dolore, riportò lo sguardo alla macchia e riprese il viaggio. Dall’albero maestro di una goletta percorse verso sud la costa orientale, fino alla foce dell’Eupadre, ne risalì velocemente tutto il corso in direzione nord-ovest, arrivando al cuore del continente, fin dentro la capanna più grande nel centro del villaggio, e risvegliandosi nei panni del re. I Pigmeridi, lontani discendenti dei fieri Masaridi, si erano ridotti a uomini senza ombra. Quel giorno che per alcuni minuti si era mutato in notte, la luce ritornò senza restituire le loro ombre. Fu allora che iniziarono a diminuire progressivamente di statura tanto che, temendo di ridursi al livello degli insetti, già da tempo meditavano una reazione. Lo sciamano gli aveva rivelato che le ombre, offese, si erano ritirate nella foresta più profonda in attesa di congiungersi agli spiriti degli avi. Ricondurre in schiavitù il popolo delle ombre avrebbe significato riconquistare anche la propria statura. E il momento di agire era arrivato. Si sarebbero mossi un paio d’ore prima del tramonto, con il sole ancora forte ma già basso, quando le ombre sono più lunghe e visibili, più facili da stanare, ma prima della notte in cui esse regnano incontrastate.
A ovest dell’Eupadre, ornato dei paramenti regali, Sponzano precede le schiere dei Pigmeridi, lo sguardo dritto al sole e alle ombre che già si allungano dal fronte della foresta. Alza prima lentamente il braccio, poi lo scuote in avanti e ordina l’attacco. Sente gli archi scoccare, uno stormo di frecce saettare nel cielo rosso sopra la sua testa, ma prima che raggiungano lo zenit, la fitta al fianco e l’urlo strozzato che gli muore in gola le bloccano a mezz’aria, come congelate. Distingue appena un dardo che gli trapassa il fianco e gli buca la camicia.
“Camicia? Cancella la camicia e resta lucido, sei il re.”
Barcolla, si volta, ma non c’è più nessuno e anche il fiume è sparito.
“Calma, è una sciocchezza, si tratta di resistere.”
Si rivolta e intravede uno scaffale, ma è uno scherzo del sole nella piana infuocata. Rinserra le palpebre, strabuzza gli occhi, ode un gemito, sente bagnarsi le gote.
“Non svenire, ti basta ancora un attimo.”
Ma il re crolla sulle ginocchia e il sole accelera la corsa e di schianto affonda all’orizzonte con l’eco di una lampada caduta. Gli alberi diradano, le ombre si allungano, lo investono e dilagano in una notte senza luna né stelle.
“È tardi per tutto, adesso…”
Allora scivola giù dalla sedia e cade riverso ai piedi della scrivania, Sponzano, pensando che in fondo quel progetto la vita gliel’ha cambiata davvero. Poi le mani strette al fianco perdono sensibilità, non vede più nulla, smette persino di respirare. Ma forse non è finita: gli resta una strana smorfia sul volto, sembra quasi sorridere, e gli occhi sbarrati guardano ancora la macchia.
Bellissimo questo viaggio con la fantasia del proragonista. E quanta fantasia lo scrittore!! 🙂 Bravo davvero!
Grazie mille!
Bello questo viaggio nella tua macchia! Mi ha ricordato due testi diversi, il romanzo “La crepa” di Claudia Piñeiro e il microracconto “Il bonsai”, li conosci? Complimenti comunque, mi è piaciuto molto la geografia e la toponomastica di questo luogo della mente.
Bravo Paolo! Un racconto su un mondo fantastico (ma non troppo?). La stanza come la macchia si allarga ed apre un universo verde dove la reazione civile di uomini minimizzati da troppo tempo prende corpo. Impossibile, per me almeno, non leggervi il collegamento alla vita civica. E allora il re può cadere colpito dal popolo delle ombre ma rimane la speranza che i Pigmeridi tornino quello che erano. Perfetto lo stile in equilibrio fra squallida realtà e viaggio onirico.
Bello bello! Complimenti! tutto ben dosato e distribuito con un ottimo crescendo. Perfetti anche i nomi di fantasia! Bravo
Gran bel viaggio in questo piccolo universo in dilatazione. Ben descritto e anche scritto!
Grazie Ivana Librici, no, non conosco i testi che citi, ma ora li andrò senz’altro a cercare…
Grazie Marco Florida, non sarei sincero se non confessassi che la tua lettura di un collegamento alla vita civica mi rende particolarmente felice…
Grazie mille anche a te, Michela Tognotti!
Per me è nuovo ed emozionante questo scambio…
Questo racconto ti fa viaggiare nella fantasia. E’bellissimo. Grazie all’autore.
Racconto molto interessante, con uno stile onirico che risulta piacevolmente alleggerito da quei piccoli tocchi ironici disseminati qua e là
Grazie Paola, grazie Leti e grazie Gabriele!!!
Le macchie sono un po’ come le nuvole… hanno il magico potere di portare lontano. Questa macchia in particolare sembra anche un rifugio e una rivalsa allo stesso tempo dove il protagonista si riscatta e diventa eroe e il mondo sembra meno banale e squallido. Leggere La Macchia è come ammirare una macchia e costruirci sopra un proprio mondo immaginario. Bella idea, bella storia 🙂
Geniale il paragone sottinteso della macchia che da piccola diventa un fiume in piena e il dolorino al fianco che da fastidio diventa causa di morte reale o apparente. Mai sottovalutare il nemico! Triste nel finale, almeno seconfo la mia interpretazione, ma bello e piacevole da leggere. Complimenti!
Un volo nella fantasia,
la macchia sul soffitto apre un mondo fantastico che il lettore esplora .
insieme al protagonista. Piacevole lettura, Bravo!
Bella idea e bello questo viaggio della mente che continua oltre la morte…Bravo
Bella idea e bello questo viaggio della mente che continua oltre la morte…Bravo
Grazie mille Ugo, Lucia, Grazia e Michele!
Veramente bello. Complimenti e un grosso in bocca al lupo.
Ci rifugiamo tutti nelle nostre macchie! E forse per il protagonista rifugiarsi in quel luogo della fantasia è stato anche il suo modo di opporsi alla violenza del mondo reale: è stata un’inazione “attiva”, che forse non gli ha fatto completare quella pratica per cui aveva ricevuto quelle intimidazioni che alla fine hanno ucciso.
Paolo, complimenti e grazie per questo ricchissimo racconto, che sballotta il lettore fra una realtà cruda e una straordinaria geografia d’invenzione, percorsa dal protagonista in un viaggio che ha qualcosa di Bruce Chatwin come di Luciano. Bravissimo!
Complimenti.Uno stile impeccabile; una spirale di suoni, colori ed emozioni perfettamente orchestrata.
Viva il lupo! E grazie Stefano, Alberto e Giada…
Paolo,
hai una capacità descrittiva ed una fantasia veramente fuori dal comune.
Il tuo intento, per di più, era davvero complicato: creare una “geografia” della macchia e spingersi sino ad imprimervi una metastoria sottendeva il rischio di lasciarsi prendere la mano da cambi di ritmo e registro che avrebbero potuto distrarre il lettore dalle vicende “reali” del protagonista.
E invece tutto l’opposto: le vicende si alternano e fondono alla perfezione facendo sì che, d’un tratto, chi legge finisca seriamente per domandarsi quale sia la realtà e quale sia la fantasia.
Proprio come avviene osservando una fastidiosa macchia di umido dai “contorni e forme, ora sfumate di giallo, ora tratteggiate di grigio, protese fino a impensabili punte di verde-azzurro”.
Veramente bravo.