Premio Racconti nella Rete 2017 “Età fragile” di Paola Florio
Categoria: Premio Racconti nella Rete 201740 anni. Domani.
Seduta alla scrivania Francesca voleva concentrarsi sui temi da correggere, ma quel pensiero continuava a distrarla: 40 anni. Domani.
Alzò lo sguardo oltre la finestra, nella luce arancione che precede il tramonto. Amava quel momento del giorno, quando i raggi del sole si tingono d’oro e accarezzano il mondo.
Doveva mettere gli ultimi voti, gli scrutini incombevano, ma il profumo di maggio era troppo seducente.
L’indomani era sabato, avrebbe festeggiato con i suoi amici. Avrebbe sentito ancora di più la sua mancanza. Paolo era partito due anni prima, aveva accettato un posto come ricercatore in Germania e ora viveva a Lubeck. Riuscivano a vedersi quasi ogni due mesi, ma parlare al telefono era una tortura. Non poteva continuare così. Lui le aveva detto tante volte di raggiungerlo: “meglio fare l’immigrato in Germania, che il precario in Italia”. Come dargli torto? Ma per lei quel lavoro era così importante! Ci credeva con tutta sé stessa, aveva speso anni a studiare, a specializzarsi e ora finalmente ce l’aveva fatta! Come poteva lasciare tutto? Ma la vita senza Paolo perdeva poco a poco colore, erano due anime affini e l’idea di trovare qualche altro la faceva ridere. Non avrebbe mai voluto nessun altro.
Si trattava di scegliere: da una parte l’amore della sua vita, dall’altra il lavoro della sua vita. Come si può scegliere tra due amori? Ma in quella sera pacata e dolce, sentì che la nostalgia prendeva spazio e l’ago della bilancia cominciava a pendere. Già al pensiero di lasciare l’Italia qualcosa dentro di lei si frantumava. Ma come diceva sempre ai suoi alunni: “non abbiate paura del cambiamento, il cambiamento è vita!”
D’un tratto qualcosa planò sopra ai suoi fogli, dritto dalla finestra aperta. Un aeroplano di carta? Pensò ai bimbi dei vicini, ma centrare la finestra al terzo piano era un lancio troppo audace. Prese il fragile velivolo e scorse qualcosa sulle ali: “fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”. Conosceva quella calligrafia leggera e inclinata, possibile che fosse…?
Si alzò dalla sedia e si sporse dalla finestra, incredula.
“Lo sapevo che c’era prof!”
Lo stupore si allargò in un sorriso che le rimbalzò dentro.
Una chioma bionda e ribelle, due occhi che ridevano, facendo eco al blu senza nuvole del cielo.
“Anna!”
E poi dopo un attimo:
“Ma ti pare il modo di bussare?”
“Lo diceva sempre lei, di cercare soluzioni creative ai problemi”
Il congiuntivo no, non sia mai… i fuori programma sempre! Si ricordavano sempre le cose più imbarazzanti gli ex alunni. Ex alunni, come se potessero davvero diventare ex, come un fidanzato di cui non ricordi più il volto. Macchè, i loro occhi restano tatuati nella mente. I nomi no, dopo i primi duecento la mente opera una selezione naturale.
Ma gli occhi.
Gli occhi, che ti hanno sbirciato dentro per uno, due, tre anni… chi se li scorda più!
Restano presenti in qualche spazio espandibile del cuore, soprattutto quelli che ti hanno fatto più male.
“Sali?”
“Scherza? Con questo tramonto? Se oggi fosse l’ultimo giorno della sua vita, lo passerebbe chiusa in casa?”
Un’altra lezione sull’importanza del vivere pienamente ogni momento. Ma come faceva a ricordarsi tutte quelle cose dopo tanto tempo?
Francesca sospirò, come poteva dire di no a quegli occhi?
“Va bene scendo.”
Entrò di nuovo nella sua torre al terzo piano, volse lo sguardo intorno nella stanza inondata di sole, verso i libri sparsi sulla scrivania, il computer acceso. Lo chiuse con un colpo secco e la bambina che c’era in lei esultò. Un altro giorno di vita. La vita ancora che la travolgeva. Ed era forse sbagliato?
Anna era seduta sul muretto, il viso al sole, gli occhi chiusi. “Riconosco ancora il suo passo. E anche il suo profumo. La riconoscerei tra mille”.
L’avevano fatto un giorno in classe. Era da un’ora che continuavano a litigare. Esasperata Francesca aveva chiesto a tutti di chiudere gli occhi. “Voi non vi accorgete della fortuna che avete. Qui ci sono venti compagni che hanno condiviso ogni giorno con voi, per due anni e mezzo. Persone che vi mancheranno da morire quando finirà l’anno. Persone che sanno riconoscere il vostro passo, la vostra voce e il vostro odore tra mille.” Qualcuno aveva riso. “Non ci credete? Proviamo. Tenete gli occhi chiusi”. In silenzio aveva toccato la spalla di Luca, gli aveva detto di uscire dalla classe e rientrare. “Indovinate”. Dopo pochi passi la maggior parte aveva urlato “Luca!”. Lui era rimasto lì, perplesso e grato. Tutti avevano provato. Tutti erano stati riconosciuti. A metà di una terza media è normale, rendersene conto è una scoperta. Da quel giorno qualcosa era cambiato. Ogni momento insieme era diventato prezioso, ogni compagno un depositario di un pezzo di sé. Avevano pianto tutti, l’ultimo giorno di scuola. Si erano abbracciati singhiozzando e poi avevano abbracciato lei. Ed era stato lì che aveva capito che ce l’aveva fatta. Erano diventati preziosi gli uni per gli altri. Certi tesori nessun tempo può distruggerli.
“Anch’io ti riconoscerei tra mille, testona!”
L’abbraccio che le diede diceva tante cose. Cose che solo un adolescente che si è fidato di un adulto, sa. Che ruolo strano che hanno i prof, sono custodi di un’età fragile. Abitano uno spazio a metà tra gli amici, i fratelli maggiori, i genitori. Uno spazio che non esiste, finché non arriva un insegnante che lo crea. E non tutti gli insegnanti lo fanno, e non tutti i ragazzi lo lasciano fare. Ma lei ci provava. Sempre.
Con Anna era andata così. Che battaglie avevano fatto. Che lotta! Un adolescente incazzato col mondo è come un cavallo imbizzarrito. Fa scappare tutti. Lo puoi avvicinare solo se gli dimostri che non hai paura. Solo se sente che sei disposto a metterti in gioco per raggiungerlo là dove fa più freddo.
“Allora, come stai? Dove sei adesso?”
“A Firenze, mi sono iscritta a Lettere. La sera lavoro in un pub e il giorno vado a lezione. Che bello prof! Vivo di letteratura! Ho una stanza minuscola al quinto piano, è una mansarda, il tetto a spiovente con le travi a vista, la finestra a sud ovest che guarda i tetti e in lontananza in campanile di Giotto. Passo il giorno a leggere e la notte a scrivere”.
“Ma dormi?”
“Non ne ho il tempo. Sono troppo impegnata a vivere pienamente. Recupero quando vengo qui a trovare mia madre. Sa prof che la settimana scorsa ho passato due ore davanti alla Notte di Michelangelo?”
La ascoltava e sorrideva grata alla vita per questo giorno. Chi l’avrebbe detto che si sarebbero ritrovate così, chi l’avrebbe detto che…
“Lo so cosa sta pensando. Non credeva che ce l’avrei fatta!”
“Ti sbagli. Ho sempre creduto che ce l’avresti fatta”.
Anna la guardò in silenzio per un istante e poi sorrise. “Ha ragione, ero io che non ci credevo, stento a crederci anche adesso. Lei ci ha creduto per tutte e due”.
Non la vedeva da qualche anno, era cresciuta molto, si era fatta più slanciata e femminile, non c’era più traccia della ragazzina smarrita dentro felpe troppo grandi. L’anello al naso era più piccolo, i capelli sempre corti. Lo sguardo vivo, finalmente!
“… così ho deciso di farle un regalo…”
“Cosa?” Si era persa ad osservarla e non aveva ascoltato le sue parole.
“Prof?! Scende dalle nuvole? Le stavo dicendo che me lo ricordo che domani è il suo compleanno, per questo sono venuta a trovarla oggi. Domani come al solito avrà organizzato una cena con i suoi amici, soprattutto visto che è sabato. Passerà la giornata a cucinare, la conosco. Oggi invece si sarebbe rinchiusa in casa a pensare al tempo che passa, si sarebbe sentita più vecchia e si sarebbe intristita. Per questo sono venuta. E le ho portato anche un regalo”.
Ma come faceva quel folletto di appena vent’anni a conoscerla così bene? C’è poco da fare, l’unico modo per agganciare davvero un adolescente è lasciarlo entrare. E Anna aveva occhi nell’anima.
“Ho scritto un quaderno di racconti. Ho fatto una copia a mano per lei. Buon compleanno prof”
“Grazie Anna, sono senza parole…”
Prese il quaderno, era di quelli con la copertina rigida, bianco. Lo sfogliò e ritrovò la grafia che conosceva, minuta, leggera, solo più regolare. Penna blu a punta fine, un vizio che le aveva passato lei.
“Prof, scrivere è il mio centro, la forza di gravità che mi tiene ancorata a me stessa. Ho scoperto che, quando scrivo, tutto il nero che ho dentro, si dirada. E poi è una catena, quando comincio non riesco più a fermarmi. Scrivere ha a che fare con chi siamo realmente, col nostro io più profondo. È la nostra essenza. Me l’ha insegnato lei! Si ricorda che battaglie quando c’erano i temi da fare? Ci ha messo un anno a convincermi a buttare sul foglio quello che avevo dentro.”
“Sì, e quando finalmente mi hai dato ascolto, hai scoperto quanto è potente la scrittura. L’avevo capito durante le lezioni di letteratura, era l’unico momento in cui alzavi un poco la testa dal banco, non volevi darlo a vedere, ma mi ero accorta che non perdevi una parola”
“Ricordo ancora le poesie che ci ha fatto imparare a memoria: ‘fatti non foste a viver come bruti’… o ‘lingua mortal non dice quel ch’io sentiva in seno’. Avrei voluto odiarla come odiavo tutti gli altri, ma quando parlava di poesia non potevo che restare incantata”
Non avrebbe mai dimenticato il giorno che aveva conosciuto Anna. Aveva 13 anni, bocciata in seconda nella scuola precedente e approdata nella sua classe senza preavviso. Odiava tutti indistintamente, per precauzione. Così nessuno le avrebbe più fatto del male. Per due anni aveva lottato con lei, per avvicinarsi e scalfire quella corazza. Sentiva la sua sensibilità dietro quell’arroganza e poco a poco, come un gatto selvaggio, Anna si era lasciata avvicinare. Francesca era andata oltre il suo ruolo di insegnante, ne era consapevole e forse non era professionale, ma quando hai davanti a te un’anima trafitta e senti che si sta fidando di te, non c’è tempo per rispettare i confini. Fai ciò che senti.
A volte ci troviamo al posto giusto al momento giusto e dobbiamo solo scegliere se andare fino in fondo o arrenderci.
Nel frattempo erano arrivate sul lungolago. L’aria era così tersa che si scorgevano i paesi sull’altra riva, il sole stava tramontando e il turchese del cielo, il rosa del lago e dei monti sembravano farsi eco. Non c’era vento, era una sera ferma. La superficie del lago era uno specchio e i gabbiani vi si riflettevano volteggiando a pelo d’acqua, ondeggiavano goffi per un attimo e poi riprendevano il volo verso il sole.
Ci si può abituare alla bellezza? Non le era ancora successo, se non nei momenti in cui il suo cuore era triste. Forse più che di abitudine avrebbe parlato del velo che la tristezza posa sugli occhi e che li rende incapaci di cogliere lo splendore d’una giornata di sole. Nei momenti di armonia non era mai stata capace di resistere alla bellezza che la circondava, l’anima ne veniva investita come da una folata di vento, come in quel bellissimo, perfetto, momento presente.
Le due donne passeggiavano vicine in un silenzio pieno di parole. Erano andate oltre l’imbarazzo del silenzio. Possono passare degli anni, ma con le persone con cui hai imparato a parlare senza parlare, il silenzio non sarà più un peso.
Poi Anna riprese a raccontare, le disse dei suoi sogni, dei progetti che aveva, delle scoperte che stava facendo, su di sé e sugli altri. Aveva sempre avuto il talento della narratrice, riusciva a cogliere le sfumature della realtà.
“E il suo ragazzo come sta?”
Francesca fu colta alla sprovvista dalla domanda, ma dopotutto ormai parlavano da adulte.
“È in Germania e vorrebbe che io lo raggiungessi.”
“E lei cosa pensa di fare?”
“Non lo so, sono due anni che ci penso, ma adesso la lontananza è troppo dolorosa, forse potrei provare ad insegnare là.”
“Ma lei non può farlo! Non può andarsene! Pensi ai suoi alunni, a tutti quelli che verranno, pensi alle Anne che incontrerà sulla sua strada!”
“Di Anna ce n’è solo una per fortuna” rispose Francesca sorridendo maliziosa e dandole un piccola spinta sulla spalla.
“Va bene, ammetto che io sono stata un pochino difficile. Ma questo riguarda il suo sogno. Lei ha sempre voluto fare l’insegnante, è nata per questo lavoro! Pensa di poter essere altrettanto felice ad insegnare l’alfabeto a qualche tedesco? E poi lassù, al freddo, lei che ha il sole dentro, la sua anima congelerebbe. Se lui la ama come può chiederle questo?”
“E infatti non me lo chiede, lascia che sia io a scegliere, lui aspetta e basta. Ma neanche io posso chiedergli di tornare, proprio perché lo amo”. Non c’è soluzione pensò, ma non riuscì a dirlo, le tremava la voce. Si fermarono accanto al molo. Anna aveva toccato la ferita e Francesca non voleva fingere. Anche lei se ne accorse, prese un respiro profondo: “Scusi… sono stata un’egoista. Ho pensato a me e a tutti quelli come me. Ma ha ragione. Chi ama, lascia libero. Se davvero sarà più felice in Germania con l’uomo che ama, allora io sarò felice per lei”.
Chi è la prof e chi l’alunna adesso, si chiese Francesca.
“Grazie Anna.”
“Tanto la verrò a trovare anche lì, cosa crede!”
Risero entrambe, poi si abbracciarono. Anna la strinse forte un attimo in più, quasi per non lasciarla andare, poi si allontanò, il sorriso sulle labbra e sugli occhi.
La risoluzione presa qualche ora prima già vacillava, ma era troppo carica di emozioni per pensarci. Si avviò lentamente verso casa. Notò parcheggiata lì vicino una macchina come quella di Paolo piena di bagagli, non l’aveva mai vista prima, forse qualcuno si trasferiva. Arrivò al pianerottolo del terzo piano, il condominio era avvolto nel silenzio. Girò la chiave nella serratura e vide una luce tenue, aveva dimenticato la lampada della scrivania accesa? Fece qualche passo verso il soggiorno e un’ombra si staccò dalla parete, Francesca fece un balzo indietro dallo spavento e poi vide i suoi occhi. I suoi occhi neri pieni di tenerezza.
“Paolo?!” sussurrò incredula. “Buon compleanno”. Lui si avvicinò e la abbracciò stretta. “Ma quando sei arrivato? Perché non mi hai avvertito? Quanto ti fermi?”.
“Non ne posso più di questa vita, basta. Forse tutto sommato è meglio fare i precari in Italia, ma insieme. Voglio stare con te, non ce la faccio più ad avere sempre freddo, a mangiare cose impronunciabili e a dormire senza di te. Sono tornato per restare. Chissà, forse se faremo bene il nostro lavoro, quando i nostri alunni cresceranno, l’Italia sarà un Paese migliore e i nostri figli non dovranno emigrare”.
Lei lo abbracciò forte, commossa e con voce tremante intonò:
“You may say I’m a dreamer, but I’m not the only one”
Lui la seguì. “I hope someday you’ll join us, and the world will live as one”.
E poi non ci fu più bisogno di parlare.
Entusiasmante, tenero, pieno di sensibilità. Sei piena di vita e di amore, Paola. La fine mi ha dato i brividi.
Un racconto che sicuramente sarà un bellissimo regalo per chi insegna, con l’obiettivo di lasciare qualcosa nei cuori tormentati dei propri studenti. Anna appare, quasi come un segnale che qualcosa di positivo sta per accadere… e alla fine arriva lui! Mi è piaciuto molto!
Cara Paola, io di anni ne ho più di Francesca, ma i miei studenti li ricordo quasi tutti. Hanno figli grandi medi piccoli e mi riempiono di loro foto, mi vengono a trovare a casa da decenni e mi fanno le dediche sulle tesi di Laurea; insomma, ti riempiono la vita e ti fanno capire quali siano le cose veramente importanti. E’ il lavoro più faticoso del mondo, chi l’ha scelto lo sa, perché si incontrano e ci si scontra con persone che stanno disperatamente cercando di crescere tra mille ostacoli e modelli spesso negativi. Si cammina sempre su di un filo che potrebbe spezzarsi, ma quando ti chiedono aiuto e ascolto tu capisci che non hai fallito, pur con tutte le incapacità di cui ti senti portatore. Anna è solo un fiore tra tutti quelli che si coltivano e che semineranno a loro volta altri semi. E’ il prodotto della scuola buona.
Appassionante e naturalmente commovente il tuo racconto! Magari ci fossero tante insegnanti come la tua Francesca in grado di colpire, suscitare interesse e insomma amare i propri allievi in età fragile. Complimenti Paola.
Lucia
Un racconto avvincente, scorrevole e ricco di valori.
Ben caratterizzate le personalità delle protagoniste, e i dialoghi.
Affronta un tema molto attuale. Complimenti davvero brava!!
@ Dominique, grazie! Non ero convinta del finale, ma se mi dici così vuol dire che ho fatto la scelta giusta…
@ Silvia, sì è vero, Anna è il segnale di qualcosa di positivo che sta per accadere, la vita ci sorprende sempre quando meno ce lo aspettiamo. Grazie per aver letto!
@ Paola, grazie del bel commento. Sei un’insegnante e sai. Tra noi che facciamo con passione questo lavoro non c’è bisogno di tante parole. Anna è il simbolo di tutti quegli alunni, e sono tanti, che hanno bisogno di credere in un adulto ma soprattutto di un adulto creda in loro. Anch’io ne ho conosciuti e ne incontro tanti e per ognuno di loro c’è un posto nel mio cuore. Insegnare alle medie è difficile e bellissimo perchè hai davvero uno spaccato dell’umanità, ma la bellezza di questi adolescenti, così veri e autentici… e coraggiosi, ci riconcilia col genere umano! Non potrei mai fare nessun altro lavoro… ed è bello ritrovare anche qui un’altra Paola che ci crede come me!
@Cara Lucia, grazie! Conosci bene gli adolescenti per sapere quanto ci sia di vero in questo racconto, è un’età così delicata e preziosa che bisogna entrare in punta di piedi nel loro mondo… Grazie per avermi letto e commentato!
@Grazia, ti ringrazio per aver letto il racconto e per il bel commento, sì il tema è sempre attuale e non se ne parlerà mai abbastanza, a volte gli insegnanti non si rendono conto del difficile e meraviglioso ruolo che hanno!
insegnare significa concedere il proprio cuore come porto a chi è alla disperata ricerca di punti fissi
e in questo racconto è difficile capire chi copre il ruolo vero di insegnante!
complimenti Paola!
Paola,
un racconto sognante, tenero e vellutato, che spinge chi legge a compartecipare alla sofferta (eventuale) scelta che Francesca dovrebbe compiere tra i suoi amori.
Anna è un bellissimo esempio di un sogno che si realizza: credo che per i docenti, che per me sono e rimangono modellatori di anime, nessun premio possa superare quello di un dialogo aperto, maturo e consapevole con un alunno che, paradossalmente, finisce quasi per fare da grillo parlante a chi gli ha fornito le basi di vita.
Oltre a quanto già ti è stato detto, ho apprezzato moltissimo il passaggio sulla scrittura, strumento tramite cui Anna ha potuto sfuggire al dolore e spiccare il volo.
Non solo metaforicamente.
Bravissima.
Paola, in questo racconto hai messo tutto il tuo cuore, svelando le tue emozioni e, forse, le tue personali esperienze con grande coraggio. Io che appartengo in pieno alla generazione degli espatriati, e delle “scelte importanti”, mi sono immedesimata nei pensieri sia di Francesca, sia di Paolo.
Che tra parentesi, come i loro omonimi danteschi, scelgono alla fine di lasciarsi trasportare – insieme – dal vento, forse dall’abisso di una vita fatta di precarietà…non so bene se interpretare il finale come un happy ending, a dire il vero 🙂 in ogni caso, complimenti!
Che impressione…. un’altra Paola, un’altra insegnante, un altro specchio in cui riflettermi.
Oltretutto Francesca affronta un aut aut che anch’io, seppur con esiti diversi, ho dolorosamente affrontato.
Mi sono rivista in Francesca, insegnante di scuola secondaria di primo grado… e poi c’è il secondo grado… come se quella porzione di vita fosse una sentenza, senza possibilità di appello…
In quei tre anni, in quella terra di mezzo, nel tuo e loro Inferno, Purgatorio e Paradiso, maneggi materiale umano, che va trattato con estrema cautela, e quindi non hai idea di quanto mi abbia colpito il titolo.
Anna è l’emblema del vero successo, fatto di fatica, pazienza, coraggio e volontà, dell’insegnante e dell’alunno.
Paola, bravissima e grazie per questo racconto scritto “divinamente” (quei due, Dante e Shakespeare, sono un po’ dappertutto qui in Racconti… che bello).
Quindi, che dire a Paolo e Francesca? Andate e moltiplicatevi!
Che brava che sei Paola, la tua storia è bella, delicata carica di emozioni, scritta magnificamente e trasmette emozioni in modo meraviglioso!
Mi sono riaffiorati i ricordi di una delle persone più importanti nella mia vita, guarda caso un insegnante!
(devo averci anche scritto un frammento)
Non credo si tratti solamente di un lavoro, ma di una vera missione con una valenza sociale e etica enorme.
Grazie per questo !
Paola,
giochi con le parole con la cura di una nonna che mischia pazientemente gli ingredienti per la torta desiderata dai nipotini. Nel tuo racconto, in quella passeggiata e in quel tramonto, sei riuscita a fare emergere emozioni e sentimenti, ci hai fatto assaporare il dolce della vita che attende la giovane Anna e l’amaro di quella più matura di Francesca e ci hai fatto sperare per il bene di entrambi i loro futuri.
Poi quel passaggio, “con le persone con cui hai imparato a parlare senza parlare” mi hai fatto dire non senza una punta di invidia: avrei voluto scriverle io quello parole.
I complimenti con te sono superflui.
Brava brava brava.
Molto bella e intensa la scena dell’esperimento degli odori. Brava!