Premio Racconti nella Rete 2017 “Kore e la leggenda del Lago degli Idoli” di Francesca Di Gioia (sezione racconti per bambini)
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017Quella mattina si incamminarono quando le prime luci dell’alba non erano ancora apparse all’orizzonte, mentre la nebbia avvolgeva, come un manto, la fitta boscaglia. La natura si mostrava incantata, con la brina che ricopriva le piante del sottobosco tanto che nel loro incedere lento, lasciavano flebili impronte.
“Dai, su! Non avere paura, avvicinati al lago”. Erano le parole che Antea pronunciò accompagnando la piccola Iside sulla riva. La guardava negli occhi tenendole stretta la mano. La bimba aveva solo pochi anni ma voleva fare il suo dono alla Principessa del Lago, così la chiamava lei.
La immaginava bellissima nei suoi sogni di bambina e, in quelle notti, le aveva promesso di unirsi alle sue ancelle, quelle che vedeva tutte le sere all’imbrunire, scorrere in un lungo e silenzioso corteo. Si allineavano per due, dando vita ad una fila interminabile ed eterea, vestite com’erano solo di una tunica bianca.
I drappi leggeri, le facevano apparire come fuscelli sospinti dal vento, mentre la stoffa si raccordava sulla spalla, su di un lato, lì dove una fibula annodava la veste con delle placchette in bronzo.
Nel villaggio c’era un uomo che, da molto tempo, incideva lamine di metallo in varie forme e realizzava anche piccoli monili forgiando metalli preziosi, come l’oro, mentre altri li intagliava direttamente nella pietra. Questi ultimi a forma di spessi cerchi con un buco nel centro, si infilavano lungo dei cordoni e diventavano dei grandi pendagli.
Le donne consacrate alla dea Kore, regina del Lago, venivano scelte tra le vergini più belle, nei territori posti al di là della ciliegeta, ma le fanciulle dovevano dimostrare di possedere pubbliche virtù oltre a quelle conosciute alla vista, ed essere istruite e di alto rango.
Iside le vedeva tutti i giorni e non poteva che desiderare che diventare come loro. Era per quel motivo che aveva insistito con Antea per essere accompagnata, proprio lì al lago, voleva fare come facevano le sacerdotesse che vedeva sfilavare di fianco alla sua capanna fatta di giunchi e paglia.
Lei e la sorellina Kia, avevano ricavato una piccola fessura nei ramoscelli che segnavano il perimetro del rifugio tutt’attorno, e da lì osservavano il passaggio del corteo. Quando questo si stava avviciando al villaggio, se ne accorgevano da un sibilo dolce che proveniva dal bosco; era come un fruscio prodotto dal vento che alitava lieve tra i panni mossi. Erano le vesti e i calzari fatti di foglie di castagno intrecciate e corteccia di ciliegio, a dar vita a quella soave melodia.
Al mattino poi erano sempre la bimba e la sorellina a portarsi nel punto nel quale vedevano camminare solenni le donne; il loro gioco preferito era diventato seguire i passi che trovavano sul selciato, faceva sentire grandi e belle anche loro.
Erano state le domande insistenti su quel rito che si celebrava da sempre alla sera, a convincere Antea ad accompagnare Iside sulla sponda del lago.
Era ancora notte quando partirono dal villaggio. Dovevano percorrere un tratto impervio in mezzo alla selva che spesso riservava delle insidie. Da lì, c’erano diversi passaggi che portavano dai crinali dei monti alle valli abitate da gente guerresca. Non avevano mai attaccato nessuno, né mai saccheggiato le capanne ma quando incrociavano lo sguardo di qualcheduno lungo la strada, lo mettevano in fuga con punte acuminate e asce in ferro.
Il bosco del Mons Falcatus era pieno di animali selvatici mentre al villaggio, in un’ampia radura, si pascolavano i buoi, ed il lago di acqua sorgiva era parco di frutti. Ma per le popolazioni della valle era sacro, era un luogo nelle cui acque trovavano rifugio gli spiriti della guarigione, portati lì dalla dea Kore. Era ai suoi servigi che, quella mattina, voleva consacrarsi Iside.
La bimba era decisa ad unirsi, un giorno a quelle donne del lago, e ne era convinta a tal punto da aver convinto Antea ad accompagnarla. La donna conosceva Iside dalla nascita e l’aveva vista ogni giorno diventare più bella e più arguta, e diceva sempre che al tempio l’avrebbero notata di sicuro.
Aveva capelli lunghi castani che le scendevano con un leggero movimento ondulato lungo il corpo minuto, mentre grandi occhi verdi e dalle folte ciglia, brillavano di un insolito luccichio.
L’incarnato poi incantava davvero, era chiaro come il latte , mentre le guanciotte le donavano un aspetto che faceva grande simpatia.
Al villaggio la conoscevano tutti, scorrazzava in ogni dove e aveva – per questo – dato da pensare ai saggi del paese, perché si allontanava nella foresta senza farvi ritorno per ore e quando le chiedevano cosa avesse fatto in tutto quel tempo, lei rispondeva con innocenza: “Ho parlato con gli spiriti del bosco”. Di certo le riconoscevano una certa sensibilità. Ma per arrivare a quel giorno che tanto aveva aspettato, si era preparata con cura, aiutata da Antea che le aveva raccontato della storia della dea e di quel posto magico.
Avevano persino chiesto all’uomo del paese di farle una piccola statuetta in bronzo per omaggiare la dea.
Le preoccupazione degli adulti erano giustificate dal fatto che la vita al villaggio era diventata molto pericolosa proprio da quando dei guerrieri che arrivavano dalle valli vicine, attraverso un passaggio a nord della radura, avevano conquistato le cime più alte del monte da cui nasceva il fiume e avevano abitato le montagne.
Appostati negli anfratti più impervi tra rocce e speroni, erano pronti ad attaccare gli uomini che da sempre vivevano quelle terre. Erano soprattutto le greggi ad essere in pericolo e quindi i pastori che attraversavano i sentieri lungo i boschi, diventavano bersaglio dei predatori. In molti si chiedevano al villaggio chi fossero quegli uomini rivestiti di armature in ferro e armati di lance pronte ad essere scagliate, al passaggio delle carovane, dei selvaggi nei volti ma acuti guerrieri nei modi.
Non bastavano di certo le suppliche che le donne facevano alla dea del lago, portandole delle piccole statuette delle gambe o delle braccia dei pastori feriti, a fermare quegli “uomini venuti dal nord”.
Quelli che iniziavano ad spingersi sempre di più a valle; forse per la mancanza di cibo nel rigido inverno. Era la foce del “fiume grande” – come lo chiamavano loro – il punto da cui partivano.
Seguivano poi le acque di un piccolo ruscello che scavava tenue la roccia per farsi poi sempre più poderoso, ed era lo stesso che i pastori avevano l’abitudine di costeggiare con le greggi per non perdere la strada del ritorno.
Ma il pericolo degli adulti non spaventava di certo Iside che quella mattina doveva lasciare il suo piccolo monile alla principessa, a qualunque costo; e mentre la brina imbiancava le foglie degli alti ciliegi, lei aveva il passo sempre più inquieto tanto da raggiungere di slancio la sponda del lago.
Erano solo pochi metri a separarle dalle acque ma non era prudente correre in quel modo, non con quella nebbia, ma Antea non poté nulla al cospetto di quella bimba, curiosa e volitiva.
Arrivata alla riva si fermò. Tutta quell’ansia di raggiungere la principessa si era placata, anzi con grande stupore da parte della donna, la piccola aprì le braccia e rivolse i palmi delle mani verso l’alto, mentre Antea accompagnava quei gesti con un canto che, complice la posizione della conca, iniziò pian piano a diffondersi, e ad elevarsi dal pelo d’acqua fino al cielo.
Guardava ammirata quel prodigio mentre pian piano il giorno si faceva presente. Era l’energia di Iside e la forza che emanava a rendere quel luogo ancora più speciale quella mattina.
Solo un’anima candida come la sua poteva produrre quell’incanto. Un sorriso le segnò il viso mentre guardava la piccola ma ben presto dovette interrompere quell’incanto.
“Iside adesso è tardi! Sta per levarsi il sole sul villaggio e qualcuno si accorgerà che non sei nella capanna, dobbiamo fare in fretta, è giunto il momento di fare il tuo voto”.
“No, non ancora mia signora, la principessa non ha ancora visto che sono qui… Sta dormendo sotto il lago, e io devo aspettare che veda che sono qui! Che sono qui per lei!”.
“Piccola mia – disse Antea guardandola con infinita tenerezza –, la principessa non si fa vedere da chi abita qui… è fatta delle cose del cielo”.
“E allora dimmi come si fa a diventare come Lei, tutta di cielo”.
“Non c’è un modo! Noi nasciamo nelle viscere della dea Madre e lì torniamo, lei è nata dagli astri nella notte del Mondo e adesso è qui vicino a noi, per rendere sacre queste acque e guarirci, è divina”.
“Allora va bene, lei è diversa da noi, ho capito ma io devo darle questa” – disse Iside alzando verso Antea la statuetta che aveva portato con sé.
“Bene, avvicinati più che puoi all’acqua e quando pensi di esser pronta, dalle il tuo dono”.
Iside si avvicinò alle acque e con una forza che sconfessava la sua esile figura, lanciò lontano da sé la piccola scultura, proprio al centro del lago lì dove pensavano abitasse lo spirito della dea. La statuetta raffigurava Kore vestita con un chitone decorato con segni a forma di piccole linee a zig-zag, come l’alfabeto delle valli.
La raffiguravano così nei panni di Kore gli abitanti della Ciliegeta e veneravano le acque salubri del lago, mentre compivano riti oracolari lungo la riva a sud dei monti, lì dove i torrenti sfociavano nella conca, per poi continuare ad attraversavano i valichi ad ovest. I pastori avevano notato che al di là della cima più alta, le acque si insinuavano in un antro roccioso senza riemergere più in pianura. Era uno dei misteri della valle e la natura con le sue “magie” governava ogni cosa. E la fitta selva tutt’attorno era un luogo in cui si celebravano culti antichi, tra la fitta vegetazione di alberi ad alto fusto come abeti, aceri e ciliegi appunto, diventava – soprattutto durante le lunghe notti del periodo del freddo – un rifugio sicuro per gli sciamani del villaggio. Ma nel bosco, si tenevano anche le cerimonie per eleggere i cavalieri. Ogni volta che si concludevano il tempo della semina e del raccolto, si sceglievano nelle tribù della valle, dei giovani da iniziare all’arte della guerra, giovani che superavano le prove del fuoco e dell’acqua, mostrando la forza di dominare gli elementi, in grado di resistere ai pericoli che incombevano dal nord, con gli attacchi di quegli uomini selvaggi, gli altri invece erano destinati a dedicarsi alla pastorizia.
Era molto prestigioso però diventare combattenti per difendere gli animali e le genti del villaggio. Persino il padre di Iside, Aron aveva un passato da guardiano della valle, ma poi raggiunta la maturità di uomo faceva parte del clan dei saggi della tribù che prendeva le decisioni più importanti per la comunità.
Iside era convinta, prima di giungere al lago, che Kore l’avrebbe accolta nel suo regno delle acque o che si fosse mostrata per ricevere il suo dono ma dopo che Antea le aveva spiegato che riposava sul fondo del lago, aveva capito che era tempo di andar via. Sarebbe tornata di certo, lo promise alla dea proprio mentre lanciava la statuina, “Tornerò qui ogni giorno, e per tanti giorni ancora” le aveva sentito sussurrare Antea.
La caparbietà di quello scricciolo aveva sempre impressionato tutti al villaggio, tanto che il padre le ripeteva spesso che se fosse stata un maschio, sarebbe stata il più determinato e impavido dei cavalieri.
Ma lei e Kia erano due splendide bambine e venivano istruite a raccogliere i frutti e a curare le greggi e ad aiutare la madre a preparare il cibo e sistemare gli indumenti. Il loro era un destino già segnato come era stato quello della madre che giovanissima era stata promessa ad un uomo più grande di lei che se ne sarebbe preso cura. Ma Iside guardando ai culti del lago, voleva per lei quella vita, la vita scelta per le vergini consacrate.
Quando Antea la lasciò sull’uscio della capanna e i primi bagliori dell’alba si vedevano lampeggiare ad est, oltre il crinale della montagna, scorse nello sguardo di Iside uno strano luccichio. Forse un brillare di felicità o forse gli occhi umettati lasciavano trasparire il dispiacere di aver lasciato il lago. Ma poi la piccola le volse le spalle ed entrò per prendere posto nel giaciglio che le spettava di fianco a Kia che dormiva ancora, mentre Antea si allontanò nel silenzio, tra le capanne.
Era stata pericolosa quella sortita ma andava fatta. Il giorno dopo poi era un giorno importante per la comunità: era del giorno del sacrificio all’ara magna, e lei si sentiva pronta alle scelte dei grandi.
La principessa del lago le apparve ancora nei sogni, quella notte e altre notti ancora, ma poi Iside si svegliava ed era giorno ad Arezzo, e la principessa del lago non la vedeva più e Antea neanche, solo Kia, la sua sorellina, dormiva nel lettino accanto al suo e le strappava sempre un sorriso al risveglio.
Con il tempo le avrebbe detto di quei sogni e della dea, era sicura che la storia della Ciliegeta l’avrebbe incantata come era accaduto a lei nei sogni di bambina, dopotutto non aveva bisogno della realtà per sapere di essere o di essere già stata, una di quelle ancelle del lago.
I nomi dei personaggi evocano orizzonti selvaggi.
Si, Antonio. Vero! Hai usato un aggettivo che mi è molto caro e si riferisce a ciò che non è addomesticato né in natura e né nella società così detta civile; selvatico sta per autentico, originario.
Nel racconto questi archetipi del mondo simbolico sono frammisti alla storia di popoli che hanno abitato il crinale degli appennini nella zona tra la Toscana e la Romagna, ricostruita in modo romanzato ma ispirata a luoghi e rituali realmente documentati. Le suggestioni dei bambini e la loro ingenuità di spirito potrebbero aiutarci a comprendere, sensazioni sospese tra il vero e il verosimile, tutto nel segno del “selvaggio”. Grazie mille per l’osservazione super pertinente 🙂