Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2017 “Silenzio” di Luigi Cantini

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017

Buio, non capisco. Sento le palpebre dure, non connetto; eppure ho gli occhi aperti, almeno credo. Provo, sbatto le palpebre e ne percepisco il movimento, adesso mi concentro e sì, gli occhi sono aperti. Sì, sono aperti. Ma non vedo niente, troppo buio tutt’intorno; provo a muovere i bulbi ora a destra e ora a sinistra, ma niente, nemmeno uno spiraglio di luce. Sicuramente è un sogno, tanto vale provare di nuovo. Ora sopra, ora sotto; niente ancora, nessun barlume di luce. Rilassati, fra poco cesserà tutto, sicuramente il suono della sveglia ti riporterà alla monotona normalità, devo solo aspettare, mi dico. Ma se ci fosse un po’ di luce poteri guardarmi intorno. Tanto, cosa vedrei, sono nella mia stanza e il soffitto lo conosco bene. No, non mi serve la luce, va bene così. Eppure sento il suono del respiro, sento il rumore dell’aria che si insinua tra le narici, ma è pesante, strana, sembra quasi di respirare muffa da un muro umido e orientato a nord. Trattengo il respiro, nessun altro suono, niente da segnalare; certo di notte non ci sono grossi fragori, non c’è il chiasso giornaliero, e poi abito ai piedi della montagna, è normale che, soprattutto di notte, non senta nulla. Auto convincimento. Ma non funziona. Non mi quadra. Nessun rumore va bene, ma qui sembra una camera anecoica, il silenzio è insopportabile. Riprendo con la respirazione, mi sento solo con il suono del mio respiro. All’aria che entra corrisponde il movimento del torace, lo capisco, percepisco gli abiti che si tirano sulle spalle ogni volta che inspiro; di contro sento che non tirano più quando l’aria fuoriesce. La bocca, provo ad aprire e chiudere, funziona ma è secca. Fatico a deglutire, qualcosa all’altezza della gola m’infastidisce e stringe un po’ sopra il collo. La cravatta. E’ un sogno, non ho mai messo la cravatta in vita mia. Rido, in che cazzo di sogno mi sono cacciato. Certo che è la cravatta, ogni volta che si muove la laringe, sento pressare all’altezza della gola. Sarebbe contenta mia mamma di sapermi con la cravatta; non che avesse molta importanza per lei, ma qualche tempo fa mi disse di non avermi mai visto in giacca e cravatta. “Se è per questo, nessuno mi ha mai visto in giacca e cravatta!” fu la mia risposta. Entrambe ridemmo e la questione finì lì. Non so’ se ho anche la giacca, non mi pare, però la camicia sì, con cosa l’avrei messa altrimenti la cravatta? Non con una maglietta degli ACDC, ci vuole almeno una camicia, magari non troppo elegante, non una di quelle con il collo enorme che sembra una zampa di papera; quindi abbottonata fino all’ultimo bottone.

Che scomodità, ma come fanno camicia, cravatta e giacca ed essere diventate sinonimo di eleganza, di formalità. Chi è quel pirla che per primo si è messo la camicia e la cravatta? Passi la camicia, credo di averla vista in un film sugli antichi romani, indossata dai senatori dell’impero; loro sì che erano comodi, sandaletti ai piedi, tunica bianca indossata a mo’ di sacco della spazzatura e via, si andava a comandare. E a godersela, circondati da belle donne e fiumi di vino. Ma la cravatta? Questa cosa la devo scoprire. Potrebbe essere stato un obbligo per il condannato all’impiccagione che era sopravvissuto alla condanna non morendo al tirarsi della corda. Sì, spiegazione plausibile; la cravatta come segnale che si era in presenza di un miserabile che nemmeno signora morte aveva voluto con sé. Però sto’ divagando, ero rimasto alla gola secca, ora sento un po’ di saliva circolare, anche la bocca ha guadagnato umidità, rimane quel nauseante sentore di muffa.

Ho dormito ancora un po’, meglio, si avvicina il momento della sveglia e finisce quello del sogno, anche se, tutto sommato, non sto’ poi così male. A parte la muffa, quella rimane sotto le narici e dà davvero noia; però mi sento riposato. Certo è che non vedo proprio niente.

Già che ci sono resetto quanto appreso e riprovo con i sensi. Dunque, la vista. No, tutto come prima, buio assoluto.

Olfatto. Funziona, purtroppo. Muffa, continuamente muffa; olfatto funzionante e fin troppo.

Oltre, è il momento di andare oltre.

Gusto, come faccio con il gusto. Prima avevo la bocca secca, adesso è normale, leggermente umida. Ma non ho in bocca null’altro che saliva,  come posso controllare se il gusto funziona. La saliva non ha sapore, non serve a granché. Teoria ripresa anche da Jovanotti: “Nessuno si disseta, ingoiando la saliva”. Bella canzone, estiva e fresca. Mi sfugge il titolo, ma ricordo qualche passaggio, “pioggia, vento e sangue nelle vene”, bella. “Nessuno si disseta ingoiando la saliva”, assoluta verità; immagino nel deserto, a quaranta gradi all’ombra, l’omino delle barzellette che striscia sulla sabbia bollente, arso nella bocca e senza più un millilitro di liquidi. Lo vedo alzarsi, deglutire una decina di volte e ripartire correndo verso la salvezza. Rido, i fumetti delle barzellette  mi hanno sempre messo di buon umore. Quaranta gradi all’ombra, nel deserto. E dove cavolo la trovi l’ombra nel deserto? Rido di nuovo, e di gusto. Mi sento ridere e questo mi porta a una nuova considerazione, anche l’udito funziona; bene, forse non ci vedo ma almeno ci sento. Non è granché come osservazione, ma prosegue quantomeno lo scrupoloso esame dei sensi. Cautela, con un po’ di cautela dovrei arrivare ad un dunque.

Stupido sogno, non è nemmeno il primo strano che mi capita. Mi ritrovo a pensarci. Una volta stavo sognando di essere in Africa, su una di quelle case montate sugli alberi, lontano dalle fauci indiscrete dei predatori. Ero appoggiato alla balaustra in legno di bambù, almeno credo che fosse bambù. In effetti non saprei perché penso che fosse bambù, nel sogno appariva semplicemente di colore marrone chiaro e forma circolare; in effetti avrebbe potuto essere di qualsiasi materiale. Non saprei in questo momento, me ne faccio una ragione, do’ per acquisito che fosse bambù. Ho la gola secca e NO, non devo distrarmi, ripenso al bambù. Guardavo il panorama della savana e ricordo di aver visto degli elefanti; che fossero elefanti ne sono sicuro. Sicuro, anche se dal vivo non ne ho mai visto uno. Altro appunto, prendo nota mentalmente per quando mi sveglio: scoprire  chi ha inventato la cravatta e andare a vedere gli elefanti. Lista aggiornata. Ripercorro nuovamente il mio sogno, ero agli elefanti e ricordo che scendetti dalla casa/palafitta. Volevo vedere gli elefanti da vicino, mi avvicinai e rimasi affascinato dalla grandezza, dalla maestosità di questi animali. Loro mi guardarono e il più piccolo iniziò a correre verso di me. Mi misi a correre a mia volta ma l’elefantino mi raggiunse, caddi a terra e mi inforcò con le zanne dove la gamba si congiunge con il tronco del corpo. In quel medesimo momento, ricordo bene che mi svegliai con un dolore  fortissimo nel punto in cui l’elefantino mi colpì, avevo i crampi. Proprio in quel punto. Sogno premonitore, classico esempio, questione chiusa.

Prurito, ecco una nuova sensazione. Prurito sulla testa, oppure insetto. NO! Insetto no dai. Sensazione di prurito passata, forse anch’essa frutto di un sogno. Però che strano sto’ sognando e mi ricordo di un altro sogno passato. A parte l’elefantino che mi incorna, grandi altri ricordi di sogni non me ne vengono in mente; nemmeno di aver sognato pruriti.

Mi riprendo, mi manca ancora il gusto ma posso sopravvivere anche senza testarlo; però no, ci riprovo. Allungo la lingua il più possibile e cerco di leccarmi i bordi della bocca, sensazione strana. Passo la lingua sui denti, chiudo la bocca e provo ad analizzare. Sentore di crema, schifosa. Era meglio non controllare il gusto. Crema, che cosa ci faccio con della crema sulla faccia? Non ho la risposta pronta. Che strano sogno. Riparto con la lingua alla ricerca di altri aiuti, niente. Sempre e solo questo saporaccio di prodotto cosmetico. Sarò truccato, d’altra parte è un sogno e non posso di certo “manovrarlo” a piacimento. Cosa vorrei sognare altrimenti? Isola tropicale, sdraiato all’ombra di una palma con il cocktail colorato contornato da ombrellino e cannuccia. No, troppo banale. Forse essere il rigorista della finale di coppa. Bello, ma troppa responsabilità. Penso. Forse essere invisibile, ecco, forse avere il dono dell’invisibilità e sognare di poter entrare nei salotti dei potenti del mondo e vedere con i miei occhi e sentire con le mie orecchie, come si comportano e cosa si dicono. Però non sarebbe sognare, o forse si. Alla fine cosa è un sogno, se non calarsi in un ruolo che normalmente non si può ricoprire? Pensieri. Vaghi. Ritorno al sapore che ho in bocca, sta svanendo. Mi guardo bene dal ripassare la lingua su quella crema schifosa.

Però sono comodo, non avevo ancora valutato la situazione; sicuramente mi sveglio bello riposato, pronto per una nuova giornata. Non mi ricordo che giorno è ma va bene così; dov’esse essere anche lunedì, credo che mi sveglierò con il sorriso. Evento più unico che raro, non si può sorridere il lunedì mattina, è vietato. A meno che non ti trovi su una spiaggia, tropicale, oppure invisibile ovunque tu voglia.

Sto’ divagando ancora, non sono in grado di controllare la mente. Normale, sono in un sogno. O forse no, se non fosse un sogno? Cosa potrebbe essere? Non so, forse mi ritrovo in una dimensione parallela. Una dimensione che viaggia parallela a quella che sono abituato ad attraversare quotidianamente quando apro gli occhi, quando mi sveglio. Così ha un senso. Sono a fianco della vita che scorre normalmente. Se ci fosse un po’ di luce, potrei sicuramente vedere tutto quello che di solito mi circonda. Anzi, probabilmente, se cercassi in questa dimensione, potrei vedere anche me stesso; il me stesso che fra poco impreca per il suono della sveglia. Faccia imbronciata perché è lunedì mattina. Sorrido, che bella sensazione. Vedere il me stesso che va al lavoro, e io beato a riposare. Sono sicuro che mi farei anche dei gestacci, dei gestacci a me stesso. Che sogno strano.

Riposo, sono sicuro che ho riposato ancora un po’; mi sembra che sia passato del tempo. I, tempo, non ho la cognizione del tempo. Non so’ che ore sono, non so’ che giorno è e, a dirla tutta, non ricordo nemmeno il mese. Sogno strano.

Adesso però sono sveglio, riassumo la situazione. Ah già, ero rimasto ai sensi. Vista. Ancora tutto buio. Udito, a parte il respiro, ancora niente. Tatto, beh mi pruriva la testa poco fa, quindi con il tatto dovremmo essere ok. Olfatto, odore di muffa presente. Gusto, saporaccio schifoso di crema. Ci siamo, ora suona la sveglia, sicuro. Anzi, magari è già suonata e sono rimasto a letto. Come faccio a saperlo? Che sogno strano.

E’ passato del tempo, ho ancora la bocca secca, salivazione azzerata. Però adesso sono stanco, non mi sento più riposato come l’ultima volta. L’ultima volta? L’ultima volta di cosa? Non capisco, da quanto sto’ dormendo? E se non fosse un sogno? Stanchezza, nuova condizione. Dovrei fare un check up dei sensi, forse mi riprenderei, ma non ne ho voglia, ho paura che non ci siano novità rispetto all’ultima analisi. Paura, ecco qualcosa di nuovo, sento cambiare anche la frequenza del respiro, e sempre qualcosa sulla gola che stringe, maledetta cravatta. Di che colore sarà? Me la immagino, stretta sul collo e annodata impeccabile. Non saprei di che colore la vorrei, forse un classico colore scuro, poco appariscente. Ma tanto c’è buio, se anche fosse fosforescente avrebbe perso luminosità e sarebbe comunque “spenta”. Non so come si annodi una cravatta, non saprei da dove cominciare. Mi ci vedo ora a prendere quei due pezzi di stoffa che scendono dalle spalle, metterne uno sotto, quello sopra farlo girare introno a quello sotto, e poi dal basso provare a far passare uno dei due dentro l’altro; no, mi sono perso, riprovo con i due pezzi di stoffa. Niente da fare, abbandono l’idea. Però credo di aver visto qualche tempo fa, anche perché adesso non posso aver visto niente. Ah ah, rido alla battuta. Non è una battuta, ma rido lo stesso. Cravatta, ah già. Avevo visto un cravattino finto, con non incorporato che però non gira sotto il colletto della camicia, aveva una molletta che lo bloccava al collo, niente stress e niente stato di costrizione; respirazione libera m con la stessa eleganza della cravatta vera. Anche se per me non è eleganza. Divago, ancora non so’ dove sono e penso alla cravatta. Stanco, ora riposo un po’ e poi penserò al colore ella cravatta.

Mi riprendo da questa situazione, forse di dormiveglia, forse di dimensione parallela. Mi sento stanco, ma in questo momento anche lucido, devo approfittarne. Niente colore della cravatta per il momento. Check up veloce dei sensi. Tutto come prima. Le gambe, non ci avevo ancora pensato. Le gambe ci sono, come posso provarlo. Do’ il comando, provo a muovere le dita dei piedi. Niente, non le sento. Dovrei avvertire il contatto o lo strofinamento di un dito contro l’altro, ma questa sensazione non arriva al cervello; come se i precettori che portano i segnali al cervello fossero interrotti o addormentati. Riprovo, niente. Non capisco nemmeno se si stanno muovendo le dita oppure no. Forse non ho i calzini ed è per questo che non avverto nessuna sensazione. Provo con la contrazione delle dita, spero di farmi male e di sentire qualcosa. Tentativo andato a vuoto. Ragiono. Troppo lontane le dita dei piedi, devo provare con qualcosa di più vicino. Che stupido, la mani! Come mai non ci ho pensato fino adesso, le braccia e le mani potrebbero essere la mia salvezza. Salvezza non so’ ancora da cosa, ma con le mani adesso mi riprendo da tutto. Respiro profondo, odore di muffa. Adesso ci provo.

Ho dormito di nuovo. Però ricordo, dovevo muovere le mani! Dunque, raccogliamo le forze. Perché raccogliamo? Sono da solo e non so’ dove. Ma ho al certezza di essere solo, quindi io raccolgo le forze. Io faccio un nuovo profondo respiro e non mi importa della gola secca e del nodo della cravatta. Riempio il più possibile i polmoni di quest’aria malsana. Comando di muovere le mani! Niente, non ho raggiunto alcun risultato. Riprovo, mani e braccia. Non sento movimento, se avessi la camicia dovrei sentire tirare le maniche. Perché le maniche sono sempre abbottonate, e di solito anch’esse sono strette. Non c’è niente da fare. Sogno di merda. Per fortuna non devo grattarmi. Rido, mi sento ridere, ma ormai ho capito che non c’è niente da ridere. Prendo coscienza che potrei anche non uscire da questa situazione. Dimensione parallela, forse. Oppure morte. Spavento, tanto spavento. Se questa fosse la morte? Condizione perenne, girone Dantesco. La Divina Commedia. Non la ricordo bene, o forse non l’ho mai letta tutta. Quindi non posso sapere se sono in un girone dell’Inferno, o sulla barca di Caronte, in attesa di conoscere il mio destino. Vorrei picchiare la testa contro un muro fino a svenire, o morire. Tutto purché questo finisca. Morte. Potrei essere morto, non ricordo niente. Caronte, o forse no. Antichi tempi, libri letti. Forse il passaggio nell’Ade, il mondo degli inferi, dove incontrare chi ha vissuto con noi, rivedere facce note o anime senza volto. Chissà com’è l’Ade, luogo di ombre e di morti. Divago, di nuovo.

Però adesso basta, sono affaticato, stanco, sento l’energia psicofisica ridotta ad un lumicino pronto a spegnersi per sempre al primo soffio leggero di vento. In altre condizioni direi che non mi reggo in piedi. Adesso non capisco se sono in piedi o sdraiato. Però è ora, ora di chiudere gli occhi, se mai fossero stati aperti. Mi lascio andare, voglio scivolare dolcemente e non sentire più nulla. Olfatto, udito, gusto, tatto e vista. Più nulla, silenzio.

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15 commenti »

  1. Questo crescendo rovesciato verso la fine è stupendamente scritto. L’ho letto adesso per ben 3 volte di seguito. Non aggiungo altro.

  2. Luigi, il tuo racconto colpisce forte, ricorda E.A.Poe, ma è diverso, c’è una sorta di ironia disperata che sostiene un ritmo straordinario.
    Ritmo nella statica situazione del protagonista questo lo rende scorrevole mentre sale l’angoscia e una claustrofobia sensazione di impotenza.
    Gradissimo esercizio narrativo! Molto ma molto bravo!

  3. Grazie dominique.henriet, molto gentile, mi fa davvero piacere.

  4. GianLuca Zuccheri, mi commuove, grazie!

  5. Luigi, ottimo il ritmo narrativo che aumenta l’aspettativa grazie alle digressioni che prima ti irritano poi ti prendono. E’ claustrofobicamente riuscito!

  6. Grazie per le belle parole.

  7. E’ vero, questo racconto è un luogo chiuso che ti si chiude intorno… pensi se sarà veramente così… ma forse è troppo lucido perché sia veramente così… Silenzio è un’esperienza contagiosa… lo leggi e ti viene di imitarlo… questo racconto ti schiaccia… non ti lascia andare e quando arrivi alla fine tiri un sospiro di sollievo… non era vero, non eri tu. E’ solo un racconto, ma caspita che racconto !

  8. Grazie per le belle parole

  9. Troppo gentile, veramente.

  10. Ti confesso, Luigi, che da asmatica è stata dura arrivare alla fine. Ma ne è valsa davvero la pena. Bravissimo

  11. Grazie mille. Anche un amico, anch’esso con problemi di asma, si è espresso in maniera simile. Allora un po’ sono riuscito a centrare l’obiettivo.

  12. Originalissimo questo filosofico “sogno o son desto” ai confini dell’incubo.
    Molto arguto, stimolante e sorprendente.
    Bel racconto, Luigi.

  13. Luigi, questo è davvero un portento di racconto, che avviluppa il lettore in un’angosciosa caduta a spirale. Non ho staccato gli occhi un momento. Complimenti davvero!

  14. Temevo di arrivare a una scoperta sconvolgente, al puro terrore panico, invece no, c’è solo uno scivolo dolce, nessuna domanda, nessun dolore, sempre un passo in qua dall’orrore. Che fortuna!
    Molto bello e avvincente. Anche a me ricorda Poe e per questo mi inchino e ti omaggio ;-))

  15. Mi unisco agli altri, in particolare a Gloria, soffrendo anche io d’asma! Scherzi a parte, la sensazione di chiuso, di incubo, le percezioni e le non percezioni… Tutti i sensi sono coinvolti! Bravissimo! Anch’io sdraiata… o forse in piedi… durante tutta la lettura!

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