Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2017 “Non dal mio dito rotola l’anello” di Daniela Pietragalla

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017

La pietra era un bellissimo opale bianco montato su una corona di brillanti.
Aveva sempre detto che il solitario tradizionale non le piaceva.
Così quell’anello inconsueto era diventato il simbolo della loro vita insieme.
Per le sue dita così sottili – le aveva raccontato lui dopo – il gioielliere aveva dovuto richiederlo direttamente alla casa madre.
Prima di sceglierlo, ne era sicura, lui doveva aver passato serate intere, sdraiato sulla chaise longue del divano – quello che poi sarebbe diventato l’angolo di lettura di lei – a studiare cataloghi, a documentarsi, a chiedere pareri, con quell’imperdonabile accuratezza che sembrava guidarlo in ogni sua azione.
Era il novembre di sei anni prima quando glielo aveva regalato, al termine di una piccola caccia al tesoro conclusasi con il prezioso ritrovamento nell’incavo di un angelo di ceramica.
Allora il soggiorno era grande e spoglio.
Uno spazio enorme che il colore candido del divano faceva sembrare ancora più ampio.
La casa di via Conti era spaziosa e ben rifinita – una bellissima casa a detta di tutti – immersa nel verde del giardino condominiale, ma ancora quasi vuota, senza tende, senza tappeti.
A lei era sembrato incredibile che lui ci vivesse da un po’ senza sentire la necessità di completarla, sia pure con oggetti provvisori.
Pochissimi mobili, niente quadri alle pareti, nessun soprammobile. Soltanto pezzi di design ricercati con dedizione, attesi pazientemente senza mai cedere all’offensiva tentazione di comprare un oggetto qualsiasi soltanto per motivazioni banali come la necessità o l’urgenza.
Lui amava quella casa. L’aveva voluta e ottenuta con sacrificio, salvandola da un destino di bruttezza, disordine e sciatteria. La curava con sollecitudine, le dedicava ogni riguardo e affettuoso impegno, nella certezza incrollabile che un comportamento così esemplare non poteva che renderla per sempre un porto sicuro.
Così non era stato.

Nel tempo lei aveva riempito gli spazi sotto lo sguardo ora perplesso ora divertito di lui che, a poco a poco, si era scoperto a guardare con compiacimento la trama di certi kilim, a sorprendersi di non provare un senso di soffocamento di fronte alla costellazione di fiori pop che ravvivava il corridoio, a gustarsi persino lo spettacolo dei due metri di albero di Natale addobbato con i peluches dei personaggi dei cartoni animati, a scegliere insieme a lei statuine di porcellana e di cristallo. Bambine. Madri con bambine. Nudi di donna. A riempire il frigo di magneti e di fotografie, ricordi di brevi gite e di viaggi più lunghi.
Ogni tanto i loro sguardi si posavano sull’anello. Con lo stesso tocco leggero, lui sfiorava prima la pietra poi la guancia di lei.
Dopo due anni avevano scrupolosamente portato l’anello in gioielleria, così l’opale aveva riacquistato la sua originaria lucentezza.
Persino nella penombra continuava a notarsi un tenue gioco di colori.

Poi, piano piano, le giornate avevano iniziato a diventare sempre più faticose. Rientrando a casa, lui si dimenticava sempre del piccolo kilim dell’ingresso e finiva ogni volta con l’inciamparvi, lei si svegliava già stanca della luce del giorno.
A poco a poco avevano smesso di comprare oggetti, di stampare fotografie e anche solo di scattarne.
Non c’erano più state bottiglie di vino a cena, né fiori freschi a inizio settimana.
Avevano smesso di invitare gli amici e uscivano di rado.
Un silenzio imbarazzato si era impadronito delle loro vite.
La casa, sempre così perfetta, era diventata una palude insidiosa che giorno dopo giorno li aveva inghiottiti fino al momento in cui lei si era sentita sfuggire dalle labbra due parole appena sussurrate, Vado via.
Così la casa di via Conti era diventata per lui la condanna a muovere ogni passo tra tutte le cose di lei (libri, vestiti, gioielli, tovaglie, appunti scritti poche ore prima di andare via) che non erano entrati nelle due borse della sua fuga improvvisa, e per lei l’immagine stessa del dolore, la personificazione della sconfitta, l’infelicità fattasi marmo, parquet e cemento.

Mentre chiudeva la porta alle sue spalle, lei aveva guardato di sfuggita l’opale leggermente ingrigito, ancora all’anulare della sua mano tremante, e si era scoperta a pensare con sgomento che il cuore di chi va è straziato come quello di chi resta.

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24 commenti »

  1. Che bello anche questo tuo racconto, Daniela! Lo trovo così delicato e così vero nella sua semplicità.

  2. ” La casa, sempre così perfetta, era diventata una palude insidiosa che giorno dopo giorno li aveva inghiottiti” , lo specchio di un’amore ormai finito proprio come “l’opale ingrigito” . Un bel racconto.

  3. Grazie, Ivana e Anna Rosa

  4. Bel racconto, Daniela. Complimenti per la tua invidiabile qualità di scrittura, estremamente ricercata!

  5. bello anche questo, una scrittura diversa ma altrettanto ricercata. Finali perfetti

  6. Grazie, Giada e Maria.

  7. Hai descritto con semplicità cosa significa l’amore, l’incontrarsi, l’influenzarsi… e il riprendere da soli il proprio cammino, inevitabilmente cambiati rispetto all’inizio del percorso. Bellissimo.

  8. Ascesa e declino dell’amore. Semplice ed efficace. Complimenti!

  9. Daniela,

    quanta grazia, delicatezza e sapienza nel tracciare l’iperbole discendente di un amore inconsapevolmente lasciato ad appassire; quell’amore che, come la pietra di un anello, se si dimentica di levigare finisce per affogare in toni grigi e spenti.

    Una prosa matura e ricercata, contornata da un dono della sintesi di prim’ordine, che esorta a sfuggire dall’apatia di coppia, che ricorda che soltanto camminando fianco a fianco, passo dopo passo e sforzo dopo sforzo, sarà possibile squarciare le ombre della monotonia con i raggi vivi della complicità.

    Complimenti.

  10. “Il cuore di chi va è straziato come quello di chi resta.” Finale perfetto… stile efficace e preciso, molto bello, complimenti!

  11. Ciao Daniela,
    ho trovato il tuo racconto molto scorrevole e in poche righe sei riuscita a descrivere in modo semplice e diretto la fine di una storia.
    Il finale poi è tanta verità…almeno credo, io sono quella che è rimasta.
    Complimenti.

  12. Grazie per i vostri commenti che non fanno altro che arricchire di nuovi significati quello che ho scritto. Ho riflettuto molto sulla conclusione del racconto chiedendomi se fosse troppo esplicita ma, alla fine, tutto sommato, l’ho sentita molto mia e molto autentica.

  13. Daniela, mi è parso quasi che nella tua storia ci fossero due voci, due narratori: una è naturalmente la tua, graziosa ed elegante, l’altra è quella della casa. L’appartamento di via Conti pare affiancarsi a te nella narrazione, raccontando lo sbocciare e l’appassire di un amore all’interno delle sue stesse mura. Ne emerge un’immagine efficace, quella della casa che a mano a mano si riempie, diventa simbolo della costruzione di una vita, ma poi si arresta, ingrigisce, si impolvera, e infine si chiude alle spalle di chi va via. Molto efficace!

  14. Grazie, Carola. In effetti, credo proprio che le case abbiano un’anima e che riescano ad assorbire umori, sentimenti, lacrime…

  15. Traspare sensibilità.
    Bel racconto, complimenti davvero.

  16. Scrittura raffinata, bella anche la consapevolezza finale del fallimento, solitamente cosa rara in “chi va”…

  17. Grazie, Michele e Mariangela.
    Mi ha sempre colpito una frase di Massimo Troisi sul senso del film da lui girato “Pensavo fosse amore …. invece era un calesse”. Troisi spiega che “Quando non è più amore ma ‘calesse’, bisogna avere il coraggio della fine, piano piano, con dolcezza, senza fare male… ci vuole lo stesso impegno e la stessa intensità dell’inizio”.
    Credo che sia vero.

  18. Hai perfettamente ragione Daniela: quella casa all’inizio vuota di oggetti inutili é però piena di parole, sguardi, complicità, cene a lume di candela … insomma di amore; poi passano gli anni, la casa si riempie di oggetti ma si svuota della sua essenza e finisce l’amore! E non c’è mai una ragione perché un amore debba finire….cantava Cocciante. È vero. Complimenti!

  19. L’entusiasmo, i colori… che rendono l’idea dell’amore che riempie una casa, vissuta in due, in sintonia… poi il silenzio, l’apatia, quando non si ha più nulla da dirsi… Hai accostato in modo infallibile immagini e sensazioni, complimenti!

  20. Grazie, Lucia e Silvia per i particolari che avete analizzato con sensibilità.
    Colgo l’occasione per citare la poesia di Wislawa Szymborska da cui ho tratto il titolo del mio racconto:

    Gli sono troppo vicina perché mi sogni.
    Non volo su di lui, non fuggo da lui
    sotto le radici degli alberi. Troppo vicina.
    Non con la mia voce canta il pesce nella rete.
    Non dal mio dito rotola l’anello.
    Sono troppo vicina. La grande casa brucia
    senza che io chiami aiuto. Troppo vicina
    perché la campana suoni appesa al mio capello.
    Troppo vicina per entrare come un ospite
    dinanzi a cui si scostano i muri.
    Mai più morirò così leggera,
    così fuori dal corpo, così ignara,
    come un tempo nel suo sogno. Troppo,
    troppo vicina. Sento il sibilo
    e vedo la squama lucente di questa parola,
    immobile nell’abbraccio. Lui dorme,
    più accessibile ora alla cassiera d’un circo
    con un leone, vista una sola volta,
    che non a me distesa al suo fianco.
    Per lei ora cresce dentro di lui la valle
    con foglie rossicce, chiusa da un monte innevato
    nell’aria azzurra. Io sono troppo vicina
    per cadergli dal cielo. Il mio grido
    potrebbe solo svegliarlo. Povera,
    limitata alla propria forma,
    ed ero betulla, ed ero lucertola,
    e uscivo dal passato e dal broccato
    cangiando colori delle pelli. E possedevo
    il dono di sparire agli occhi stupiti,
    ricchezza delle ricchezze. Vicina,
    sono troppo vicina perché mi sogni.
    Tolgo il braccio da sotto la sua testa,
    intorpidito, uno sciame di spilli.
    Sulla capocchia d’ognuno, da contare,
    sono seduti angeli caduti.

  21. Daniela in poche righe hai reso un sentimento denso, ma lo hai tenuto “pulito”.
    Mi è piaciuta la scelta di dialogare con il lettore attraverso gli oggetti, e come i personaggi riflettono sulle cose il loro stato d’animo. Forse proprio per questa piacevole idea avrei tenuto anche la fine come “riflesso” invece che come immagine diretta, rendendola altrettanto forte ( che ci sta in conclusione). ma sempre in modo indiretto, che rende tutto davvero fine.
    Bravissima.

  22. Daniela, finalmente eccomi: il tuo modo di scrivere mi piace moltissimo.
    Tutta la narrazione è all’altezza del titolo, meraviglioso, e ti ringrazio per averne spiegato l’ispirazione e condiviso la bellissima poesia di un’autrice che non conoscevo.
    Il tuo racconto stesso è poesia, e ho trovato fantastico come “piano piano”, “a poco a poco” ci accompagni per mano fino alla soglia dove, in punta di piedi, esce di scena un amore che dimentica gesti, parole, riti; che dimentica, infine, di esistere.
    Complimenti, bravissima.

  23. Grazie, Elena, per i tuoi suggerimenti e grazie, Marcella, per la tua lettura acuta e benevola. Immagino che comprendiate bene quanto un apprezzamento, una valutazione attenta e critica siano vitali per chi scrive. Grazie ancora.

  24. Ciao Daniela, mi dispiace molto di non aver visto premiare un tuo racconto. Volevo dirti di nuovo che li trovo entrambi splendidi, anche se lo sai già perché li avevo commentati. Il tuo modo di scrivere oltre ad essere oggettivamente di alto livello riesce a toccarmi nel profondo.

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