Premio Racconti nella Rete 2017 “Il dono” di Carla Cuminetti
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017È ancora lì, addossato al muro della vecchia casa, la “Cà d’ Leo”. Erano cresciuti insieme, l’albicocco e i muri, mattone su mattone, sogni e speranze, un orizzonte nuovo per un futuro migliore.
Era alto e magro, Leo, braccia lunghe e mani grandi, mani che conoscevano il duro lavoro della terra, le spighe dorate dal sole, il fieno profumato nelle verdi distese dei prati, i turgidi grappoli che si offrivano alla sacralità della vendemmia. Conoscevano giorni assolati e piogge e stagioni ricche di frutti che riempivano di letizia il cuore.
Ma sognava una casa sua, per i suoi figli, non più la mezzadria che non gli apparteneva.
Sognava una terra sua, da calpestare e arare, sentire nella grande mano e farla scivolare tra le dita come farina preziosa; sognava filari allineati con ordine meticoloso e alberi generosi di doni.
Passarono gli anni e la casa, un tempo piena di voci, si fece silenziosa e triste. Ma il vecchio albicocco continuava, stagione dopo stagione, a regalare il mazzo bianco dei suoi fiori e la fragranza dolce dei suoi frutti; la vita continuava anche se si era spenta nel segreto dei muri carichi ormai di profonde rughe come un viso stanco e appassito.
Sembrava un grido soffocato di aiuto in un presente carico di passato e senza futuro. Quei muri chiedevano di tornare a splendere con un vestito nuovo, per ridare voce a chi aveva lasciato il segno di una vita profondamente radicata in quella terra.
Ci fu grande movimento di ruspe, impalcature, coppi nuovi, travi, terra scavata, via vai di persone pronte ad abbattere tutto ciò che intralciava i nuovi lavori.
L’albicocco era sul ciglio di un imminente pericolo, solo in mezzo a quella terra impazzita.
La ruspa insensibile dovette però sottomettersi alle preghiere di salvarlo e lavorò ore e ore per non intaccare le sue radici che erano le radici stesse di quella casa, della famiglia, di Leo.
Tornarono a risuonare le voci e grande fu la riconoscenza del vecchio albero. Non c’era inclemenza del tempo che lo turbasse, né temporali, né venti impetuosi, né lampi taglienti come spade.
Puntuale come sempre, a ogni primavera offriva l’esplosione dei suoi fiori come un velo di sposa pronta alle nozze e il ronzio delle api ingorde come un canto di ringraziamento.
E le mani si tendevano ai suoi frutti caldi di sole, dolci come l’amore, ammiccanti tra le foglie come visi lentigginosi.
L’ultimo anno ci fu una fioritura inspiegabile, come un regalo, una melodia, un canto d’addio e un’abbondanza di frutti che come grappoli piegavano i suoi fragili rami. Calda primavera, sinfonia di bianchi petali; calda estate, armonia di macchie arancioni tra il verde smeraldo delle foglie.
Passò anche quell’inverno e le nevicate imbiancarono l’antico albero che si stringeva contro il muro della casa, a cercare riparo, come un vecchio stanco, sfinito dagli anni, che ha concluso la sua corsa.
La linfa sempre più debole, la terra sempre più avara, il corpo sempre più rugoso. E la primavera non gli riportò la vita.
Non più gemme e timide foglioline, ma una resina collosa che lo imprigionava e gli toglieva il respiro. Non più il fruscio del vento e il canto degli uccelli, né il ronzio di api, ma lunghe file di formiche che senza pace si insinuavano tra le squame della sua corteccia, quasi a divorarlo nella loro frenetica fatica quotidiana.
“È seccato” mi dissero.
Come poteva quella sentenza così breve avere il peso di una pietra che schiacciava il cuore?
Quel giorno piansi.
Era come perdere un amico, come mettere la parola fine sul film di una vita; era come se quella terra che lo aveva nutrito lo avesse inghiottito per sempre sprofondandolo in un buco nero.
“Bisogna tagliarlo. Ne pianteremo un altro” mi dissero.
Un altro! Nessun altro avrebbe potuto riempire quel buco, avrebbe potuto sostituire quel tronco nodoso, annerito e la magica scultura dei suoi rami che, ormai nudi, ricamavano pizzi azzurri di cielo.
Testarda, continuavo a sperare in un risveglio che la ragione sapeva impossibile, ma il cuore non credeva perduto per sempre. Da quel coma poteva risvegliarsi, se gli stavo vicino, se gli parlavo, se accarezzavo la sua corteccia ruvida dove la vita, forse, era soltanto sopita.
E l’albero stanco rimase al suo posto.
Gli misi accanto un glicine bianco. Gli avrebbe tenuto compagnia nei giorni e nelle notti di attesa, crescendo lo avrebbe avvolto come in un abbraccio e gli avrebbe donato lo stesso colore dei suoi fiori lontani.
E l’albicocco poteva ancora vivere nella vita di un altro.
Poi, un giorno di primavera, il dono.
Respiravo l’aria chiara del mattino, nel silenzio della casa ancora addormentata, quando lo sguardo si posò su una macchia verde sotto l’albicocco. Corsi a guardare. Una piantina aveva bucato la terra poco distante dal tronco e le piccole foglie brillavano imperlate di gocce di rugiada.
Capii che il vecchio amico aveva voluto ricambiare il mio affetto con un germoglio nuovo di sé, uscito da un nocciolo un giorno caduto in quella terra che lo aveva protetto e nutrito.
Crebbero insieme, il nuovo albicocco e il glicine bianco e i nostri occhi scrutavano la loro crescita e gioivano.
Fino a quando un giorno giganti grappoli bianchi vestirono i secchi neri rami e tra le foglie occhieggiarono tre superbe albicocche.
Questa è una storia vera. Una storia di speranza e di fede.
Perché “se il chicco di grano non cade in terra e non muore rimane solo; se invece muore, porta molto frutto” (Gv 12,20-33).
Nuvola bianca.
Come di neve
i grappoli del glicine
rinnovano l’incanto
di una nascente primavera.
Ritorna la vita
sul vecchio tronco
annerito dal tempo.
Con forza lo rinserrano
i tralci forti
che a lui si abbandonano
come in un tenero abbraccio.
Nel vento i bianchi fiori
sussurrano una nuova melodia.
Ciao Carla
è bello e intenso questo rapporto con la natura. Si costruisce nel tempo, il tempo e lo spazio che richiedono le piante per poter crescere e adattarsi all’ambiente. Hanno bisogno di un ambiente che consenta loro di svilupparsi stagione dopo stagione. Hanno bisogno di un rapporto con gli esseri umani che vivono vicino a loro.
“Questa è una storia vera, di speranza e di fede”, è vero che bisogna credere per favorire la crescita.
Il tuo racconto è molto poetico.
Complimenti!
Ciao Marisa,
il dono continua perchè oggi ho staccato dai giovani rami dolcissime albicocche. Ne rendo grazie, come ringrazio te per il gradito commento che hai voluto inviarmi dedicandomi un pò del tuo tempo. Grazie di cuore, è stato come parlare con un’amica. L’albero continua a farmi regali anche in altre forme!
Commovente e poetico, Carla. Amo molto gli alberi e spesso tocco il loro tronco o li abbraccio. Grazie per questo racconto pieno di sensibilità e di amore.
Bellissimo!
Grazie, Carla.
Un racconto che tocca le corde più profonde di chi ha un rapporto di “congiunzione” con la natura e ne vede idealmente il prolungamento e la testimonianza di tante storie umane cresciute all’ombra di quelle fronde. Grazie per il “dono”.
“Puntuale come sempre, a ogni primavera offriva l’esplosione dei suoi fiori come un velo di sposa pronta alle nozze e il ronzio delle api ingorde come un canto di ringraziamento”. Che delicatissime immagini riesci a intrecciare, Carla. Mi è piaciuto come sei riuscita a far palpitare la natura, con un tocco poetico che dimostra tutta la tua sensibilità e attenzione nei confronti del mondo vivente che ci circonda, e che così spesso viene dimenticato o trascurato. Brava!
Carla,
tra la poetica gentilezza delle tue parole ho sentito scorrere la linfa di una simbiosi antica, che lega gli esseri parlanti alle generose piante, anch’esse munite di anima.
Ho poi percepito un altro, altrettanto importante messaggio, molto spesso accantonato tra le pieghe di questa epoca di consumismo spropositato: non abbandonare o gettare un essere vivente finché la sua vita non sarà realmente sfumata.
Un’importante riflessione sulla politica del sostituire anziché cercare di accomodare.
Bravissima.
A Giada, Anna Rosa, Marcella, Dominique, Lorenzo
Grazie a voi, amici sconosciuti, per la gioia che mi avete regalato nel condividere con me gli stessi sentimenti, per il comune sentire l’incanto di questa natura meravigliosa che abbiamo avuto in “dono”.
Grazie a te, Isa, amica di una vita per il commento che hai voluto inviarmi via mail e che desidero unire agli altri:
“Sono passati sette anni da quando commentai con una didascalia
un disegno a china di Carla Cuminetti dal titolo “L’albero dalla grande luce”.
Scrissi allora: “… vita / che sempre muore e sempre poi rinasce…”
Quelle parole le riprendo oggi, con molta emozione, per ringraziarla del suo
splendido “DONO”.
Carla Cuminetti. Carlina. La mia più vera grande AMICA.
Isa Morando