Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2017 “La luce della Luna” di Paola Florio

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017

Sapeva leggerti dentro. Potevi nasconderti da te stesso, dai suoi occhi no.
Perché aveva quel modo di guardarti che ti frugava l’anima. E ti diceva cose di te, che tu ancora non avevi detto a te stesso.
C’era da diventar matti. Ma chi l’avrebbe mai voluta una donna così? Una donna deve essere fragile e lasciarti fare la tua parte di protettore. Devi poterle raccontare qualche bugia ogni tanto. Se si invertono i ruoli finisce che non sappiamo più chi siamo.
Si erano conosciuti il primo settembre, a scuola, nuovi entrambi. L’edificio fatiscente, giallo sbiadito, vicino al lago, contrastava con le villette e gli hotel ben tenuti. Ricordava il caldo soffocante della sala professori, il suono dondolante delle barche ormeggiate e la voglia di scappare. Poi era entrata lei, abbronzata, sorridente, con la maglia bianca scollata, un leggero odore di crema solare. La stanza squallida, verde pallido, si era come illuminata. Sembrava una preda facile, di quelle che cedono alla terza poesia d’amore. Invece aveva resistito per un mese. Per farla capitolare aveva dovuto lasciare che si avvicinasse, che arrivasse molto in profondità. Troppo.
Quelle domande, ma da dove le venivano? “Sei felice?” Se uno si mettesse davvero a pensare se è felice o no, non camperebbe più. Lei voleva vivere intensamente, ma vivere con lei era impossibile. Era come vivere vicino a sé stessi. Troppa intimità.
Così l’aveva lasciata. Perché non era felice con lei, ovvio. L’aveva lasciata e si era sentito subito leggero. Come quando ci si sveglia da un brutto sogno. Finalmente poteva tornare sulla superficie delle cose, poteva essere mediamente infelice e frustrato, lamentarsi del traffico, del tempo, del freddo, delle tasse, del lavoro.
Poteva ricominciare a flertare con le ragazze che incontrava per caso, con la barista del locale all’angolo, ad esempio. Poteva guardare sui social le foto provocanti delle sue ex alunne senza sentirsi squallido o vagamente in colpa.
L’amore? Era un’illusa. Non dura l’amore, ammesso che ci sia. La vita va presa così com’è, senza senso: prima si accetta, meglio si sta.
Purtroppo a scuola doveva andarci per forza ed evitare la sala professori non bastava.
Quando la incontrava per caso, gli faceva un po’ pena. Non che dimostrasse di star male, per carità: orgogliosa com’era si sarebbe fatta bruciar viva prima di ammettere che soffriva. Ma nella sua indifferenza altezzosa si vedeva chiaramente che era ancora in suo potere. Sarebbe potuto tornare da lei in qualsiasi momento. Era una donna dopotutto. Indipendente, testarda, orgogliosa, ma pur sempre una donna e, con le parole giuste, con lo sguardo tenero che sapeva trovare, quale donna gli avrebbe resistito?
Ma perché pensava queste cose poi? Mica voleva tornare con lei. Era pieno di donne il mondo.
Era stato onesto. Lei non poteva rimproverargli niente, stavolta si era comportato da vero gentiluomo. Non era certo colpa sua, se avevano due visioni diverse dell’amore.
Davvero, come si poteva mai stare con una donna così? Affascinante per carità, bella a modo suo, intelligente. Simpatica. Quando era con lei il tempo volava. Sembrava sempre di scoprire qualcosa di nuovo. Ed era allegra. Aveva quella gioia del cuore che hanno i bambini. Forse questa gliela invidiava un po’, la gioia che nasce dal niente e che lui aveva perso. La snobbava per questo stupore infantile. Ma la invidiava. Non glielo aveva detto ovviamente, figurati!
E la mania di guardare il cielo poi, che palle! Ogni volta che c’era la luna piena, sempre la stessa storia: “andiamo a passeggiare al chiaro di luna”. Sperava che fosse nuvoloso ad ogni plenilunio. Per non parlare della sua passione per il lavoro. Ci credeva davvero che si potessero cambiare le cose facendo una bella lezioncina a degli adolescenti annoiati. All’inizio aveva finto di ammirarla. Ma conosceva troppo bene il mondo, per farsi delle illusioni. Tuttavia una parte di lui si compiaceva che ci fosse qualcuno ancora capace di crederci. Ma questa era un’altra cosa che si guardava bene dal dirsi.
“Non ti amo per quel che fai, ma per come sei” gli aveva sussurrato una volta e lui non aveva ancora capito cosa volesse dire.
Mentre i giorni passavano, la primavera avanzava. Lei continuava a sorridere e lui a sentirsi leggero. La incontrò per caso in corridoio. “Come stai?”
“Bene”. E gli fece male quella risposta, o forse fu il sorriso, perché sembrava vero.
“Tu mi manchi invece”. Lei aveva continuato a sorridere e se ne era andata.
Ma come gli era venuto in mente di dire una cosa del genere? Non gli mancava. L’aveva detto solo per vedere la sua reazione. Ma quel sorriso era finto, di sicuro.
Sabato finalmente! Gli amici, le ragazze, la biondina sorridente dell’altra sera. Il suo fascino aveva colpito ancora, se la sarebbe portata a letto già quella sera stessa. La stava spogliando con gli occhi per valutare se ne valeva la pena. Alla festa ci era andato con Federico, il suo amico di sempre. Poverino, era una frana con le donne, diventava sempre rosso come i suoi capelli appena si avvicinava ad una ragazza, così la regola era: rimorchiare due amiche. Delle due, la bionda era di certo la più carina. Era vicina alla finestra aperta. Aveva fatto un passo verso di lei, per sentire il suo odore e lì l’aveva vista.
La luna.
Piena.
Si era fermato come folgorato.
All’improvviso, come un’onda. La nostalgia.
Questo sentimento dimenticato. Sepolto.
Quella luce bianca, invadente, sfrontata nel cielo terso.
E poi i ricordi a valanga, come l’acqua che rompe una diga.
Appoggiò la mano incerta sul davanzale, sentì il marmo freddo, cercava ossigeno.
Davanti agli occhi perplessi della bionda, la sua maschera stava andando in frantumi.
Aveva bisogno di un approdo, immediato. Doveva salvarsi dal naufragio. Andare a casa.
Aveva cercato Federico con gli occhi, un cenno. “Mal di testa”. Lui c’era rimasto male ma non aveva detto niente. L’aveva lasciato lì ed era uscito. Come un naufrago dal mare.
Ma la tempesta era appena cominciata.
Camminava rasente al muro per non vederla, sfuggiva la sua luce come un vampiro il sole.
Casa finalmente. L’ansia che saliva dallo stomaco, le mani che tremavano mentre cercava la chiave, la voce di lei che gli risuonava in testa:“Non siamo più abituati al buio, vedi, non riesci neanche a trovare la porta di casa senza la luce volgare delle scale. Provaci no? Prova a sfidare la vista”. Doveva far tacere quella voce! “Vedi com’è tutto più magico così? No, non accendere, vedi? La luce della luna ci accarezza”. E poi la sua risata, contagiosa e complice, mentre si avvicinava come un gatto sinuoso. Gli girava intorno sfiorandolo e sfuggendo al suono di una musica che non c’era, poi l’aveva attirato nella sua stanza, così nuova con quella luce indiscreta che filtrava dalla finestra aperta. Le lenzuola rosse, la sua pelle bianca al chiarore della luna: un quadro di Caravaggio. E poi la mente che si arrende, il corpo che prende il sopravvento, ma non come al solito. Fare l’amore era stato entrare nel quadro: un’opera d’arte. E sottile la paura, dietro l’estasi. Lo smarrimento di essere andato troppo oltre, troppo vicino. Così poi aveva acceso la luce e tutto era tornato familiare, ordinario, un po’ volgare e rassicurante. Ma lei no, teneva ancora gli occhi chiusi. Testarda. Così si opponeva alla realtà.
Perché tutti questi ricordi adesso, incontrollati, prepotenti?
Appena entrato in casa aveva acceso tutte le luci. Il soggiorno bianco e ordinato lo tranquillizzò. Sapeva bene come combattere certe cose.
Si era avvicinato alla vetrina dei vini, aveva accarezzato la bottiglia come faceva col viso di una donna, un Amarone della Valpolicella, nero come la sua anima. Il liquido scuro nel calice di cristallo girava con garbo e il profumo del nettare divino già gli rinfrancava lo spirito. Bevve due bicchieri colmi, già sentiva che gli entrava dentro, sentiva la forza, l’energia pulsare. La vita. E come sempre aveva cominciato a scrivere, ispirato. Storie deliranti, tenebrose, oscure come l’anima degli uomini.
La luce della luna ben nascosta dalle imposte serrate.
Aveva scritto per ore, in uno stato di euforia folle, poi sfinito era crollato sul letto. Vestito.
Allora erano cominciati gli incubi. Un bambino lo chiamava e piangeva, inconsolato. Non aveva il coraggio di uscire dal nascondiglio, sotto al tavolo della cucina dei suoi genitori. Il ragazzino continuava a piangere e a chiamare. Alla fine si era fatto forza, gli era andato incontro cercando di tranquillizzarlo ma quando il bambino si era voltato aveva lanciato un grido: il bambino non aveva volto.
Si era svegliato di soprassalto in un bagno di sudore. Le luci erano ancora accese. Galleggiando tra sonno e veglia si era alzato per spegnerle. “Dai spegni quelle luci. Vieni qui e abbracciami”.
“Io non ti amo”
“Lo so, vieni qui e stai zitto una buona volta”
Quell’arroganza aveva qualcosa che lo incantava.
“L’amore non esiste”
“Certo che no. Infatti tu non mi ami e io non ti amo.” E quegli occhi, scuri come un pozzo profondo, ti dicevano il contrario. Lo sentivi sotto la pelle quell’amore, così sconvolgente perché senza ragione. Si faceva schifo. Era un egocentrico, egoista, presuntuoso e troppo intelligente per non saperlo. E anche lei lo sapeva. Aveva fatto di tutto per nasconderle il suo lato oscuro, ma lei l’aveva intuito con quel maledetto istinto femminile che sa trovare la strada anche in mezzo all’inferno. E quel che è peggio: riusciva a guardarlo ancora così, mentre lui si detestava per quello che era.
Non ci si può arrendere in questo modo. Non era ancora pronto per incontrarsi. Quanto ad incontrare lei, figuriamoci! All’inizio pensava ad una storia normale, sesso, cinema, cene, domeniche a far niente. Ma quando lei aveva cominciato a scendere in profondità si era ribellato. La gente dovrebbe chiederti il permesso, prima di leggerti dentro. All’inizio aveva pensato di poterla accontentare raccontando le cose più semplici: l’infanzia spensierata, il tradimento dell’unica donna che aveva amato, la crisi dei suoi genitori. Ma a lei non bastava mai. Sembrava non avesse paura dell’abisso. E parlava di sé. Con tale abilità e trasparenza da lasciare sgomenti. Cioè, sono cose personali, intime. Sono fatti tuoi, perché devi raccontarli a me? Così aveva cominciato a mettere distanza. Prima aveva smesso di scriverle, poi aveva diradato le uscite. E quando si vedevano lei lo guardava negli occhi e non diceva nulla. Era ancora bello trovarsi e passeggiare insieme sul lungolago, ma quando tornava a casa ricominciava l’inquietudine. Le domande che lei faceva gli riecheggiavano nella mente per tutta la sera, non riusciva a liberarsene. Non era mai andato da uno strizzacervelli, ma era sicuro che la sensazione fosse la stessa. Solo che a lei nessuno glielo aveva chiesto.
Quegli occhi. Continuava a vederseli davanti. Quella dolcezza che tenta di scalfire la corazza che ti sei faticosamente costruito. Tutto il lavoro di anni che rischia di andare in frantumi. Ma chi te l’ha chiesto di capirmi? Non mi voglio capire, io, va bene? La mia vita mi va bene così. Non mi fiderò di nuovo. Non ho voglia di salire su un grattacielo e poi schiantarmi al suolo. Si chiama istinto di conservazione. Voglio una donna semplice. Che mi ami per quello che io voglio farle credere di essere. Voglio una donna comoda, che posso accusare di stupida gelosia o di morbosità quando non vuole che faccia quel che mi pare. Voglio essere libero di vedere altre donne senza che lei sospetti niente. Sono fatto così e non ho intenzione di cambiare.
Sentiva di aver ragione. Ma proprio a lui doveva capitare una matta del genere? Se l’avesse saputo avrebbe girato alla larga. È proprio vero, non puoi mai fidarti dell’apparenza.
E nonostante tutti i discorsi che faceva a voce alta, l’ansia cresceva, come un vortice. Gli sembrava di annaspare alla ricerca dell’aria. Oramai non riusciva più a frenare il fiume di pensieri. E poi, ancora i ricordi. Il viaggio a Roma, il sole sulla pelle, la sua faccia ridicola la mattina presto quando era ancora addormentata e aveva la bocca mezza aperta. Il suo odore dolce e selvaggio. L’allegria che lo contagiava suo malgrado. I ricordi si alternavano ai dialoghi, in un delirio quasi visionario. Passato e presente fusi in uno spazio fuori dal tempo.
Lottò per ore contro.
Alla fine della notte sopravvisse solo uno dei due.
Quello che provava nostalgia.
Toccandosi il viso si accorse che aveva pianto. Non ne aveva memoria.
Andò a spalancare le finestre. Il primo chiarore dell’alba ad est nel cielo terso. Aveva smesso di pensare e quasi si stupì di trovarsi in strada. Non sapeva dove stava andando fin quando non si ritrovò sul cammino che avevano fatto tante volte insieme, abbracciati.
La città addormentata e complice sussurrava piano, sfavillante nell’oro dei primi raggi di sole. Quando arrivò davanti a quella finestra la guardò sorpreso, quasi curioso. Non avrebbe mai immaginato di fare quello che stava facendo. E poi suonò.
Nessuna risposta.
L’altro dentro di lui esultò.
Ma rimasero lì, a lottare e quindi immobili.
Poi un lieve rumore, un citofono che viene sollevato, la telecamera che si accende. Il rumore sordo di un portone che si apre.
Impiegò un tempo infinito a salire le scale. Ogni gradino l’ammissione di una sconfitta. La porta era socchiusa. Entrò. Lei era lì, un’ombra nella penombra. Mezza addormentata, ancora incerta tra sogno e realtà. Non sapeva cosa dire. E non dissero nulla. Lo guardò. Con quel suo maledetto sguardo che ti fruga l’anima. Lo guardò a lungo, seria, e lui stavolta non sfuggì lo sguardo. Il suo viso sembrava di marmo tant’era immobile nell’ombra. Dopo un’eternità lei sorrise, come uno squarcio d’azzurro tra le nubi d’un temporale. Si avvicinò morbida, calda, sfiorandolo come un gatto. “Ti stavo sognando”. Aveva pensato di dover spiegare, si accorse che non ce n’era bisogno. Lei lo attirò a sé, dolcemente, e lui si lasciò guidare. Non c’era fretta stavolta, né paura di sbagliare, di non essere all’altezza. Il suo odore. Si sentiva a casa. Accettava, per la prima volta, di farsi amare sapendo di non meritarselo. Forse proprio per questo, invece di concentrarsi su sé stesso, per la prima volta si concentrò su di lei. Non su quello che riceveva, ma su quello che dava.
Fu come fare l’amore per la prima volta.
Prima di addormentarsi fece appena in tempo a notare che l’ansia era scomparsa. C’era qualcosa che si faceva strada dentro di lui, come la luce dell’alba. Una sensazione antica, che sapeva di aver provato, ma aveva dimenticato. Qualcosa che credeva perso per sempre. Un barlume. Quanto avrebbe voluto che lei glielo chiedesse! Perché adesso avrebbe potuto rispondere di sì, finalmente, senza sentirsi irritato. Ma lei non sembrava volesse fare domande. Prese la rincorsa dentro di sé e disse tutto d’un fiato, come se avesse paura del suono stesso della sua voce: “sonofelice”. Lei sorrise sorniona e si strinse più forte a lui.
“Anch’io.”
Ed era solo l’inizio.

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9 commenti »

  1. Un racconto fatto di odori e colori: il bianco della luna e della pelle che rischiara la notte di un uomo che ha paura di scendere dentro di sé. Due personaggi delineati con profondità e tenerezza. Commovente. Grazie
    Paolo Sterlicchi

  2. Paola, stupendo un racconto che mi ha colpito, carico di tutto, amore, dubbi, passione, ossessione..forse.
    Bravissima a descrivere questo maschio, indeciso, dubbioso,un po’ meschino,un po’ amante .
    Lei poi è straordinaria, una specie di mantide buona, che non uccide ma stordisce .
    Stile elegante,caldo, liquido. Frasi, parole e fluire della narrazione bellissimi e coinvolgenti come l’abbraccio di Lei.

  3. Grazie Paolo del tuo commento, sai finché ho un racconto in testa non so mai se riuscirò a comunicare quello che vorrei…dal tuo commento mi rendo conto che ci sono riuscita. Mi ha emozionato leggere le tue parole, grazie!

    Grazie Gianluca, hai colto i due aspetti profondi dei personaggi… Bella l’idea della mantide, hai ragione! Grazie per aver letto e commentato, non sai quanto mi ha fatto piacere!

  4. Cara Paola
    Questo tuo bellissimo racconto mi ha fatto ricordare il film “Stregata dalla luna” anche se qui quello stregato é un lui. D’altra parte chi riesce a sottrarsi al fascino della luna?! Bello il lieto fine che ti caratterizza in senso positivo ed ottimistico. Brava!
    Lucia

  5. Paola, essendo in perfetta sintonia con quanto dice Gianluca, aggiungo solo che il tuo racconto scivola e avvolge di atmosfere contrastanti i personaggi, delineati non con uguale precisione, ma ugualmente visibili a chi legge.

  6. @ Lucia, grazie! Non ho visto il film, lo guarderò! Hai ragione, la Luna piena non lascia scampo 😉

    @ Paola, grazie, sono felice che il racconto ti sia piaciuto, mi ha dato un po’ da fare questa storia e fino alla fine ero incerta se inviarla o no…

  7. Paola,

    oltre alla scrittura impeccabile ed al vocabolario pressoché infinito, ho apprezzato tantissimo la tua capacità di addentrarti nella psiche del maschio adolescente.

    I giovani uomini sono fatti proprio così, mi ci sono davvero rivisto: talmente tanto indaffarati a sbrigare questioni futili, banali dal lasciarsi scorrere di fronte agli occhi le emozioni, quelle vere, che potrebbero accrescere così tanto.

    Credo che il detto popolare per cui “le ragazze maturano prima dei ragazzi” abbia un importante fondo di verità: le donne hanno la capacità, sin da subito, di comprendere ciò che è importante.

    Ed è una virtù infinita, roba da marcia in più.

    Bravissima.

  8. Paola, devo ringraziare Lorenzo perché ho rischiato di perdermi il tuo racconto che già dal titolo promette di parlare di luna e di luce.

    MERAVIGLIOSO

    Per come scrivi, per quello che scrivi, per l’effetto che mi fai, anche se non hai chiesto il permesso di guardarmi dentro. Ti perdono ma come fai?
    Grazie Paola grazie.

  9. Hai fatto benissimo… prima a scriverla, poi a inviarla!

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