Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2017 “Un’ultima foto” di Davide Gallo

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017

Ogni mattina la stessa storia, la sveglia che suona, che mi ricorda che anche oggi mi devo per forza alzare, e ogni mattina la spengo, sbuffando e girandomi dall’altra parte.

Aprire gli occhi la mattina è sempre una grande fatica, sopratutto se il giorno prima hai bevuto, cosa che ho fatto, anche ieri, come quasi ogni giorno da un anno a questa parte.

Mia madre è uscita di casa presto oggi, aveva un colloguio di lavoro dall’altra parte della città, sarebbe tornata sul tardi, almeno così speravo, così potevo stare un po’ in tranquillità da solo a casa.

Non ho proprio voglia di fare colazione, credo che non la farò, oggi non è proprio un bel giorno da ricordare o vivere bene, e poi ho finito i suoi biscotti preferiti. Farò colazione al bar sotto casa.

Metto addosso gli abiti di ieri, le ginocchia del pantalone sono completamente sporche di terra, gli do giusto un colpo di mano per togliere il grosso.

Esco di casa e scendo le scale.

L’inquilina del piano di sotto! Vorrei troppo evitarla, scendo cercando di non far rumore, ma naturalmente… Mi vede.

“Oh, ciao Dave! Buongiorno!”

“Si… Buongiorno… Clara.”

“Esci presto oggi, qualche cosa di importante da fare?”

“Presto?”

Guardo l’orario, sono le 11 della mattina.

“No, niente di che, giornata come le altre.”

Mi guarda, gli occhi si riempiono quasi di tenerezza nei miei confronti.

Esita un attimo.

“Dave, ricordi si che giorno è oggi?”

Mi infastidisco parecchio velocemente ultimamente, sopratutto la mattina, e sopratutto quando mi fanno sempre troppe domande. Tiro in su gli occhi e sbuffo.

“Si… Ricordo. Buongiorno!”

“Ciao Dave.”

Si è presa le mani sul petto e mi guardava… Cosa mai poteva volere da me?

Esco dal condominio e giro l’angolo. Vedo persone che camminano, parlano, sembrano allegre e spensierate. Mi dirigo verso il bar di Mario, almeno la sarei stato un attimo in silenzio e da solo, giusto per cominciare poi meglio la giornata.

“Ciao Mario!”

“Oh, ben arrivato… Come stai? Ieri notte mi sembravi molto più storto di quanto non lo sia ora!”

“Lasciamo stare, l’unica cosa positiva che non ho pesanti postumi, meno male.”

“Almeno quelli li hai evitati. Caffè?”

“Si, grazie Mario. Bello lungo come sempre.”

“Agli ordini!”

Mario lavorava in quel bar da tempo immemore, fin da quando ero bimbo ed entravo per comprare i cioccolati, lui era sempre la e mi ha sempre trattato bene, l’ho aiutato a lavorare qualche volta quando stava male o perse la moglie tre anni fa.

Faceva un caffè divino, sarà perché me lo serve lui ed è buono per quello, o perché usava qualche strano miscuglio di vari tipi di caffè…. Lo chiamava la Cicirinella, una sua segreta ricetta, o forse era tutta una trovata per abbindolare i clienti, e ci riusciva veramente bene.

“Be’, che programmi hai per oggi? Ieri mi hai fatto fare veramente tardi, però mi sono divertito.”

Mi sorride Mario, ieri sono rimasto con lui oltre l’ora di chiusura. Lo facciamo spesso, rimaniamo dentro il bar, serrande chiuse, a parlare di ogni cosa ci venga in mente… e a bere tantissimo.

“Non so, solite cose… Giretto in centro, forse. Non sono proprio di buon umore oggi.”

“Ti capisco. So cosa provi, quel giorno arriva anche per me una volta all’anno.”

“Lo so Mario.” Gli rispondo con una sottile amarezza.

Lo vedo tentennare qualcosa, mi guarda e si fa serio.

“Cosa c’è?”

“Ti ricordi vero che giorno è oggi?”

“Si Mario, ricordo che giorno è oggi!”

“Che intenzione hai di fare quindi? E’ passato un anno ormai.”

“Lo so, lo so.”

Gli ho risposto quasi infastidito, oggi non riesco a farmi andare a genio nessuno, ma con lui era un po’ diverso, lascio perdere.

È partita una canzone alla radio. Burn, dei The Cure.

“La fine è sempre e comunque vera… È la sua frase preferita.”

Sbatto le ciglia velocemente, quasi a cercar di trattenere le lacrime, come se qualcosa mi stesse per schiacciare dall’interno, volevo tenerlo dentro… Non volevo sapere cosa fosse, non volevo sapere cosa potessi provare.

Scuoto la testa, mi riprendo.

“Quanto ti devo per il caffè?”

“Vai vai, vai via, tanto poi ci vediamo stasera.”

Mi sorride, sa che tornerò stasera e si fida di me.

“Vero, grazie Mario, a più tardi!”

Uscito dal bar, non so proprio dove andare… Mi faccio una passeggiata, cercherò qualcosa di interessante da fare. Potrei passare al negozio di musica per vedere se trovo qualche cd interessante. Di solito trovo qualche pezzo raro, anche perché ho un po’ di soldi da spendere, e spendere, in un certo senso, mi fa stare un po’ bene.

“Buongiorno!”

“Buongiorno, salve!”

Il commesso era rivolto verso degli scaffali, sta sistemando alcuni nuovi arrivi.

“Qualcosa di nuovo?”

“Tutto qua!”

Mi fa vedere alcuni nuovi album di vari gruppi americani. Niente che mi interessi più di tanto.

Non ascolto più molta musica da un pezzo, ed è quasi un anno che non tocco la chitarra, che ormai sarà nascosta sotto qualche strato di polvere in camera mia.

Saluto ed esco.

Mi squilla il cellulare. Rispondo.

“Pronto?”

“Hey Dave, dove diamine sei? Sono giorni che ti cerco!”

È il mio amico Roberto.

“Oh, ciao Rob, scusa, ho preso un vecchio cellulare dal cassetto di casa perché l’altro”

“L’hai distrutto, giusto?”

“Eh… Ahahah, si!”

“Ne hai già cambiato parecchi di cellulari nell’ultimo anno… Capisco quello che puoi provare, ma non puoi sfogarti così spaccando tutto.”

Mi sto già infastidendo parecchio pure con lui, ma tengo la calma… In fin dei conti è il mio migliore amico.

“Hai ragione, hai ragione!”

“Lo so… Ascolta, ma ci vediamo più tardi? Andiamo a salutarla!”

“Salutarla? Salutare chi?”

Alzo un tantino il tono di voce, mi sento assalire dalla rabbia.

“A Jen! Non la vedi da un anno ormai!”

“No, senti… Non lo so, ti so dire dopo, ok? Ora vado!”

Gli chiudo la chiamata in faccia, prendo un bel respiro e cerco di pensare ad altro.

Un messaggio, era Roberto.

-Sei un coglione, ma ti voglio bene-

Neanche gli rispondo, rimetto il cellulare in tasca direttamente. Cerco di pensare ad altro.

Ho deciso di tornare a casa, ma voglio passare per delle stradine laterali, in cui ci sono degli spazi verdi, giusto per allontanarmi dal caos e i rumori di città.

Sono quasi arrivato a casa, devo giusto superare un parco e arrivo.

Voglio buttarmi sul divano, guardarmi qualcosa in tv, ordinare una pizza e stare da solo.

Solo così guarisco, stando solo, devo riuscire a superare questo giorno.

Vedo una persona in fondo al vialetto. Sembra che mi stia fissando, alza pure la mano.

Qualcuno che conosco forse. Ci avviciniamo sempre più. Lo riconosco, è Roberto.

“Sapevo che saresti passato da qua.”

“Ormai mi conosci troppo bene.”

“Quindi? Andiamo?”

Mi sto di nuovo innervosendo.

“Andare dove? Dove vuoi che vada?”

“A farle almeno un saluto. È’ un anno che non la vedi, che non le parli… Magari ti fa bene!”

“Ma che ne sai se mi fa bene… Non lo so, non so se me la sento ancora.”

Mi sono infastidito ora, anche con lui, è un argomento che non voglio affrontare, non ancora, o forse ho solo paura di farlo, ho solo paura di conoscere le mie reazioni, di vedere quanto posso essere debole.

Anche se non mi sono mai sentito in imbarazzo mostrando il mio lato debole, ho pianto un sacco di volte con un sacco di persone, ma non mi ha mai fatto sentire in imbarazzo questa cosa.

“Non lo so, ma forse è così, e farai sentire meglio pure me se lo fai… Perché so che anche lei vorrebbe vederti, e non c’è altro modo se non così.”

“Ma non mi puoi costringere, non voglio farlo, non ora… E non di certo se me lo chiedi insistentemente in questa maniera.”

“Cosa ti prende? Perché fai così? Hai forse dimenticato tutto ciò che era lei per te, ciò che era per me?”

“Io non ho dimenticato proprio niente!”

Glielo urlo in faccia, come se mi stessi sfogando. Ha messo alla prova la mia pazienza.

“Senti, non voglio alzare la voce o litigare… Ma piantala con questa cosa. Ci andrò, non so quando, ma… Ci andrò, promesso!”

“Non mi interessano le promesse, devo vedere che ci sei andato! Che sei andato a salutarla… Non ti chiedo chissà cosa… È importante!”

“È importante anche per me, che credi?”

“Dodici mesi e ancora non le hai fatto visita… Non so quanto ti possa interessare a questo punto.”

Mi sta provocando, lo so, ma non può parlarmi così, non può dirmi queste cose, non lui, non accetto che mi dica queste cose… Come se non stessi valorizzando a pieno la situazione, come se veramente mi fossi dimenticato o se non fosse importante, come se non stessi male dentro e non avessi fatto un sacco di sacrifici per arrivare fino a questo punto.

Glielo dico in faccia.

“Pensi veramente questo? Che per me non sia importante? Sai bene come ho passato questo ultimo anno, sai bene cosa ho dovuto sopportare e quanto tu mi abbia sopportato… E stai sminuendo tutto questo ora?”

C’è tensione tra di noi. Roberto si sta alterando e comincia ad alzare il tono della voce.

“Non sto sminuendo niente e si, so cosa hai passato. Era la tua ragazza ed è la mia migliore amica.”

“È?”

“Si lo è, lo è ancora. Dato che io non dimentico e vado a parlarci, mi sfogo con lei. Tu invece? Troppo impegnato a scappare dai tuoi doveri, troppo impaurito per affrontare il tutto… Cosa mi dici di tua madre? È andata a cercare lavoro dall’altra parte della città pur di non vederti così sofferente.”

“Mamma!”

Si è calmato un attimo.

“Esatto, siamo tutti preoccupati per te. Non vediamo reazioni, non stai reagendo… Devi solo andare. Non puoi continuare a crogiolarti nel nulla, cercando di non vedere ciò che c’è davanti a te.”

“Cosa pensi ci sia davanti a me?” gli urlo addosso. “Cosa pensi debba fare ora? Come pensi che mi senta? Pensi che solo perché non faccio niente e sto da solo, se non sono triste in un angolo a piangere, io mi senta bene? È un anno ormai, è passato un anno, e sono ancora qua, e secondo te per me è facile? Se lo fosse stato, a quest’ora non sarei qua a parlarti di persona, ma saresti venuto a parlarmi davanti alla mia lapide… Cosa pensi debba fare ora? Ho già sofferto, e ne soffrirò ancora per chissà quanto… Ma il fatto è che sei egoista, vuoi vedermi andare da lei per far star meglio pure te.” sto perdendo la ragione. “Solo perché così non ti senti più in debito.”

Mi tira un pugno. Ho qualche istante di confusione. Mi riprendo quasi subito però. Il pugno non era così forte. Lo guardo in faccia. Stava piangendo. Mi viene contro, le mani sul colletto della maglietta, mi spinge verso un muro proprio dietro di me, cerca di alzarmi. Sorrido.

“Cosa hai intenzione di fare? Sai bene come finisce!”

Piange, parla quasi soffocato dalle lacrime.

“Si, lo so bene come finisce. E non mi importa!” urla. “Non mi importa di niente, pensi che sia facile pure per me? Pensi che non abbia sofferto e non stia soffrendo? Ti ho sempre ascoltato, ti sono sempre stato vicino, perché sapevo che eri quello che ci stava soffrendo più di tutti, e tornavo a casa… Tornavo a casa e piangevo, mi disperavo anche io. Ho frantumato i pugni sul muro pur di non pensare al dolore. Eh, si, stavo appendendo un quadro e mi sono fatto male col martello. Cazzate!” urla a squarciagola. “Pensavi veramente che fossi così scemo da farmi male con un martello. Non ho quadri in casa!” si sta calmando, allenta la presa sulla maglietta. “È dura pure per me, è dura per tutti. Ti chiedo soltanto di andare da lei. E forse hai anche ragione, forse sono egoista, perché voglio che sia così, voglio che sia tutto… come me lo immagino io!”

Lascia la presa dalla maglietta. Ha gli occhi chiusi e la testa abbassata.

Lo guardo. Non so cosa pensare. Forse ha ragione anche lui, dovrei andare a salutarla almeno una volta.

“Ok! Ci vado.”

Si è messo a piangere più forte, sembrava quasi un pianto di sollievo. Piega le ginocchia e si mette con la testa tra le gambe.

Mi allontano mentre lo guardo. Sono deciso, è arrivato il momento di affrontare questa situazione, è arrivato il momento di affrontare lei.

Prendo una strada che porta fuori città, mi porta fin sopra una pineta, da li seguirò un piccolo sentiero.

Ci passavo spesso da questo sentiero, la maggior parte delle volte con lei, era la nostra passeggiata preferita, le sere d’estate passate ad ascoltare il cinguettio degli uccelli e a nasconderci un po’ dal caldo torrido.

Comincio la discesa. Mi sento strano all’improvviso. Troppi ricordi cominciano ad apparirmi in testa. Come se stessi rivivendo quei momenti, sentendo le voci, i suoni di quei giorni passati assieme.

Continuo la mia discesa. Vedo segni. Alberi. Una famiglia di scoiattoli. Scuoto la testa.

Mi fermo all’improvviso, vicino ad un albero. Un albero in cui avevamo scritto i nostri nomi. Dove mi aveva detto per la prima volta che mi amava. L’albero in cui le avevo promesso che non l’avrei mai abbandonata. L’albero in cui ci sono racchiuse tutte le mie promesse.

Sono pervaso dalla paura. Il battito cardiaco aumenta. Sbarro gli occhi.

Perché è dovuto tutto finire? Perché è andata a finire così? Non ho fatto niente di male, mi sono sempre comportato bene. Perché mi ha abbandonato? Come se fosse una punizione, come se me lo meritassi. Ho sempre avuto una vita al lastrico della disperazione, della solitudine. Finché non era arrivata lei nella mia vita, finché non mi fece finalmente ridere e stare bene. E poi? E ora?

Continuo il mio cammino, continuo a scendere lungo il sentiero.

Arrivo in strada. Il vento comincia a farsi più forte ed insistente, quasi capisse cosa stia provando, quasi per punirmi per tutto questo tempo perso.

Sto per affrontare la mia paura più grande, sto per affrontare un qualcosa che mi affligge da un anno. Un ultimo passo. Ancora pochi metri e sarei arrivato.

Non so cosa mi posso aspettare, o forse si… Forse non lo voglio sapere, non lo voglio accettare. Ma forse era tempo di farlo.

Entro, giro tra i vari vicoli. Il tempo sembra stia rallentando. Il respiro diventa affannoso. Sto prendendo tempo. Sto cercando le parole. Sono sempre più vicino, sempre più vicino alla realtà.

Il vento è sempre più forte, quasi mi stesse schiaffeggiando.

Sono la, un ultima svolta. Gli occhi si riempiono di lacrime. I ricordi passano uno dopo l’altro nella mia testa. In sequenza, sempre più veloce. Il suo sorriso, le nostre vacanze, il tempo passato assieme. Anche a non fare niente seduti sul divano. Si alternano. Lei. Solo lei. Una folata di vento gelida mi blocca.

Giro l’angolo e mi metto seduto, seduto con le spalle al muro, denti stretti dalla rabbia. Gli occhi pervasi di lacrime.

Seduto con le spalle al muro, davanti ad una fredda lapide, difronte alla sua ultima foto.

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2 commenti »

  1. Leggendo, mi sono immaginata una rappresentazione teatrale. Ho immaginato lui, il suo amico, le strade, il bar, la lapide: è un racconto-sceneggiatura che mi ha appassionata. Spero che scriverai il seguito!

  2. Grazie Giada… essendo il primo racconto che pubblico online e che altre persone possono leggere, sono parecchio soddisfatto.
    Non scriverò un seguito, voglio che sia una storia, una vicenda autoconclusiva… credo che se scrivessi un seguito, o magari ciò che è avvenuto prima, perderebbe il fascino e la sensazione che ho cercato di far sentire.
    Ancora grazie!

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