Premio Racconti nella Rete 2010 “Zelda” di Rosanna Figna
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2010
Il rumore dei cucchiaini e della tazzine mosse in continuazione, si univa al cicaleccio degli avventori, in quella mattina di primavera, nel Bar Magenta. Era un locale con pretese d’eleganza, ma non propriamente di lusso, a frequentazione soprattutto diurna, nelle ore classiche del caffè e dell’aperitivo. Una bella ragazza bionda, con riccioli piatti e tailleur Chanel chiaro era seduta al bancone, con una coppa di Martini fra le mani. L’aria era da persona rispettabile, ma quel giorno aveva bevuto come una spugna. La testa era appoggiata alla mano destra e si capiva che aveva un equilibrio instabile; la gente l’osservava con aria di rimprovero. In quel locale si parlava, come sempre, di calcio, di stagione, di nuovi modelli di auto o di vestiti. Quando lei chiese un altro drink, il barista glielo negò e la invitò cortesemente a prendere un po’ d’aria fresca, magari sulle panchine, nei giardinetti di fronte. Lei, lentamente e ciondolando, si alzò, ed il suo attraversamento di strada fu un miracolo: si sistemò su una panchina, puntando gli occhi al cielo, di un azzurro limpido, attraverso il verde chiaro delle foglie nuove. L’alcol le faceva molto effetto perché prendeva regolarmente degli psicofarmaci . Era successo esattamente un anno prima da quel momento, il rimorso non le dava pace per quanto a lungo avesse potuto vivere, non avrebbe mai potuto dimenticare di aver ucciso qualcuno.
– Sorella, mi sa che siamo sulla stessa barca – sentì dire di fianco a lei. Un clochard, nemmeno tanto vecchio, con un cappotto che doveva essere stato di sartoria, la guardava con occhi pungenti; si era seduto di fianco a lei.
– No, dico, l’ho vista camminare ed ho capito lei è piena come un uovo, a me quel livello lì arriva solo verso sera! Si vede che non è un’ habitué del bicchiere. Lo fa per non pensarci, vero? Lo fa per dimenticare, ma mi creda: è peggio. Dopo, oltre al suo problema, avrà anche la sbronza da smaltire
– E lei cosa ne sa? – chiese Zelda con le palpebre che le tremavano un po’.
– Ci sono passato, ci sono passato anch’io… e non ne sono uscito. Ora il bere è un bel vizio che mi tiene compagnia.
– Sempre meglio avere un mal di testa da farti passare che un’angoscia fissa che ti accompagna e non ti lascia mai, un’ossessione che compare anche quando dormi… perfino nei sogni vedo Marco che mi chiede perché l’ho fatto.
– Chi è Marco?
– Quello che ho accoppato.
– Urca! Qui la storia si fa tosta!…
– Ecco, ormai gliel’ho detto. Tanto vale che le racconti la storia – disse con tono strascicato…
– Sicuro! Tanto, anche se vado a spifferare qualcosa, a me non crede nessuno. Vai, sorella, inizia! E mi raccomando, con dovizia di particolari, che di tempo ce n’è.
– Il mio nome è Zelda. Non mi chiami sorella, che non siamo nemmeno parenti.
La voce di lei si fece più ferma, i suoi occhi, però, erano fissi verso il cielo.
– Una notte, esattamente un anno fa, mi svegliai di soprassalto nel mio appartamento acquistato da poco. Il gatto sul mio letto aveva inarcato la schiena ed aveva il pelo irto. Sentii dei rumori, qualcosa di ovattato ma inequivocabile: c’era qualcuno in casa. Il terrore mi accelerava i battiti e mi creava una corrente lungo la schiena. Avrei voluto nascondermi sotto il letto o nell’armadio. Invece, istintivamente, mi alzai. Col cuore in gola, quasi senza pensarci, presi il tagliacarte antico sul mio scrittoio, e…
– Beh, roba antica,è cosa efficace. Mica la plasticaccia od i taglierini moderni.
Lei lo guardò con aria di rimprovero, come se non desiderasse essere interrotta.
– Al buio mi diressi in cucina. Vidi un’ombra che stava per aprire il frigorifero, alzai il braccio e feci per affondare la lama su di lui. Mi bloccò e mi tenne ferma. Prima del suo volto, riconobbi il suo profumo e la sua voce. Era Marco, il mio ex fidanzato: mi aveva lasciato sei mesi prima. Accesa la luce, i suoi occhi mandavano lampi di ironico divertimento. «Zelda, sei uno splendore! Non immaginavo ti fossi trasferita in questi quartieri niente male… Ti sei sistemata molto bene!». Io ero paralizzata. Una somma di sentimenti ed emozioni si susseguivano dentro di me in maniera così forte da immobilizzarmi. Adesso, nel carnet delle sue bravate c’era quella di fare il “topo d’appartamento”. Erano cose che il giorno dopo raccontava agli amici, divertendosi un mondo. Aveva 30 anni, e viveva ancora così; era annoiato, e cercava continue sfide. Per lui c’erano solo emozioni controllate, come in un videogame. Mi ricordai che una volta mi disse: «È bello rubare per vocazione e non per necessità». Non gli bastava avermi fatto soffrire quando stavamo insieme e dopo che mi lasciò… Sa, gli uomini, all’inizio sono tutti fantastici: mazzi di fiori, cenette… lui, poi, ricco e bello, mi capisce, aveva tutte le carte necessarie, le carte di cuori. Poi ha iniziato ad umiliarmi, a mancare agli appuntamenti, ad essere di malumore. Forse, io per lui non ero all’altezza, o… chissà, magari faceva sempre così.
– Bel bastardo!
– Ecco, quella sera ha ricominciato a fare il “carino” con me. Non per paura che lo denunciassi. «Ma come sei bella, anche così in camicia da notte. In effetti, noi due siamo stati molto bene insieme. Non so… non riesco a capire perché ti ho lasciato…». Sa quei discorsi ipocriti? È iniziata a montare in me una rabbia sorda, un desiderio di vendetta enorme: l’adrenalina che mi aveva scatenato aumentava la mia ira. Pensavo che, oltre al danno di avermi fatto star male, poteva anche farmi quello di svaligiarmi l’appartamento solo per riderci su dopo tutto il lavoro ed i risparmi impiegati per arredarlo. Andai in bagno per guardarmi allo specchio: volevo vedere se tutto quell’odio traspariva dalla mia faccia, volevo una pausa per pensare. Vidi quelle gocce di sonnifero che la mia amica si era dimenticata lì. Come nel perfido Jago, sorse in me un piano di nera vendetta. Gli erano sempre piaciuti i miei cocktails. Gliene preparai uno con molta angostura per nascondere il sapore del sonnifero: venti gocce, una dose poderosa. Fui carina, gli dissi che lo avevo perdonato, che grazie alla nostra storia avevo capito molte cose, e per festeggiare lo scampato pericolo d’un vero ladro, gli proponevo un brindisi. Bevvi anch’io insieme a lui. Il mio, però, era “normale”. Già lo vedevo schiantato con la sua Porsche o la sua Jaguar, che sembravano quelle di Diabolik, contro un guardrail o un muro. Abitava fuori città, ed aveva la mania di andare ai 200. Sonnifero, alcool, velocità: una miscela quasi sicuramente mortale. In effetti, fu così. Quella notte dormii benissimo. Fu l’ultima. Lessi la notizia la mattina sui giornali: pioveva a dirotto, l’alta velocità, la strada scivolosa e la scarsa visibilità, avevano provocato lo schianto mortale. Credo che la famiglia non avesse nemmeno chiesto l’autopsia.
– Però. Bella fortuna, farla franca così. Io mi sono rovinato perché da anni mi accusano d’aver fatto fuori mia moglie. Ci hanno visti litigare al ristorante della nave da crociera sulla quale ci trovavamo, poi lei è scomparsa, e mi incolpano da anni di uxoricidio. Dicono che l’ho gettata in mare, ma le prove non ci sono… ho una frustrazione che mi impedisce di vivere da anni.
– Farla franca, lei dice? Ma sa che questo rimorso mi ossessiona da un anno? Qualsiasi cattivo comportamento non vale il prezzo di una vita. Lui avrebbe potuto cambiare, sposarsi, farsi una famiglia. Non avevo il diritto di fare quel gesto, non sono un giustiziere! Ogni oggetto in casa mi ricorda quella notte… ho commesso qualcosa che non ha rimedio, che fa sì che io non possa più riparare: un errore senza scampo. Niente sarà mai più come prima, tutto è peggiorato, ed ho fermato una vita umana prova ad immedesimarsi, lei, in tutto questo?Oltretutto devo tenerlo segreto , e nessuno può darmi un rimedio. Riesce ad immedesimarsi in tutto questo? Il rimorso è qualcosa a cui non puoi dare una svolta, non è un problema od uno stato d’animo che può guarire. A volte è un peso che sembra quasi ti impedisca di respirare, poi immagini di morte che ti scorrono davanti , è un qualcosa che ti mangia l’anima , prosciuga la voglia di vivere …….
Il gioco del rimorso è finito.
Se volete imparare a provare “Rabbia”, tornate indietro e cliccate 1.
Per “Frustrazione”, invece, cliccare 2.
Sono disponibili anche le seguenti emozioni: Tristezza. Orgoglio. Orgoglio ferito. Meraviglia. Paranoia. Lussuria. Umiliazione.
GAME OVER
Fantastico!
Brava, mi hai tenuto lì fino alla fine, devo dire dire che non mi pareva avesse nè capo nè coda…invece…
ancora complimenti!
bene bene…qualcosa di nuovo finalmente! carino..il finale al bacio! vanessa.
Davvero bello il finale, complimenti
Il racconto è come se fosse un videogame che permette di provare sentimenti, emozioni o semplicemente tutto ciò che può esser provato.
Ma i personaggi sono i soli a non poter più neanche vivere le “emozioni a comando” di un videogame come faceva Marco prima di morire, perché vittime del loro dramma: una colpa certa e una presunta che li tormenta.
Originale!Brava,sembrerebbe scontato andando avanti poi c’è la chiusura che sorprende piacevolmente.Mi è piaicuto leggerlo.
Cara Rosanna, non sapevo che avevi partecipato quest’anno. Io ho vinto lo scorso anno. Brava brava, sono contenta per te ed ora leggo il racconto
Ora ho letto. Che carino! Insolito. Brava. Un abbraccio
originale, ironico, sospensivo fino alla fine… sembra veramente un vidogioco. Nuova la scrittura. Complimenti
Carmina trillino