Premio Racconti nella Rete 2017 “Progetti” di Emanuele Altissimo
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017«Mi sento come una lavatrice piena di serpenti.»
È quello che ha detto tre ore fa, seduta sul divano a guardare il telegiornale delle dieci con una mano sullo stomaco. Lì per lì non ci ho fatto caso, l’ho presa per una delle sue stranezze. Ne dice tante, da quando è sotto i farmaci.
«Spegni» ha aggiunto con una smorfia. Ho preso il telecomando e ho obbedito. L’ho guardata a lungo per capire come stava.
«Ti va di fare qualcosa?» le ho chiesto. «Una cosa qualsiasi.»
Ha scosso la testa.
«Chiamiamo qualcuno?»
Mi sono alzato senza aspettare la sua risposta, ho preso il telefono e l’elenco dal mobiletto accanto al divano.
Questo gioco è cominciato quando al centro diurno hanno detto che poteva passare le domeniche a casa. È stata lei a cominciarlo. Diceva che non le andava di annoiarsi, ma neanche di leggere roba difficile. L’elenco telefonico, diceva, è il libro ideale. Pieno di persone. Te le puoi immaginare nelle loro case mentre stirano, litigano e fanno progetti.
«Progetti?»
«La gente li fa quand’è felice» aveva detto.
Mi ero messo accanto a lei, avevo dato un’occhiata ai nomi. Poi avevo preso il telefono e composto il numero del primo sulla lista.
«La chiamo per mia madre» avevo detto alla donna dall’altra parte. «Vuole sapere i suoi progetti.»
Silenzio.
«Ha sbagliato numero.»
Mia madre si era voltata a guardarmi, allora avevo messo il vivavoce.
«Ne ha qualcuno?» avevo insistito. «Qui siamo curiosi.»
La donna aveva riattaccato. Mia madre, però, era scoppiata a ridere.
«Mi sento viva» aveva detto.
Ho sfogliato l’elenco. Lei guardava altrove.
«Buonasera» ho detto. A rispondere è stato un uomo anziano. «Che progetti ha per la sua vita?»
È rimasto un attimo in silenzio, poi ha sbuffato. L’ho messo in vivavoce.
«È una specie di scherzo telefonico?» ha detto.
Mia madre si è voltata.
«Un sondaggio» è intervenuta.
«Chi c’è con lei?»
«Siamo io e mia madre» ho detto. «Parlavamo di progetti e l’ho chiamata.»
«Così su due piedi non so» ha risposto. «Di solito li faceva mia moglie.»
Sono rimasto senza dire niente.
«È morta l’anno scorso» ha aggiunto. «Ci pensavo prima.»
«Mi scusi» ho detto. «Adesso la saluto.»
«Aspetti un momento» ha replicato. Mia madre era immobile, ascoltava con attenzione e si massaggiava la pancia. «Mi dica qualcosa di lei.»
«Mi piacerebbe andare in vacanza.»
Mia madre ha iniziato a piangere.
«Devo andare» ho detto.
Le ho messo un braccio intorno al collo, ma si è spostata.
«Sono entrati stanotte» piangeva. «Lo so che sono entrati.»
Si è massaggiata la pancia con tutt’e due le mani.
«Cosa c’è?» ha chiesto il vecchio. «Sua madre non sta bene?»
«Ora devo salutarla» ho detto. «Adesso stacco.»
«Ecco» ha detto lui. «Mi è tornato in mente un progetto.»
Ho riattaccato.
Mia madre continuava a piangere.
«Va tutto bene» le ho detto.
«Sono piena di serpenti.» Si è alzata per andare in bagno. «Non posso mai stare tranquilla.»
Ho ripensato alla prima volta che l’ho portata al centro diurno. Restiamo in contatto, aveva detto mentre la salutavo. Dovevo andare a riprenderla poche ore più tardi.
In ospedale, i medici dicono che ho sbagliato a lasciarla sola. Vorrei spiegare che ero stanco, sfinito. Invece resto in silenzio.
«Ditemi solo come sta.»
Sono in due, si scambiano un’occhiata.
«È presto per saperlo.»
Torno in sala d’attesa, sfoglio una rivista e piango. La gente mi guarda con affetto.
Verso le sei di mattina vengono a parlarmi.
«È fuori pericolo» dice il medico. «Vada a casa.»
«Torni più tardi» aggiunge l’altro. «Sua madre adesso dorme.»
Per prima cosa pulisco il bagno. Il vomito è ancora sulle piastrelle. Mi trema la mano mentre raccolgo il Cif e lo rimetto nello sportello sotto il lavandino. Non ha colpa, credeva di avvelenare i serpenti. Per fortuna ne ha bevuto poco.
Dovrei avvisare quelli del centro, dire che mia madre oggi non verrà e spiegare perché.
Lei chiama due ore dopo. Ripete che le dispiace, che non sa com’è successo.
«Morivo dal dolore» dice. «Pensavo solo a farlo finire.»
Resta in silenzio, poi tira su col naso.
«Tu come stai?» mi chiede.
«Sono qui sul divano, ma adesso vengo da te.»
«Mi dispiace.»
«Va tutto bene, mamma.»
«Mentre succedeva pensavo al vecchio, quello che abbiamo chiamato.» Si ferma per respirare, ha la voce arrochita. «Non dovevi attaccare.»
Aspetto che vada avanti.
«Possiamo richiamarlo?» domanda.
«Certo.»
«Allora quando torno lo facciamo.»
«Okay, ma penso che mentisse. Voleva solo compagnia.»
Mi chiama per nome.
«Sono qui» rispondo.
«Chiedimi se ho un progetto.»
«Hai un progetto, mamma?»
«Voglio chiamare quell’uomo e parlarci» risponde. «E dopo ti vorrò ancora più bene.»
Sfoglio l’elenco telefonico e immagino tutta quella gente alle prese con la vita. Mi chiedo cosa succederebbe se adesso ricevessi una chiamata come quelle che ho fatto per veder felice mia madre.
«Non so» direi. «Non so.»
Risponderei così a qualsiasi domanda.
Complimenti e ricomplimenti Emanuele. Un bellissimo racconto. A commentarlo si rovina, dialoghi perfetti e una maturita’ e padronanza della scrittura non comuni.
Grazie, Marco, grazie davvero.
Emanuele, molto bello, tenero e disperato; efficaci e ben costruiti i dialoghi. Complimenti.
Che bello Emanuele questo tuo racconto, delicato, semplice e profondo.
Bellissimo questo chiedere agli sconosciuti quali siano i loro progetti, sembra un parlare col mondo ma allo stesso tempo un dialogo intimo del protagonista con sua madre.
Una sorta di passaggio segreto,che apre il cuore ma anche ferite profonde.
La tua narrazione è semplice e scorrevole e le immagini forti e straordinarie bravo !!
Emanuele,
secondo me la madre, dal suo inferno di serpenti ed infermità, ha ragione sotto tutti i i profili: non solo i progetti si fanno quando si è felici, ma, al contempo, stento a pensare alla felicità in assenza un progetto che stimoli ad affrontare il quotidiano con la giusta spinta.
E l’uomo, spesso e volentieri, si ancora a progetti, anche i più impensabili e banali, per sfuggire al freddo della solitudine, per sentirsi veramente vivo: esemplare è la figura del Tizio che non vuol attaccare il telefono, che, a mio avviso, è di una realtà disarmante.
Infine, il linguaggio secco e conciso che hai utilizzato non poteva essere migliore per trattare l’argomento.
Insomma “progetto perfettamente riuscito”!
Bravo davvero.
Grazie per il bel commento: hai individuato cose di cui nemmeno io ero consapevole.
Senza parole, grazie grazie grazie:)
Voglio solo dirti che mi è piaciuto molto questo tuo racconto e ha fatto nascere profonde emozioni dentro di me.
Ciao Dominique, grazie per lo splendido commento. Sono felice che il racconto ti sia piaciuto.
Bel racconto. Diretto, conciso, interessante. Ottima costruzione dei dialoghi. Solo, mi aspettavo che continuasse ????
Cara Ombretta,
Grazie per il tuo commento. Il finale aperto in effetti lascia intuire questa possibilità – anche se non ho idea di come potrebbe proseguire.
Bravo Emanuele, bellissimo racconto! Notevoli i dialoghi.
Grazie mille, Daniele!
…è vero ,tenero e disperato.
tiene legati.
Molto bello. Appena leggi le prime righe ti viene voglia di arrivare alla fine. Ben delineata la situazione e ben costruiti i dialoghi. Complimenti!
Grazie mille, Michela!!
Emanuele, davvero un racconto di gran valore. In poche battute di dialogo fai emerge lo strazio della sofferenza, l’amore filiale, la disperata ricerca di una felicità “per interposta persona”, attraverso i progetti degli altri. In certe situazioni, il raggiungimento di una felicità anche “solo” intesa come serenità quotidiana è tutt’altro che scontato: chi può goderne, non dovrebbe mai dimenticarselo.
Impeccabile lo stile, resa perfetta dei dialoghi. Tra l’altro, penso che starebbe bene anche nella sezione “Racconti per corti”: rappresentato, riuscirebbe divinamente!
Complimenti ancora Emanuele.
Cara Giada,
Non sai quanto mi renda felice il tuo commento. Grazie di cuore.
Un racconto stupendo, come solo la malinconia e la tristezza sanno essere, anche se temperate dall’amore.
Caro Ugo,
Grazie per il tuo bel commento.