Premio Racconti nella Rete 2017 “Berlino. Lato stazione” di Silvana Lorenzi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017Dopo venti ore di cuccetta sigillata, venti ore attraverso lo spettacolo immobile e grigio di Matrioske emulate, chine su tappeti di ghiaccio, gomitoli di donna rattrappiti su steppe che non hanno nulla da dare, il treno si ferma. Ultima stazione. Oltre è già DDR. Territorio non permesso.
Dove sto andando? Quanto freddo può fare fuori?
Scendo e mi invade un odore acre, risultato olfattivo di cibi del sud fritti in ghiacciaie con le ruote, sarà per sempre l’odore di Berlino per me, del gorek di Istanbul resta solo il tanfo della pasta fillo fritta in olio troppo scuro, i profumi delle spezie non resistono al freddo.
U-Bahn, vado per deduzione, dopo venti ore di treno l’arrivo ad una Bahn non può che tradursi in meta, fine di un lungo viaggio su rotaie, mi manca ancora un pezzo…
Bahn, la ferrovia, U, sarà qualcosa del tipo “underground”, spero…
Devo contare e non perdere il conto, otto fermate a Schlesisches Tor, la voce annuncia ma non trovo nessuna corrispondenza con le scritte, devo contare e non farmi distrarre.
Sono la più anonima, tutti sul mio vagone hanno stile, niente a che vedere con la moda nostra, così omologata e rassicurante, forte contrasto al grigio del cielo questi colori, questa ricchezza creativa di individui lontani nell’obbligato contatto … nessuno sguardo a infrangere l’inviolabile altro.
10 minuti a piedi e il freddo mi tagliuzza la faccia, lungo la Sprea case belle, senza tende, posso guardarci dentro e immaginare… stanze calde arredate con una cura per il dettaglio che illude, amore devoto alle cose, luci soffuse, poltrone per padroni di casa con la coscienza a posto che leggono la “Taz”, la sinistra alternativa e intellettuale conciliata al meritato agio, c’è anche un bicchiere di Chianti… immagino una calda vestaglia da camera, musica jazz, una pipa, immagino, ma la stanza è vuota, tutte le stanze sono vuote, le luci accese per nessuno, accese per chi non sa, e si lascia sedurre da ingannevoli promesse di caldo.
Il caldo arrivò quel 1 maggio del 1989, l’inverno più gelido della mia vita se n’era andato all’improvviso, lasciando spazio a un sole cocente, afa soffocante e folle promiscue in bermuda e t-shirt che affollavano i Biergarten e in particolare Der Blaue Himmel, dove da esattamente tre ore avevo preso servizio per il mio sessantacinquesimo giorno di lavoro.
Ora li capivo i miei clienti generosi, ma mi mancava la scioltezza linguistica che, pensavo, avrebbe detto di me, dei tormenti, della strafottente ironia a nascondere la paura.
Quella mancanza di carattere nella mia parlata in tedesco mi avrebbe riportato a casa, ma più tardi.
Ma il primo giorno non era stato così, impossibilitata dal chiedere e comprendere le indicazioni avevo dovuto contare le fermate della metro per non perdermi. Tra una fermata e l’altra avevo pensato ai lifting della prof di tedesco, alle nostre giocate a scala 40 mentre lei leggeva l’ultimo numero di Vogue Deutschland, queste erano le sue lezioni, l’avevo pensata e l’avevo odiata profondamente, più che mai.
Non capisco niente, a scuola mi hanno ingannato, tu brutta stronza mi hai ingannato, cosa me ne faccio della coniugazione delle 5 “e”, se devo capire che birra vuoi, 7 minuti per una birra, questo l’ho capito perché mi hai guardato male quando sono arrivata trionfante e rapida. 7 minuti? Così tanto? Epicurèo del nord… Mi dai una seconda chance, perché in fondo ti diverte la mia goffaggine, la fragilità della mia statura, il bisogno che ho della tua tolleranza di sinistra, di una conversazione in inglese anche con i tuoi amici, così da non farmi sentire esclusa, ma non basta.
I miei occhi sono troppo scuri per riflettere trasparenza, i miei occhi non sono trasparenti.
E il pensiero tornava a Tonio, Tonio che “amava Hans in primo luogo perché era bello; poi perché in tutto appariva il contrario e l’opposto di quel che era lui. ”
Non era bastata una decolorazione feroce e un biondo platino quasi blu, perché gli occhi tradivano, dimensioni, colore e taglio escludevano dal blu diffuso.
Il blu era anche nel colore dell’aria fumosa, nel 1989 il fumo ancora non uccideva, per lo meno non nei locali pubblici, e blu era quel banco dal quale lei aveva osservato tutta la scena e, complice la Tequila, aveva sorriso, anche lei indulgente, tollerante come solo al nord sanno essere. Sul banco blu troneggiava la bottiglia di Tequila Brown, o quel che ne rimaneva, risparmiato dall’avidità mattutina di Ingrid e una lunga serie di pinte piene a metà, apparentemente avanzate.
Le donne del nord hanno dolori più profondi da lenire, e bevono superalcolici, per i dolori degli uomini del nord è perfetta invece la birra. Ma spinata come si deve, lasciando che la furia del getto riempia di schiuma la pinta e aspettando che pian piano la schiuma si sciolga in liquido perdendo anidride carbonica. L’attesa della birra fa già parte del piacere che darà la birra senza bollicine, che io adoro ma qui sono bandite.
Ma sei stato così chiaro con quel tuo sguardo tra l’indulgente e il severo, che ti ho fatto aspettare un po’ di più di 7 minuti, e tu questa attenzione l’hai apprezzata e quando hai chiesto il conto, mettendomi 10 marchi in mano me l’hai appena stretta, piano, con accortezza e hai detto “stimmt so ”, e questo lo so cosa vuol dire, grazie, e so anche cosa vuol dire guadagnare 200 marchi in un giorno a botte di Trinkgeld, che nome simpatico per dire mancia, i soldi per la bevuta, offro io. Grazie.
Ma oggi altro che 200, oggi sarà il record, oggi vado da Axel in Oranienstrasse e me la compro la bicicletta rossa così stanotte al Tunnel ci vado in bicicletta. Magari con Axel che di notte si infila una parrucca rosa per non farsi notare, che lui la lingua di qui la parla bene, ma non sempre basta per sentirsi a casa.
Ho apprezzato la tua capacità di descrivere l’atmosfera di Berlino descrivendola con immagini originali e immediate, davvero interessante.