Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2017 “L’alveare” di Teresa Carpino

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017

La roccia era l’elemento dominante di quel piccolo paese dove sono nata e dove ho vissuto per molti anni. Costruito a ridosso delle montagne, con quelle case, pietra su pietra, della stessa materia sedimentaria; rughe di vecchiaia, e vertice della terra. E gli alberi del bosco, anch’essi erano padroni del paesaggio rassicurante che ancora ritorna ai miei occhi. In primavera mi venivano incontro, le distese di forsizia e le ginestre, i gerani fioriti ai balconi, gli orti dietro le case, il mormorio del fiume e delle chiome degli alberi mosse dal vento, le nuvole rosse di un magnifico tramonto di maggio. Mio padre, che era apicoltore, aveva sistemato le arnie in prossimità del bosco sotto gli alberi di acacia profumati. Il mondo delle api, per me, era magico.

Con gli occhi di una bambina non mi stancavo di seguire il movimento, la loro danza gioiosa da un fiore all’altro. Nella bella stagione, quando i prati fiorivano con ciclamini e anemoni, lasciavo lo studio, i libri aperti sul tavolo e correvo fino al bosco di acacia, alla scoperta di un mondo che mi rapiva. C’è magia in tutto ciò che non si comprende. C’è magia in questi insetti, nella loro straordinaria organizzazione.

Nel sofisticato linguaggio con cui comunicano non solo tra loro, ma anche con gli uomini. C’era magia in mio padre, che dialogava con loro, gestiva il delicato equilibrio dell’alveare. Sono cresciuta in un ambiente sano, all’aria aperta, a contatto con la natura. Nell’atmosfera semplice e pulita ero straordinariamente ricca, avevo tutto. L’affetto della famiglia, i prati in cui correre, i boschi da esplorare, il sole caldo, le belle giornate di primavera e dell’estate. Tanti alberi da frutto, un abbondanza di pesche, susine, ciliegie. Ah, le ciliegie nel mese di maggio!

Mi arrampicavo sugli alberi per raggiungere le più belle, veloce come uno scoiattolo. In autunno c’erano le castagne e le noci. Andavamo nei boschi a raccoglierle ed era un compito che spettava a noi bambini mentre gli adulti cercavano i funghi e mio padre rincasava sempre con il cesto pieno. Al ritorno, da quelle lunghe passeggiate, eravamo accaldati e pieni di entusiasmo. Mia madre aveva già pronta la merenda, che era una fetta di pane e miele, e noi eravamo già felici, ma era una gran festa quando preparava le frittelle; di pasta semplice che faceva lievitare in una ciotola coperta e messa al caldo. Era un dolce umile, ma buonissimo e genuino, impreziosito dal nostro miele del colore dell’oro. Il profumo, il gusto sono tra i più bei ricordi dell’infanzia. In quel piccolo paese regnava una grande armonia. Ci conoscevamo da sempre, ed eravamo sempre pronti a darci una mano.

Nessuno viveva ai margini della società. Nessuno era mai solo. Sapevamo che l’impegno e la salute di ciascuno di noi erano importanti per il benessere della comunità e il destino dipendeva dal comportamento di ogni singolo. Mi piace pensare che eravamo come le api, umili e laboriose. Le api che escono ad esplorare il mondo, si nutrono di nettare e sono appagate dal loro lavoro. La felicità è sempre nelle piccole cose che portano buoni frutti, come il miele, alimento prezioso. Dentro una goccia si nasconde tutto il loro paziente lavoro. Nei ricordi, rivedo mio padre, giovane e bellissimo, intento al lavoro, che amava, e richiedeva un grande impegno e tanti sacrifici, soprattutto nei mesi della primavera. Quando il movimento delle api diventa frenetico, anche il suo impegno si faceva intenso, non aveva un attimo di riposo.

La sera, tornava a casa molto stanco, aveva solo il tempo di cenare e andare a letto. Un lavoro fatto di pazienza e amore, di equilibrio, ordine e rispetto; solo così riusciva a mantenere il dialogo. La natura e le stagioni dettavano le regole. La natura raccoglie in sé un grande potere magico, e questo potere è energia e amore. Senza appassionati come lui, la vita delle api sarebbe stata meno facile. Il suo rapporto era di dare e avere, sempre nel massimo rispetto per questi insetti eccezionali. Sono legata al mondo delle api, alla loro vita, non solo per i pensieri che mi portano agli anni felici, ma perché, dopo averle conosciute bene, sono stata in grado di apprezzare la loro opera. Dobbiamo essere grati alle api, non solo per il miele che producono. Da millenni, svolgono un ruolo fondamentale nell’ecosistema garantendo la sopravvivenza di un gran numero di specie vegetali. Il mantenimento della biodiversità vegetale, è possibile solo se c’è una quantità elevata di insetti impollinatori.

Tra questi, le api svolgono un ruolo di primaria importanza. Di questa opera lenta e fondamentale siamo consapevoli solo ora che le api stanno scomparendo. Aggredite, da una realtà che non è più a loro misura, hanno cominciato a morire in massa e sono sempre di meno in tutti i paesi d’Europa e del mondo. Le responsabilità sono molteplici, i cambiamenti climatici, le colture geneticamente modificate, e gli insetticidi usati in agricoltura per liberarsi dei parassiti. Meno api, meno impollinazione, impoverimento botanico. Ci sono alcune piante e fiori che servono ad attirarle e a nutrirle, a rifornirle di polline per tutto l’anno e si possono seminare anche in città. Ce ne sono per ogni stagione. Il rosmarino e i tulipani in primavera. Salvia e basilico d’estate. In autunno, i crisantemi mantengono la fioritura fino a dicembre inoltrato. Il nostro piccolo universo, era fatto di case di pietra, strade sterrate e muretti costruiti a secco, dove si arrampicava l’edera e si insinuavano le lucertole. Il cielo rosso al tramonto prometteva sempre il sereno. Ogni stagione aveva le sue bellezze e i frutti da offrire. L’inverno i noccioli con le loro lunghe, infiorescenze, le siepi di rosmarino e della salvia dei prati, i bucaneve e le primule, e già a febbraio, spuntavano le violette, l’erica, il biancospino.

Le ginestre annunciano la primavera, e il profumo dell’acacia entrava, intenso, nella nostra vita, i prati erano fioriti con ciclamini, anemoni, fiordalisi, non ti scordar di me. I papaveri, splendide macchie di colore nei campi di grano e la camomilla da raccogliere ed essiccare, la malva e la melissa. E tutte le erbe dei campi, oggi perlopiù ignorate, che nessuno conosce e raccoglie. Eppure le coltivazioni sono arrivate solo dopo, e per secoli, di quelle erbe, ci siamo nutriti, senza la necessità di coltivare acri di monocultura, rispettando le diversità biologiche. Per me erano motivo di gioia, quei pomeriggi da trascorrere all’aria aperta, a cercarle, a raccoglierle e i buoni piatti che mia madre sapeva preparare erano una vera delizia per il palato. La cicoria, i finocchi, le carote selvatiche, gli asparagi, l’ortica, sapori antichi e persi irrimediabilmente. Aspettavamo l’estate per uscire a raccogliere le more, i mirtilli e le fragoline selvatiche. Avevamo tutto, la bellezza della natura, le nostre querce, i castagni secolari, e i nostri forti legami emotivi; dove, oggi, regna la fragilità e l’incertezza, anche dei sentimenti. In un’atmosfera sbiadita, opaca, i fiori hanno perso il loro profumo e le api, disorientate, girano a vuoto, fino a disperdersi.

 

Loading

1 commento »

  1. Mi è molto piaciuto il tuo racconto, ci hai portato nel mondo magico della tua infanzia,
    facendoci assaporare i profumi della terra e le meraviglie della vita delle api.
    Usando un linguaggio a volte poetico a volte istruttivo hai catturato l’attenzione del lettore.
    Complimenti!!

Lascia un commento

Devi essere registrato per lasciare un commento.