Premio Racconti nella Rete 2017 “Lo spione” di Michele Facen
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017Il miglior posto è il Caffé, soprattutto al mattino, quando le donne riescono a rubare ai bucati e ai marmocchi, qualche minuto di pace, mentre gli uomini al bancone danno sfoggio dei loro abiti da disoccupati di pregio.
Non che mi piaccia ascoltare, origliare i fatti altrui: no, non sono un maniaco o un curiosone, non voglio affatto entrare nelle vite degli altri, ma, siccome alla venerabile età di settantadue anni, non posso dire di aver conosciuto ancora una felicità duratura, osservo facce e persone per cercare di capire se la gioia passi con più naturalezza nei volti estranei. Lo confesso: è un vizio che ho da quando sono rimasto vedovo della mia Clara, portata via da un infarto nel giorno delle nozze di mio figlio, finito sull’altare con una mulatta che, confesso anche questo, la mia Clara detestava fino al midollo.
La felicità, appunto: vorrei proprio raccontarvi un caso accadutomi giusto sta mattina, in un caffè molto frequentato. Ecco, in questo caffé, al tavolo di fianco al mio, c’è una donna col capo chino sulla tazza di cioccolato fumante. Avrà circa quarant’anni, non so dire se sia bella o no: sembra una faccia comune, senza particolari pregi o difetti che possano farvi scatenare desiderio o repulsione; non è vestita in modo vistoso e non si è sparsa addosso quelle fragranze nauseanti che oggi vanno tanto di moda tra le zitelle e le adolescenti.
Ma sta pensando, lo vedo nel brevissimo istante in cui lascio cadere i miei occhi sui suoi, nascosti a metà dalla frangia dei capelli rosso prugna, quegli occhi scuri e fissi sul centro del vortice calmo che ella sta creando col cucchiaio. Con un altro guizzo dello sguardo le osservo le labbra, chiuse ma pronunciate in una gioia sottilissima e segreta, lo vedo: è qualcosa di estraneo al piacere della bevanda che altrimenti avrebbe già assaggiato e che invece rimane sul tavolo a raffreddarsi e rimestarsi in quel moto perpetuo.
Mi alzo, rubo il giornale sul bancone a un tipo che stava proprio andando a prenderselo prima che arrivassi io: “Mi scusi: guardo solo i titoli e glielo dò”, gli dico col sorriso di chi è arrivato prima e vuole farlo pesare il giusto. Naturalmente miravo a distrarre la mia preda, ad attirare la sua attenzione su di me, a rubarle un piccolo sguardo, un nuovo attimo di felicità senza che lei se ne fosse avveduta, mentre l’altro, senza il giornale, torna al proprio tavolo masticando un “fanculo” amichevole.
Ma non funziona: la donna rimane di profilo rispetto a me che mi risiedo e muovo le pagine rumorosamente in un più goffo tentativo di rendermi partecipe della felicità altrui. Così il cucchiaio continua a girare e rimestare la cioccolata più fredda e scura con quella più chiara e ancora calda: la bocca della donna è ancora nella stessa identica espressione di fiore prima che sbocci, e il suo corpo, la sua testa, non si sono mossi di un millimetro.
E’ davvero interessante, un caso di felicità anomalo: la felicità che parte dalle sue labbra chiuse in un giubilo olimpico, la felicità nascosta sotto i suoi capelli, ambigua e segreta, crudele, senza alcuna malinconia… Una felicità che potrebbe benissimo partire da me, essere solo la mia personale vittoria su una giornata di noia e pensieri poche volte allegri. Lo sento infallibilmente, la visione mi mancherà, mentre passo in rassegna tutte le facce oltre lei (compresa la mia stampata sullo specchio del Campari)… Ed ecco, lo sapevo!
Due giovani mamme si mettono a ridere e starnazzare ora che hanno piantato i poppanti all’asilo, poi, come se non bastasse, un ventenne alcolizzato ancora sobrio, espone al barista le proprie ragioni riguardo alla sbornia di ieri sera.
La mia prescelta ha un piccolo sussulto, afferra la tazza e beve con un ampio sorso, si passa la lingua sulle labbra, estrae il telefono dalla borsa, apre il portamonete, chiama il barista e se ne va digitando frettolosamente sullo schermo dello smartphone.
E’ questo il momento più difficile per un ladro di felicità: quando tutto diventa comune, la vita sa di spreco, di oblio, di tazza ancora mezza piena con un impronta di rossetto sul bordo.
Sono uscito subito dopo di lei: non potevo certo partecipare o rubare il riso soffocato alle due giovani comari che si sono accorte di una macchia di caffé sul colletto del mio pullover rosso, regalo della mia povera Clara per il giorno di Natale del 1984.
Bella Michele l’idea di un ladro di felicità, che tanto rubarla non può, ma può coglierla nei gesti e negli sguardi e fissarla non in una foto ma in un racconto.
Parole per descrivere istantanee, lievi rapidi momenti di anime in transito.Delicato passatempo, educato e poetico.
Bravo!
Grazie Gianluca… L’ho inviato perché era l’unico racconto leggero che ho scritto finora…buona giornata a tutti…
Michele,
che strana bestia la felicità: quando ci appartiene non ne percepiamo la grazia, quando la perdiamo finiamo soffocati dal peso della sua assenza.
Il tuo protagonista, rimpiattato nei meandri di una vita di solitudine, mi ha suscitato una gran tenerezza pensandolo a cibarsi “delle altrui cioccolate felici”, con gli occhi attenti a percepire e catturare ogni attimo capace di donargli l’illusione di un sollievo ormai perduto.
Una lucida riflessione sulle meraviglie del quotidiano ed uno stimolo a coglierle tutte, prima che appassiscano.
Bravissimo.
Grazie mille: hai colto il senso e le intenzioni.
Delicata e melodica. Complimenti
Grazie Paolo, siete tutti molto generosi:bella comunità!
Michele, ho apprezzato molto l’argomento del tuo racconto: uno stimolo a riflettere in maniera non comune su qualcosa che ci sembra comune.
Perfetto anche il “taglio” della situazione: lunga quanto basta a trasmettere, senza eccessi di retorica.
Bravo!
Grazie Giada…
Michele, mi piace moltissimo il tuo racconto che si muove in uno spazio/tempo estremamente ridotto e si srotola al rallentatore. Cautamente e stancamente vedo muoversi il vedovo in cerca della quotidiana dose di felicità e finalmente inala i micro movimenti del viso che mostrano inequivocabilmente pensieri e sentimenti.
Bravo Michele!
E d’ora in poi attenzione a chi ci osserva di sottecchi…
Anche se, diciamocelo, chi non l’ha mai fatto cercando di indovinare cosa sta passando per la testa di quel tizio con quel sorrisetto?
Grazie Marcella!
“Lo sento infallibilmente, la visione mi mancherà, mentre passo in rassegna tutte le facce oltre lei (compresa la mia stampata sullo specchio del Campari)”il delicato racconto di una solitudine che non si rassegna alla noia del suo quotidiano.Si può vivere di libri, si può vivere di sguardi sulle vite degli altri, rubando un guizzo di felicità!