Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2017 “Trasporto eccezionale” di Ambra Ferraro

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017

Alle ore 7.55 Dario Nasturzi esce di casa trafelato e si butta in macchina sbuffando. Gira la chiave e parte l’assolo di chitarra iniziale di Search and destroy di Iggy Pop a tutto volume: «I’m a streetwalking cheetah with a heart full of napalm», intona Dario buttandosi in strada a tutta velocità e sorpassando subito un vecchio Fiorino scassato, a Dario sembra sempre che stiano lì ad aspettare lui questi reperti dell’anteguerra. Come quasi tutte le mattine Dario è in ritardo, e il tragitto per il lavoro si trasforma in un delirio di insulti e imprecazioni, accompagnato da canti a squarciagola: «I am the world’s forgotten booooy, the one who searches and destrooooys».
Alle ore 8.14 Dario varca il cancello della Ser-all snc, la fabbrica di serramenti dove lavora come assemblatore. Si fionda dentro, attraversa l’officina correndo, raggiunge il timbratore e clic-clac compare un bel 8.16 rosso fuoco, equivalente a ben 16 minuti di ritardo, che significava mezz’ora in meno in busta paga e un bel cazziatone. Neanche farlo apposta in quel momento compare la Tina, la figlia del titolare, con il suo solito ghigno malizioso: «Ehi ciao Dario, in ritardo anche stamattina eh?», «Sì Tina cosa vuoi che ti dica» risponde Dario ridacchiando per darsi un tono, «per strada ho trovato un trasporto eccezionale che aveva creato una coda pazzesca ed era impossibile superare». La Tina non sembrava tanto convinta: «sì Dario come no, ormai è vecchia questa scusa inventatene un’altra», spegne Dario in due secondi e rincara subito la dose, «Dario sei tu ad essere il trasporto eccezionale, si vede benissimo che non te ne frega un cazzo di lavorare qua», colpito e affondato. Dario non si sforza neanche di risponderle perché tanto era innegabile che fosse così. La Tina poi se ne torna su nel suo ufficio voltandogli le spalle imbronciata e Dario rimane là a guardare il suo culo enorme mentre fa le scale. A Dario nonostante tutto quella ragazza piaceva, alla fine lo conosceva meglio di tanta altra gente, ma rimaneva sempre e comunque la figlia di Baldan, per cui stava dalla parte del nemico. E poi lui non voleva avere una ragazza fissa. La sua storia più lunga era stata di un anno e mezzo, poi si era rotto le palle. Il problema era stato quando era ritornato Natale e lei le aveva riproposto di fare la stessa cosa dell’anno prima: pranzo coi suoi, cena da lui. Si era sentito opprimere le ossa e se n’era scappato alla grande.
Quando le persone lo rimproveravano, ed accadeva spesso, a Dario risuonava sempre in testa la frase che gli aveva detto quel beone di suo nonno quando, da bambino, per fargli uno scherzaccio, Dario gli aveva sfilato la sedia mentre lui stava lentamente abbassando il culo per sedersi, e il nonno era finito per terra a gambe all’aria: «Dario sei fatto solo per distruggere e danneggiare» gli aveva urlato. Forse era stata una premonizione perché la sua vita effettivamente era un casino e non c’era niente che fosse concreto o che gli interessasse davvero. Lavorava lì da tre anni e aveva un contratto a tempo indeterminato che più che farlo sentire sicuro gli pesava addosso come un macigno. Si era laureato quattro anni prima in sociologia a Padova, ma non era mai riuscito a inserirsi nel suo settore. Quando Baldan lo aveva assunto Dario si era sentito più uno scienziato che stava per compiere un esperimento sociale sul campo, che un nuovo dipendente dell’azienda con contratto di assemblatore di serramenti in PVC. Dario Nasturzi era uno che di curiosità ne aveva da vendere e questo lo aveva portato a ficcarsi da una situazione all’altra in modo incontrollato, senza una meta precisa, alla ricerca di chissà cosa.
Dario, con in testa l’immagine fissa di suo nonno a terra, se ne va verso il suo bancone pensando che la giornata era iniziata abbastanza di merda. Si infila lentamente la tuta quando sente afflosciarsi le ginocchia mentre Cheng gli fa un lopez all’improvviso che lo fa sentire ancora più coglione, con Lin dietro il suo bancone che se la ride di gusto sputacchiando, «Ehi Dalio tu sei sveglio oggi?» ridacchia Cheng mentre Dario lo manda a fanculo gesticolando. In quello si sente la voce dell’Armando, il capofficina, che sbraita: «e allora vi mettete al lavoro, o stamattina si fa festa? Non siamo mica alla sagra del maiale in agrodolce qua» guardando Dario e i cinesi. L’Armando era il classico fascista d’altri tempi, abituato a spiegarsi a insulti e a menare all’occorrenza. Veder lavorare quel comunistello fattone di Dario a fianco di quei due cinesi insolenti non l’aveva mai convinto: «cinesi tutto il giorno insieme a un comunista, è come mettere vicino un fiammifero acceso a un cero di dinamite» amava ripetere.
Dario non fa in tempo ad infilarsi la tuta che vede andare verso di lui il solito autista della Sun&Glass design, loro miglior cliente, a caricare il materiale pronto. Quel tizio con quei capelli alla Sandy Marton gli sta proprio sul cazzo, «Dai diamoci una mossa che abbiamo fretta, poi a quest’ora c’è traffico e devo andare in altri due posti», gli fa a Dario, «sì ok sono appena arrivato, tempo di timbrare», sbruffone di merda, pensa Dario camuffando la rabbia, ma vattene a suonare la keytar a Ibiza. C’andrebbe anche Dario volentieri a Ibiza, anche se era un posto un po’ troppo cafone, lui era più un tipo da rave improvvisato a Punta Sabbioni. Dario allora inizia a ripensare alle serate in spiaggia di tanti anni fa, la musica, le tipe, del buon fumo, quando una voce squarcia i suoi pensieri, è l’Armando: «Dario allora datti una mossa a caricare, è l’ordine R 541 fatto in persona dall’architetto Giuffrida, va in consegna oggi per forza!». Attimo di smarrimento, quel numero non gli dice niente stranamente, mentre lui di solito se li ricorda tutti i numeri di commessa recenti, aveva sempre avuto una memoria di ferro per i numeri e per i nomi. Dario inizia a sfogliare uno ad uno i numeri dei fogli d’ordine nervosamente, «eh… sì dovrei averlo fatto se era da fare, sarà là in mezzo con gli altri pronti», e l’Armando «se c’era non ti chiedevo dov’era», non fa una piega il ragionamento dell’Armando, vecchia volpe, pensa Dario. Sandy Marton intanto fa manovra col furgone per andare meglio a caricare i bancali, il problema era quali bancali? Dove diavolo era quel maledetto ordine? E soprattutto era stato fatto?
A un tratto si sentono delle imprecazioni in lontananza, una voce stridula inconfondibile: sta arrivando anche Baldan e Dario sente che la situazione sta per tramutarsi in dramma. Baldan fiutava gli errori come un levriero fiuta una preda, e s’insinuava sempre e comunque facendola pagare cara a chi aveva osato sbagliare. L’Armando e Baldan si piazzano attorno al bancone di Dario mentre lui cerca disperatamente quel dannato foglio d’ordine R 541, «allora Dario è stata fatta la roba vero?», Dario continua a rigirare i fogli inutilmente, come se potesse magicamente comparire l’R 541 e stop, si prende il muletto, si carica e addio Sandy Marton. Dario guarda il muletto smarrito, avrebbe voluto che diventasse un blindato con cui andarsene dove cazzo voleva lui, distruggendo le fabbriche, i capannoni e i palazzi, e riportando gli uomini a uno stato primitivo originario di armonia con la natura come descritto da Jean-Jacques Rousseau, il filosofo che amava tanto citare il suo caro vecchio prof. Bonaiuti, suo mentore all’università, che aveva abbandonato la vita accademica per trasferirsi in Brasile, pare per unirsi a una comunità di cacciatori-raccoglitori della foresta amazzonica. Niente più stronzi prepotenti come Baldan, l’Armando o Sandy Marton, solo buoni selvaggi che cacciano in gruppo spartendosi il cibo mentre le donne, sulla soglia della caverna, preparano il fuoco e crescono i figli allattandoli insieme ai cuccioli di animali orfani.
A un tratto Dario, all’apice del suo delirio mentale, vede spuntare un lembo di foglio dal pavimento sotto il bancone. Lo raccoglie, R 541 c’è scritto in alto a sinistra, eccolo lì l’ordine dell’architetto Giuffrida, «eh per sbaglio dev’essermi caduto quando l’Armando me l’ha dato da fare insieme agli altri fogli… lo faccio subito in velocità, in un’oretta farla grande è pronto» dice Dario tutto d’un fiato a denti stretti simulando tranquillità, tanto che aggiunge rivolgendosi a Baldan «è solo chi non fa niente che non sbaglia mai», con la faccia da sbruffoncello che sfoderava solo nei momenti più cupi e incerti della sua esistenza. Appena Dario volta le spalle per mettersi al lavoro parte la mitragliatrice di insulti e bestemmie, tanto che Baldan calcia un cestino che rotola sparpagliando in giro tutto il contenuto e, totalmente fuori di sé, tira un pugno fortissimo sul bancone di Dario ma becca un chiodo che gli perfora il lato della mano e si accascia dal dolore.
A quel punto la situazione degenera totalmente: l’Armando, cercando di soccorrere Baldan che è steso a terra come una cimice con le zampe all’aria, inciampa sul cestino e cade a sua volta a terra su un fianco. Sandy Marton, con un gesto risoluto, si toglie la maglietta a mò di bagnino di Baywatch che sta per tuffarsi in mare a salvare una vita, e la stringe attorno alla mano del Baldan per fermare il sangue mentre l’Ornella, la signora del reparto zanzariere, starnazza impazzita urlando che «il signor Baldan è ferito, chiamate un’ambulanza», facendo accorrere tutti gli altri operai curiosi. Cheng e Lin, nel frattempo, più divertiti che altro, ne approfittano per accendersi una sigaretta: «bel casino che hai fatto Dalio, adesso sono cazzi tuoi» sputacchia Cheng. Arriva anche la Tina correndo veloce verso di loro con garze e disinfettante, scuotendo tutta la sua notevole massa corporea. Non l’aveva mai vista muoversi così velocemente, poveretta era proprio in allarme e Dario si sente in colpa. Gli dispiace più per la Tina che per Baldan, alla fine era solo un vecchio iroso che non si sapeva controllare, prima o poi gli sarebbe venuto un infarto, ma la Tina era una ragazza speciale e lui ci teneva.
Dario intanto non aveva saputo far di meglio che restarsene immobile a osservare senza sapere cosa fare, pensando che quella scena poteva essere stata il videoclip perfetto di Disorder dei Joy Division, che capolavoro, con quella vaga sensazione di tragedia ma anche di cinica speranza. Mentre guarda impietrito il vecchio Baldan che ansima a terra con le gambe all’aria rivede l’immagine di suo nonno tanti anni prima e si sente proprio un coglione. La Tina poi lo guarda per un attimo coi suoi occhi tristi di sempre, «scusa Tina» dice a bassa voce Dario imbarazzato, «possiamo vederci fuori da qua?», la Tina gli sorride.
Dario alle ore 8.45 se ne esce dal capannone a testa alta, verso l’incerto. Sale in macchina e spara Iggy Pop come in tutte le giornate dei suoi tre anni trascorsi lì, andandosene in cerca di altro. Era tempo di cambiare musica.

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6 commenti »

  1. Esemplari di varia umanità che si muovono in un mondo disumanizzato che ci appare normale; bella la descrizione e incalzante il ritmo.

  2. Ambra,

    intanto: chi comincia e finisce un racconto con lggy l'”Iguana” per me deve vincere il Nobel per la Letteratura. SUBITO!

    Scherzi a parte, credo che il punto forte del tuo lavoro siano i personaggi dalle mille sfaccettature a cui hai dato vita; e poi Dario – che per di più ha il medesimo nome e fa lo stesso mestiere di uno dei miei migliori amici, guarda i casi della vita 🙂 – bisogna amarlo per forza: svogliato, fannullone, un giamburrasca adulto con la testa ancora tra le nuvole, o meglio tra le nubi di fumo di un rave :-).

    Lo stile “sporco” (nel buon senso del termine) che hai scelto aiuta a rafforzare il piglio ironico e dissacrante di un racconto che mi ha molto appassionato.

    Compliementi!

  3. Grazie Paola era uno dei miei intenti tenere un ritmo veloce e immediato, grazie per averlo letto!

  4. Lorenzo te hai capito tutto di Dario! Era proprio come volevo descriverlo…sono contenta che hai apprezzato! Alla fine c’è un po’ di Dario in ognuno di noi..o almeno lo spero! Grazie del commento

  5. Racconto rocambolesco e divertente, il tuo Dario è un personaggio che si fa amare fin dalle prime righe. Mi é piaciuto molto il linguaggio moderno ed il ritmo incalzante, ma soprattutto l’attento sguardo rivolto al sociale e alla complessità del lavoro. Brava!

  6. Grazie mille Antonellas, sono contenta che Dario ti sia piaciuto!

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