Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2017 “Corpus Hominis” di Alessandra Sambuco

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017

Mi piace tornare qui per le feste importanti, mi fa sentire ancora parte di qualcosa. Sono lontano da questa comunità ormai da tempo, fisicamente e mentalmente, ma sono cresciuto con le feste della mia chiesa ed ora sono una scusa per rivedere gli amici, radicati qui per questioni di donne e famiglia, e per venire a trovare mio padre. Sin da ragazzino mi sono sentito molto diverso da lui, tutti mi dicevano che ero la fotocopia di mamma, ma la ricordo a malapena: il viso tondo e gli occhi scuri, sempre pronta a ricordarmi che avrei dovuto trovare un posto nel mondo, per non restare come lei incatenata a questi tre vicoli di paese.

Quando la mamma morì mio padre mi costrinse ad andare a messa ogni domenica e a fare il chierichetto e, quando sono stato abbastanza grande e forte, anche a portare la statua del Santo. Però ci andavo volentieri, alla fine era un modo per condividere un momento di vita con l’unico genitore che mi era rimasto, senza contare che “il segno di pace” era uno dei pochi contatti fisici tra di noi.

Così gli amici mi richiamano ogni giugno per tornare nella piazzetta, chè si parte da lì, dalla chiesa, con San Leonardo ed il suo baldacchino, e poi si scende sotto l’arco e si risale fino al cimitero. Sempre lo stesso percorso ma dicono che senza di me proprio non ce la fanno; mi piace la loro scusa.

Faccio un giro veloce lungo la via centrale per godermi le coperte colorate stese alle finestre, usanza di qui per festeggiare il Patrono, e vedo che mio padre, prima di uscire, ha steso quella della mia bisnonna; da ragazzino era la mia preferita.

Raggiungo in fretta gli altri in chiesa e indosso gli abiti di rito: una tunica bianca con una cinta nera annodata alla buona in vita. Quando Michele grida “3, 2, 1…” mi sale l’ansia come ogni anno, come la prima volta, che avevo paura di non farcela a tirar su tutto quel peso e a portarlo a spalla fino al cimitero, distante poco più di un chilometro, dove Andrea mi avrebbe dato il cambio per riportarlo in chiesa. Ma come ogni anno, e come anche la prima volta fu, nessun inconveniente.

Sento che il baldacchino pesa meno del solito, eppure la statuta è sempre la stessa, ma sulle mie spalle ancora giovani ma già cariche di esperienze oggi sembra più leggero. Ignoro la sensazione e continuo il mio percorso.

Dopo pochi passi alzo lo sguardo ed inizio a notare le facce della mia fanciullezza: zia Maria, sempre col velo nero in testa che snocciola un rosario consumato, zio Alberto, con la sua camminata fiera e le mani agganciate dietro la schiena e poi Giulia, mia amica di infanzia, con grandi occhiali da sole, per nascondersi meglio: è bella la tranquillità che percepisco nel tornare qui e trovare sempre tutto uguale, anche le curve che dalla Cassia mi portano fin dentro il paese, anche loro non cambiano mai, una sorta di garanzia.

Lasciamo la piazzetta ed iniziamo la discesa fino all’arco, dove saremo costretti ad abbassarci per farci passare sotto la statua. So che mio padre non è qui tra la folla, sa che non voglio che assista alle mie ansie, mi mette ancora più in tensione saperlo li a guardarmi. Ma, appunto, lui lo sa, mi rispetta e come sempre sarà davanti al cimitero a chiacchierare con il sindaco. Tra di noi le cose stanno così: senza essercelo mai detto abbiamo rispettato le paure altrui. Devo ricordarmi di ringraziarlo.

L’arco lo passiamo senza problemi: siamo in sei ad abbassarci all’unisono, lo facciamo insieme da più di dieci anni, siamo una squadra che funziona. D’ora in poi è tutta salita, sotto il sole di questo mezzogiorno estivo. In tasca il mio cellulare inizia a vibrare, sicuramente è Laura, la mia fidanzata, che è a casa nostra e vorrà sapere se ho già parlato con papà, e i miei pensieri tornano a tre settimane fa, alla mia giovane amica che mi guardava terrorizzata e non parlava.

 

Giulia mi aveva chiesto di vederci «ma in un luogo tranquillo, Maurè, che ti devo parlare», così ho pensato che casa mia a Roma sarebbe stato il posto più adatto. Laura ci aveva lasciati in salotto ed era andata a lavorare nel suo studio. Il divano, che prima trovavo comodo e confortevole, stava diventando territorio di brutti ricordi. La mia amica continuava a fissarmi senza dire niente, una pausa interminabile. Poi era riuscita a prendere fiato e dirmi «Mio padre mi ha detto che 28 anni fa ha avuto una relazione con tua madre, dice che sei suo figlio».

Mi stava passando un baldacchino molto pesante, non è come quello di San Leonardo, il suo la stava distruggendo sotto tutto quel peso e aveva bisogno di chiedermi di farlo portare anche un po’ a me, sulle mie spalle. «Mi ha detto che lui lo sa da sempre ma che non ha avuto mai modo e coraggio di dirtelo, perché in realtà tua madre non voleva che tu lo sapessi. Io lo so da una settimana, scusa se ho fatto passare un po’ di tempo, non ci sto capendo niente!» ed era scoppiata in un pianto liberatorio. Il grande uomo, suo padre, aveva mandato questo scricciolo terrorizzato a dirmelo. Avrei voluto avere lui davanti a me per capire meglio, per fargli cento domande che non potevo fare a Giulia, lei non aveva le risposte. Avrei preferito che mia madre fosse ancora viva, ovviamente per abbracciarla ancora, ma anche per interrogarla sui mille perché che mi balenavano in quel momento in testa. Poi, all’improvviso, un po’ di chiarezza: la poca somiglianza con l’uomo che chiamo papà e i discorsi di mia madre prima della sua morte mi stavano facendo unire i puntini. E una volta finito, avevo tutto chiaro.

 

La salita sta finendo, dietro la curva a destra c’è il cimitero. Scorgo mio padre tra la piccola folla che attende e sorrido dentro di me; lo sapevo che era lì. E so anche che il baldacchino pesa di meno perchè la consapevolezza e l’accettazione, paradossalmente, mi rendono le cose più leggere: in fin dei conti ci ho guadagnato una sorella. Papà, invece, sarà sempre l’uomo che mi ha cresciuto, e nessun altro.

Ancora pochi passi e lascio San Leonardo sulle spalle di Andrea e in questo caso il peso è fisico, non metaforico. Me lo ritrovo davanti, ma di spalle, che appoggia quella sinistra sotto alla trave del baldacchino e poco alla volta sento che prende lui la responsabilità del Santo. Raddrizzo la schiena, non solo per far riprendere i miei muscoli, e mi avvio sorridente verso mio padre. Incontro gente che mi ferma e saluta, dopotutto passo così poco tempo qui che questa è l’unica occasione che ho per scambiare quattro chiacchiere con molti. Nei loro occhi, però, vedo qualcosa che non avevo mai notato prima, forse loro sanno da sempre quello che io ho scoperto da poco. Non voglio domandarmelo davvero.

Qualcuno mi afferra il braccio destro ed io mi giro di istinto: me lo ritrovo davanti che mi fissa, il padre di Giulia, con gli occhi lucidi spalancati, la bocca che vorrebbe dire qualcosa ma non dice. Mi tolgo dell’invisibile polvere dal mio braccio, costringendolo così a mollare la presa, e riprendo a camminare. Prima o poi dovrò affrontare quell’uomo ma non qui e non ora, ho cose più importanti da fare adesso.

Ed ecco, papà, che mi tende la mano – “scambiatevi un segno di pace” – ed io ricambio, appoggiandogli l’altra sulla spalla. Non importa quello che mi ha detto Giulia, non importa se non ci somigliamo fisicamente, lui mi conosce come io lo conosco, sappiamo cosa aspettarci l’uno dall’altro. Va bene così.

Torniamo sotto braccio da dove siamo venuti e incrocio lo sguardo di Giulia, che adesso si è tolta gli occhiali da sole: non serve dirsi altro.

Abbiamo appena passato l’arco quando mio padre si ferma di colpo, mi guarda intensamente e mi dice con un filo di voce: «Mi somigli sempre di più». Lo guardo ancora un istante e poi gli dico: «Papà, Laura è incinta, diventerai nonno!». Non riesco a scorgere molto nel suo sguardo, forse vedo solo la gioia del momento. Vorrei guardare più a fondo per capire se lui sa ma ho una domanda più importante: «Sei fiero di me?». La risposta è in quella piccola incrinatura nello sguardo, nell’accenno di un sorriso e nella testa che asserisce.

 

Mi piace tornare qui per le feste importanti, mi fa sentire ancora parte di qualcosa.

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5 commenti »

  1. Alessandra, che bel racconto! pacato sereno e scritto con la stessa cura che il protagonista ha per il padre che l’ha cresciuto.

  2. Paola, la ringrazio per il suo bel commento! Mi fa capire che ha letto con piacere il mio racconto, ancora grazie.

  3. I segreti nascosti nei vicoli di un paesino di provincia, il ritorno una volta all’anno di un figlio e una liturgia che profuma di storia passata. Con questi ingredienti non può che essere un bel racconto!

  4. È piaciuto anche a me questo racconto. Molto delicata e poetica la figura del padre. Mi piace come hai saputo intrecciare la vicenda alla descrizione della processione, in cui la statua del santo è un peso simbolico che i personaggi sanno condividere.

  5. Questo racconto mi fa tornare indietro nel tempo, alle feste di paese con le coperte colorate esposte alle finestre per la processione. Sfondo perfetto per una bella storia!

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