Premio Racconti nella Rete 2017 “Osvaldo lo scarafaggio e la famiglia Martini” di Orietta Corradi (sezione racconti per bambini)
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017Clara ha la febbre
Osvaldo, uno scarafaggio nero nero lucido e grosso, abitava sotto il caminetto di casa Martini, con sua moglie Clara e due figlioletti.
Un vecchio proverbio dice:
“Dicembre gelato non va disprezzato”. Quell’anno però quanto a gelo, Dicembre stava veramente esagerando. La casetta di Osvaldo e Clara non era mai abbastanza calda:ogni sera bisognava aggiungere una copertina in più sui lettini. Botto e Betta dormivano con calde cuffiette e due buffi scalda-antenne rossi; Osvaldo aveva sempre le zampette fredde e i piedini congelati mentre Clara, ad intervalli regolari, chiudeva gli occhietti, alzava la testa, arricciava il naso ed iniziava a fare una serie di starnuti, il cui numero variava dai dieci ai quindici ogni volta.
I signori Martini erano partiti per la settimana banca, perciò sia i termosifoni che il caminetto erano spenti. Bisognava resistere a quel terribile gelo per sette lunghi giorni. Una mattina Clara non riuscì ad alzarsi dal letto: aveva la febbre altissima e tremava come una foglia!
Botto e Betta riempirono un secchiello d’acqua: ogni cinque minuti bagnavano un fazzoletto e lo mettevano sulla testolina della mamma, ma la temperatura era così alta che il fazzoletto si scaldava in un baleno. Erano tutti molto preoccupati!
Osvaldo, agitatissimo, decise di chiamare un dottore, anzi non “un” dottore, ma “il” dottor Gedeone Moscone: il più bravo.
Attesero tutta la mattinata finchè, alle 12.00 in punto, finalmente sentirono bussare alla porta.
Quando Osvaldo aprì, si trovò di fronte un vecchio moscone panciuto, con lunghi baffi grigi; aveva un faccione simpatico e sorridente. Indossava un elegante completo marrone e un lungo cappotto di pelle nero. Botto e Betta l’accompagnarono subito in camera di Clara. Il dottore, appena la vide, fece un ampio sorriso, poi le prese delicatamente la zampetta e disse:
“Sono il dottor Moscone Gedeone che per ogni malanno trova sempre la souzione, parlo in rime da quando son nato perché così mi hanno insegnato! Tutti quanti a casa mia, dalla nonna alla zia, si dedicano alla poesia. Se qualcuno ci viene a visitare la rima deve trovare!”
Clara, nonostante la febbre altissima, fece un bel sorriso: il dottor Gedeone l’aveva conquistata!
La visita fu molto lunga e scrupolosa. Quando terminò, il dottor Moscone Gedeone sedette sul lettino e iniziò a dire:
“Se avesse male al dente, avrei una cura sorprendente: due fettine di limone, una foglia di lampone e un scaglia di sapone. Tutto cotto in acqua bollente, il dolore passerebbe rapidamente.
Se avesse mal di testa, avrei una cura lesta: una coda di ranocchio uno spicchi di finocchio e un dente di marmocchio. Tutto cotto in una pentolina sarebbe meglio di un’aspirina.
Se avesse mal di cuore, avrei una cura ancor migliore: quattro fiori di girasole, due mazzetti di viole e sei dolci parole. Tutto insieme presentato, il cuore sarebbe subito ben curato.
Clara ho visitato attentamente e di tutto questo non ha niente. Ho sentito solo un fischietto provenire dal suo petto, un fischietto così acuto e netto che non fa un bell’effetto. La mia diagnosi è sicura e, quindi, le prescrivo la cura:
Lunedì, martedì e mercoledì due punture al dì, per tutti gli altri giorni della settimana una puntura pomeridiana. Se la prescrizione seguirete attentamente la febbre passerà sicuramente!
Poi, guardando tutti con molta calma, aggiunse:”Cari amici ora vi devo lasciare altri malati devo visitare. Vi auguro che per tanti anni non avrete più malanni!
Il dottor Moscone Gedeone con la sua simpatia e la sua bravura, aveva rasserenato tutti. Accompagnandolo alla porta, Osvaldo lo ringraziò molte volte e Botto e Betta lo baciarono sulle paffute guanciotte. Clara aveva ancora la febbre molto alta, ma ormai erano sicuri che sarebbe guarita preso. Ora bisognava soltanto cercare un’infermiera esperta in punture.
Osvaldo non voleva perdere tempo: raccomandò a Botto e Betta di stare vicino alla mamma, indossò cappotto, cappelli e sciarpa ed uscì. Nevicava. Osvaldo fece molta strada. Chiese allo scarafaggio il dottor Battista, al droghiere Ermete, a Marta la sarta, al vigile Guido Piano, ma nessuno conosceva un’infermiera esperta in punture.
Stanco, sconsolato, stretto stretto nel suo cappottino, con la testa bassa, mentre a piccoli passetti decise di tornare a casa, sentì un canto provenire da una vecchia cantina. Incuriosito si avvicinò alla finestra; con la manica del cappotto pulì il vetro sporco di neve, ma proprio mentre stava per schiacciarci il nasino contro per vedere meglio l finestra si aprì e du splendide cicale lo invitarano ad entrare. “Hola amigo! Viene dentros a riscaldarte un pochino. Nos semo dos cicales espagnole Paquita e Caramensitas in Italia per imparare a cantare in italiano; avemos mucio amigos e tutte le sere nos ci riuniamo intorno al fuego.”
Osvaldo, di fronte a quell’invito cosi’ spontaneo e sincero,dimenticò tutta la sua diffidenza nei confronti degli stranieri ed entrò. Conobbe un gruppo rock composto da quattro grilli spagnoli che,stanchi del flamenco, erano in Italia in cerca di fortuna; due pulci russe e un pidocchio cinese,acrobati di un circo; una farfalla cubana ballerina, un calabrone trombettista jazz americano;una famiglia di formiche rumene in cerca di una sistemazione e una giovane zanzara africana, detta “tigre” per via della minigonna tigrata che indossava, infermiera provetta disoccupata.
“La mia felicità non si può misurar, a gioia batte così forte nel mio cor che mi provoca dolor. Le mie zampette non riesco a fermar perché voglio ballar lalala…..lalala..!!!
Gli insetti pensarono che fosse”leggermente scioccato”. Quando si calmò, erano tutti intorno a lui ammutoliti e piuttosto sconcertati: i grilli spagnoli erano rimasti con le dita immobili sulle corde delle chitarre, le pulci russe si erano sedute tremolanti, il pidocchio cinese si grattava ripetutamente la testolina pensieroso, la farfalla cubana spaventata aveva aperto le ali ed era volata su un vecchio armadio, il calabrone trombettista jazz americano aveva sbarrato gli occhi e teneva la tromba come se avesse un bastone pronto a colpire, le formiche si erano prese tutte per mano. Solo Tamara la zanzara africana ebbe il coraggio di avvicinarsi e , con un filo di voce, chiese intimorita: “Signore scusade: avete bisogno de quache gosa?” Osvaldo la guardò per un attimo come si guarda un tesoro appena scoperto, poi, tirando il cappello in aria, ricominciò a saltellare e a cantare. A quel punto tutti si convinsero che non fosse”leggermente sciroccato” ma “gravemente sciroccato”. Più di tutti ne era assolutamente convinto il calabrone jazz americano che già stava per tirare una bella strombettata sulla testa di Osvaldo quando improvvisamente lui cessò di saltellare e disse:
“E’ tutto il pomeriggio che cerco un’infermiera. Ho camminato per ore ed ore chiedendo a tutti un indirizzo, un nome, ma niente. Mia moglie Clara è molto malata e deve fare delle punture. Non riesco a crederci: senza volerlo l’ho trovata proprio qui! Grazie, grazie a tutti voi!”
A quelle parole si commossero tutti e spontaneamente applaudirono. Applaudirono alla storia di Osvaldo finita bene, a Tamara la zanzara non più disoccupata e a tutti quanti loro uniti da un grande spirito di amicizia!