Premio Racconti nella Rete 2017 “L’ombra dorata” di Alessandra Chiappori
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017«Vedi questa luce?».
«C’è il sole – aveva fatto spallucce lui – siamo a luglio, le giornate sono lunghe: c’è la luce. Oggettivamente ti stai arrampicando sugli specchi con inutili discorsi intellettuali alle sette di sera».
Giorgia si era imposta di contare fino a quattro. Solo quattro: a cinque si sarebbe insospettito. La conosceva troppo bene, sapeva che detestava risposte così e che avrebbe protestato. Quattro secondi dovevano bastare per non rispondere male, non insultarlo, non bruciarsi la spiegazione. Dolcezza, serviva dolcezza.
«È cosa ovvia che a luglio sia chiaro fino a tardi – aveva inspirato a fondo e ritentato – Intendevo il tipo di luce. Non la vedi? Il sole è quasi al tramonto e la luce è calda, laterale, fa ombre lunghe. Se ti giri e ci guardi sull’asfalto te ne accorgi».
«Se non mi stessi facendo una spiegazione imparentata alla lontana con ragioni scientifiche, potrei prenderla per una terribile immagine da coppiette».
Lo sguardo rassegnato di Giorgia si era allungato scuro come le ombre sopra la sua espressione di finta indifferenza. Fino a pochi mesi prima l’avrebbe sfoggiata recitando la parte della persona superiore alle questioni di mera apparenza e alle sterili polemiche da stereotipo in cui Giacomo sguazzava senza ritegno. Avrebbe continuato a credere di stare bene così, di condividere qualcosa.
In fondo, dentro di lei la persona offuscata dall’idillio e in grado di non accorgersi della povertà di quelle risposte esisteva ancora. Era stata messa all’angolo a suon di cazzotti da quella che, discutendo di luce dorata del tramonto, fingeva di pensare esclusivamente a cose materiali, assaporando di nascosto, con orgoglio silenzioso, le due ombre che pedinavano un’apparente coppia di ritorno da un pomeriggio di mare. Il sole lo permetteva senza chiedere nulla in cambio: proiettare il loro cammino insieme, lungo la strada. Era una soddisfazione piccola piccola, innocente, infantile. Non avrebbe fatto male a nessuno se fosse riuscita a contenere quel pensiero dentro di lei senza permettere alle rughe del sorriso e al bagliore nello sguardo di renderlo leggibile.
Ogni giorno, ogni minuto passato insieme a Giacomo erano ormai una camminata folle e senza meta sul filo di una lama. Lo percepiva, il rischio innato in ogni parola, gesto o semplice idea. Sapeva che su quel percorso sarebbe finita male, e sapeva anche che avrebbe dovuto guardare altrove. Ma poi c’erano le sue telefonate, la certezza di trovarlo, i suoi sorrisi. A sorreggere tutto restava la logica irrazionale di collegamenti impossibili tra parole mai dette e gesti ambivalenti, sfuggiti di mano nella cornice di un’amicizia che era tale, certo che lo era, ma aspirava a essere qualcosa di diverso.
Il rischio era enorme e girava come una trottola impazzita. Giorgia passava le giornate pigre dell’estate a destreggiarsi intorno al meccanismo infernale, a rammendare gli strappi accidentali, a scansare i nuovi, ad allontanarsi con la voglia costante di ricomparire. Litigio, silenzio, messaggini, scuse, sorrisi, serata esilarante, abbracci, battute, altro litigio e via nel loop. Tutto perfetto, davanti. Dietro, una scenografia intaccata dai tarli: le altre, quelle che cercava e voleva lui.
Giorgia e Giacomo erano solo amici. Tanto amici. Così tanto che le cavalleresche imprese in cerca di donzelle e i due di picche a profusione di Giacomo, Giorgia li conosceva alla perfezione. Così tanto che era lei a rispondere a telefonate notturne di sfogo, a bisbigliare di lasciar perdere, che Elisa era una sciacquetta, Chiara un’ipocrita, Alice disinteressata, Simona non se lo filava nemmeno di striscio e no, Giacomo, tu non ti meriti un trattamento così. Così tanto che sempre più spesso Giorgia spariva. Non era più una ragazza di 26 anni, ma il compare maschio con la mente di donna, unica interprete della matassa di pensieri di un coetaneo sfigatissimo in amore. Una sfortuna che condividevano, lo sapeva molto bene da quando era successa quella cosa là.
Quella cosa là risaliva a una festa in spiaggia del mese prima, una birra di troppo in mano a Giorgia e un’improvvisa complicità nei confronti di Giacomo. “Cosa c’è?” chiedeva lui, intuendo l’arrivo del peggio, sfuggendole e ritornando a sostenerla per paura che l’ebrezza la facesse inciampare negli scogli.
«C’è che mi piaci» era esplosa lei.
Silenzio. Risatina nervosa. Sguardo gelido.
«Lo so che è un casino, ora non credere…» ma lui l’aveva interrotta, in un crescendo di imbarazzo.
«Non credo: è un casino».
Ormai era fatta, aveva pensato lei, accettare la sciagura successiva.
«Io lo sapevo che non esisteva l’amicizia tra uomo e donna, e tu sei la conferma»
«Non è vero che non esiste, noi siamo amici»
«Era una finzione»
«Ma io sono affezionata a te»
«Questa cosa è assurda, è perversa»
«Perversa? Ti ho solo detto che mi piaci, sarebbe pure un complimento».
Sospiri. Ansie.
«Non possiamo andare avanti così, lo sai, vero?» Aveva concluso lui puntando gli occhi a terra.
«Guarda che come abbiamo fatto finora, possiamo fare ancora – e così Giorgia aveva polverizzato il nervosismo in un discorso autodistruttivo – Se la consideri da fuori è molto lineare: io propongo, tu rifiuti. Bon. Amici come prima».
«Non sarà più come prima. E mi fa tristezza»
«Sapessi a me…» si era morsa un labbro.
«Non sto scherzando: ti ferisco e so di farlo, e non vorrei»
«Tranquillo, ci sono abituata» ma la voce ormai le si era spezzettata in un singhiozzo.
L’aveva riportata a casa, premuroso come sempre, e poi era calato il sipario. Da quella sera, timidezze e tentativi di evitarsi si erano piano piano scongelati al sole di luglio in un riavvicinamento che sembrava l’amicizia di prima, ma ne era solo l’ombra. Un’ombra dorata, tuttavia. Uscivano, progettavano viaggi, scherzavano e passavano tantissimo tempo insieme. Salvo quello che lui aveva iniziato a ritagliarsi per sé, e per le altre.
Giorgia lo intuiva, la gelosia le mordeva la gola, ma non aveva alcuna giustificazione per lamentarsi. Ricamare dolcezze su una stupidaggine come le loro ombre proiettate sull’asfalto era diventata la misera, conciliante e dolcissima fiamma di felicità interiore che si concedeva in silenzio, stando attenta a non oltrepassare il confine oltre il quale si sarebbe scatenato il disastro. Ma la fiamma durava poco, spenta la maggior parte della volte da episodi di crudeltà gratuita.
Finire un discorso anche solo superficialmente serio con Giacomo era sempre stato impossibile: “la mia mente è un piano inclinato – diceva – tutto rotola giù”. Mentre Giorgia cercava di concludere il ragionamento sulla luce del tramonto, il bianco peplo di Eleonora, e tutto ciò che non nascondeva, avevano introdotto un nuovo scivolo. In caduta libera, i neuroni di Giacomo avevano salutato il discorso di Giorgia per riversarsi sul corpo scultoreo della ragazza che stava andando loro incontro.
Giorgia si domandava dove fosse, prima, la strabordante evidenza empirica di ora. Si chiedeva se l’incostanza di lui fosse intenzionale, se lo fosse il perpetuo orientare l’attenzione alle altre, alle ragazze, appellativo che a lei non era concesso. Se fosse un gesto, uno dei tanti che da quella sera famosa lui aveva messo insieme, aumentandoli esponenzialmente, per schiacciarla ancora un po’, allontanandola con disprezzo e crescente gelo.
Non era la gelosia spicciola innescata dal constatare che il ragazzo che popolava la sua vita e stava camminando di fianco a lei stava guardando avidamente un’altra – magari più bella, magari più attraente, o semplicemente iscritta al club delle ragazze perfette – mentre lei gli parlava convinta che lo stesse ascoltando. Giorgia era quasi sicura di poterla percepire come un fluido mieloso e viscido: la cattiveria. Di sapere esattamente cosa stesse provando lei durante quella parentesi di chiacchiere con lui, e di voler tirare il freno a mano bruscamente, per una forma di intolleranza sorda, la risposta puramente fisica dell’aver visualizzato, sul sonar della caccia ormonale, una ragazza perfetta, danzante tra candidi veli, l’abbronzatura e la regolarità dei connotati e del viso esaltati da quella maledetta luce dorata del tramonto.
Aveva accelerato il passo, Giacomo, sorrideva già a Eleonora, la salutava. Per mantenere cordiali rapporti di freddezza, Giorgia le aveva invece fatto un cenno, e prevedendo di voler evitare il classico siparietto in cui lui faceva lo speciale con ragazze che non lo consideravano nemmeno un po’, si era mantenuta sulle sue, a debita distanza.
La scena si era svolta come sempre: un classico, pilotato da flussi ormonali prevedibili per un maschio ventiseienne. Il che schiacciava senza tregua Giacomo nel calderone delle persone prive di alcunché di speciale. Il solito, squallido, prevedibile e tristissimo ragazzo single con l’ormone a palla. Una nuova sconfortante, scontata ma luminosa conferma a pensieri già masticati e riposti nel cassetto delle constatazioni razionali. Troppa luce, troppo alta, per perdersi nella malinconia di quel tramonto dorato, due ombre distanti allungate sull’asfalto della sera.