Premio Racconti nella Rete 2017 “Pioggia” di Vincenza Alba Elia
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017...e aspiette che chiove l'acqua te 'nfonne e va tanto l'aria s'adda cagna' (Pino Daniele)
La pioggia continuava a martellare le vetrate, coprendo a tratti la voce flebile della signora, seduta sulla sedia bassa davanti alla scrivania.
“Mi scusi, non ho afferrato il suo nome” era stanca, dopo una notte di sonno inquieto e una mattinata fitta di visite in ambulatorio. Quella era l’ultima, se Dio voleva, poi andassero tutti a quel paese, lei sarebbe corsa a timbrare l’uscita prima che l’infermiera del reparto potesse raggiungerla con altre richieste (Il dottor Cognetti è stato chiamato un’ora fa in Pronto Soccorso e non è ancora tornato, la paziente aspetta la cartella per la dimissione, la prego dottoressa ci pensi lei). E già: Cognetti al bar del Pronto Soccorso aspettando che spiova, il primario a Villa Immacolata a inseminare uteri refrattari, Milani ancora in malattia, del resto non c’è più da far conto di lei dopo l’incidente, però non posso far tutto io, porca miseria! Ah, c’è pure la ragazza in travaglio, va a finire che mi toccherà scendere in sala parto…
Come ha detto che si chiama, questa? Uno sguardo alla cartella, quel cognome insolito, sarà il suo o quello del marito? si chiamava così anche lui – e che, solo lui? chissà quanti ce n’è con quel cognome!
“No dottoressa, è il cognome di mio marito, è calabrese, ma di origine greca” appunto, sarà un parente, un membro di quella tribù, ma guarda combinazione, Graziella il nome.
“Va bene, vada sul lettino che facciamo la visita” e anche l’età potrebbe corrispondere…
Vent’anni fa. Gli ultimi esami prima della laurea, settimane di studio senza riposo. Lui sempre più distante, diradati gli incontri, poche telefonate tempestose. Ma come, neanche questa domenica possiamo vederci? Ho studiato giorno e notte per avere la domenica libera! – Abbi pazienza, sarà per domenica prossima, ora ho questo impegno con un amico, gliel’ho promesso, non posso tirarmi indietro – Allora il tuo amico conta più di me – Ma che discorsi fai, Graziella – esasperato – Come, Graziella? io non sono Graziella… Un crac, dentro, proprio in quel momento, lo ricordava benissimo.
“E lei di dov’è, signora? Non mi sembra romana, dall’accento”
I ferri tintinnarono nella vaschetta d’acciaio, mentre la voce flebile esalava “Firenze” in un sospiro quieto. Lo speculum entrò agevolmente, nonostante la secchezza delle mucose. “Mi sono trasferita a Roma vent’anni fa, dopo sposata. Mio marito era stato assunto qui all’Archivio di Stato, noi si sarebbe stati più volentieri a Firenze, ma col primo figlio in arrivo non si poteva far mica gli schizzinosi.” Il colposcopio aveva centrato una cervice dall’aspetto piuttosto malandato.
“E così venite da Firenze… una città meravigliosa, a chi non piacerebbe viverci?” Il rumore della pioggia si era attenuato, ma ora il martellìo si era trasferito alle sue tempie. Stanchezza, sonno, forse fame, forse… brutta però questa cervice, mucosa congesta e friabile, la punta morbida del tampone provoca già sanguinamento.
“Sapesse, dottoressa, che nostalgia ho della mia Firenze! Lui no, lui stava a Perugia, studiava là, veniva a trovarmi quasi tutti i fine settimana, o a volte andavo io da lui… ahi!”
“Mi scusi, ho dovuto prelevare un campione di mucosa cervicale per l’esame istologico, c’è una forte infiammazione, per questo ha sentito un po’ male” e forse la pressione della pinza era stata un tantino più forte, ma tu non lo sai che cosa hai detto, tu stai lì a gambe aperte, con quella vocina sospirosa, e hai detto Perugia, e non lo sai, tu non sai a chi lo hai detto, tu non sai niente di me, ed io niente di te, ma ti guardo dentro attraverso il colposcopio, e vedo me stessa, e vedo l’uomo che è tuo marito, il suo pene dentro di te, lo riconosco, Perugia hai detto, Firenze-Perugia quasi ogni fine settimana, sì quasi, perché altri fine settimana era Roma-Perugia, ma tu non lo sai. Forse.
“Quanti figli ha detto di avere?” La stazione Termini, un giorno di nuvole e pioggia, l’aveva atteso al binario come tante altre volte, ma quella volta era diverso, lui doveva ripartire subito, aveva detto poco prima al telefono, voglio salutarti ma non posso fermarmi. E lei aveva mollato i libri e si era scapicollata giù da Monte Mario, dopo aver coperto sotto due dita di fondotinta e ombretto i segni del pianto.
“Uno solo, ha dieci anni. Prima di lui ci sono stati tre aborti, non riuscivo a portare a termine le gravidanze, ho fatto tante cure… Ci tenevo tanto ad avere dei figli, sa? Ma poi ci siamo fermati a questo” la voce ora diventava un sussurro, come un coro di ombre. Ombre passavano dietro le vetrate, nuvole più scure e più chiare. Ombre sullo schermo dell’ecografo che scandagliava le profondità uterine. Qui il seme era germogliato. Il seme di cui lui era così avaro con lei, allora. Non possiamo correre rischi, diceva. Lei gli dava ragione, contro il bruciante desiderio del suo corpo. Sempre trovava in se stessa le ragioni di lui a contrastare quegli spasmi, quei conati violenti e inefficaci da cui infine scaturiva il pianto – quando lui si era addormentato, sazio e tranquillo, volgendole le spalle.
– Come mai non puoi fermarti? resta almeno fino a domani, chiedo al mio collega di lasciarci la stanza – Non posso ti ho detto, devo fermarmi a Firenze stanotte, c’è mio cugino che mi aspetta, sua madre mi ha dato della roba per lui. Risentiva il freddo della panchina sotto i pantaloni di tela, giugno quell’anno era gelido. Piazza dei Cinquecento, il grande vestibolo di Roma, intorno a loro non smetteva di vorticare. – Penso che andrò al cinema con Antonello, stasera – Il sorriso di lui aveva una sfumatura di pietà? – Fai bene, aveva detto alzandosi, salutiamoci qui, non c’è bisogno che tu venga al treno – D’accordo. L’ultimo bacio non se lo ricordava, le pareva d’essere andata via senza voltarsi.
Utero fibromatoso, già. Pare che la mancata detensione delle fibre muscolari, la congestione prolungata che non sfocia nell’orgasmo, costretta alla stagnante mortificazione del deflusso lento, possa nel tempo condurre all’ispessimento fibrotico. Ci si indurisce dentro, ecco tutto.
“Un figlio è comunque già un bell’impegno per noi che lavoriamo, no? Che lavoro fa lei, signora?” e perché diamine stava dando per scontato che lei non fosse una casalinga? solo perché ricordava l’avversione di lui per le casalinghe, per le donne sciatte e trascurate, perse dietro le cure della casa e dei figli? E questa qui era senza dubbio ben messa nell’aspetto e nell’abbigliamento, ma pure aveva l’aria di chi non se ne cura, come se vestirsi e truccarsi fosse un’altra delle mansioni consuete, come se anche il suo corpo fosse un oggetto domestico da mantenere in buono stato, pulito e ordinato. Così faccio anch’io, pensò, e la mano che ora palpava e premeva sui fianchi tremò impercettibilmente.
“Sono segretaria in un’azienda telefonica. Ha ragione, dottoressa, non è mica facile crescere un figlio in una città come Roma, e con la famiglia lontana. Mia madre mi avrebbe dato una mano, ma è a Firenze con le mie sorelle. Sono proprio contenta di aver trovato lei qui oggi, continuava rivestendosi dietro il paravento, con una donna è più facile, ci si capisce meglio”.
Da dietro il paravento non poteva vedere la smorfia che piegava le labbra della dottoressa, china sulla cartella alla scrivania.
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Sul lungotevere il traffico era scarso a quell’ora, e anche la pioggia s’andava quietando. Goccioloni radi venivano giù a tratti da nuvole sciorinate in slarghi d’azzurro. La dottoressa camminava a passo svelto, assecondando la voglia di muoversi delle gambe, scansando le pozzanghere e le auto parcheggiate a casaccio.
Non aveva voglia di infilarsi giù per le scale della metro, di pigiarsi tra la folla brulicante nel sottosuolo. Non aveva voglia di tornare a casa. Del resto, pensò chiudendo l’ombrello, a casa non l’aspettava nessuno. La porta a vetri del bar-gastronomia le rimandò la smorfia consueta delle labbra.
Seduta a un tavolino davanti a un’insalata e una focaccia, si accorse che non riusciva a ricordare il viso di lui. La memoria le riportava solo una foto. Era davanti a un piccolo monumento sul piazzale di una chiesa di montagna, i rossi capelli sulla fronte, il busto di tre quarti, il piede sul basamento di marmo, guardava tranquillo e deciso l’obiettivo. Lei un po’ indietro, composta e sorridente, ma lo sguardo fuggiva di lato, quasi con vergogna. Chi aveva scattato quella foto, e di che si vergognava, infine?
– Così, guarda, metti le mani qui. Stai ferma – Non ci riesco… – Dai, solo il tempo dello scatto – Ancora? – Allarga le gambe – Mi vergogno – Ora fai questa qui, su, girati, è facile – Ma… – Ferma così, ancora una. Che fai, piangi? – Moriva di vergogna sotto l’obiettivo, sotto il suo sguardo asettico e distante. – Va bene, basta, non sei portata – infine con gentile degnazione – sono foto pessime, se vuoi puoi tenerle – Non le voglio.
Stupida. Stupida. Stupida.
Ma anche questa Graziella, non doveva essere poi così diversa: sempliciotta, le pareva, pure lei soggiogata da quell’uomo. Eppure lei era riuscita a prenderselo, a tenerlo per sé – a che prezzo, chissà. O forse invece era stata felice con lui, forse era riuscita a toccargli il cuore, con quel fare garbato da gattamorta…
Con quale fiducia, con quale stanco abbandono, quella donna era venuta a mettersi nelle sue mani! Davvero non sapeva, non immaginava? Lei non aveva bisogno di aspettare il referto istologico per fare diagnosi. Si sprecavano, in reparto, le battute sul suo occhio clinico…
La pioggia era cessata. Si alzò, andò alla cassa a pagare, fu di nuovo fuori, nel traffico che ora si era animato, nel luccicore bagnato del marciapiede. Scese le scale della metropolitana, si tuffò nelle viscere della città, desiderando di essere presto a casa.
sei bravissima Vincenza, una vita, narrata nel tempo di una visita, non solo, un intreccio di esistenze reali e ipotesi possibili.
Un racconto con una geometria elaborata che si regge magistralmente su dialoghi, flash back, e riflessioni.
Un esercizio di una difficoltà pazzesca!! Alla fine anche emozioni , rimpianti..forse no.
Complimenti ma tanti tanti tanti!
Bel racconto 🙂
Grazie Gianluca, i tuoi complimenti mi onorano ????… in effetti non è stato semplice elaborare l’alternanza di dialoghi e flash-back, tenendo d’occhio l’intelligibilità complessiva del testo. Mi auguro di esserci riuscita ????
Grazie, Eleonora 🙂
I punti interrogativi stanno per le faccine…?!
Mi è piaciuto molto il tuo racconto Vincenza. Sei riuscita benissimo ad alternare vicende, sensazioni, scorci sul passato. Tutto scorre perfettamente. Molto bello il contrasto tra l’esame medico e il suo linguaggio tecnico e i sentimenti delle due donne. Uno scavo nelle profondità del corpo della donna e nella memoria al contempo.
Bellissimo racconto! complimenti per il ritmo vivace, il soggetto originale, grande maestria nella narrazione. Brava davvero.
Vincenza, che bella la tua prosa che piove leggera e fresca. Non il buon vento ma la pioggia porta Graziella, e porta notizie e referti che parlano di displasie emotive e neoplasie recenti. Lo hai raccontato benissimo e l’hai fatto sembrare facile ma non lo è affatto. Bravissima.
Fluida ed incalzante narrazione nella quale ben si articola il dialogo temporale tra passato e presente. Acuta capacità di osservazione che non tralascia il sentimento né la matura consapevolezza dell’erranza umana.
Uno sguardo spietato su una storia dolorosa. Complimenti, come sempre.
Vincenza, posso solo farti i miei più sentiti complimenti. Che prosa matura e bellissima, come si allaccia fermamente con le sue fibre di parole ad una storia nostalgica, dal sapore di pioggia urbana. Peccato che questa pioggia non lavi mai via i ricordi del passato. Personaggio bellissimo, quello della dottoressa. Come volteggiano le frasi intorno a lei. Ti auguro assolutamente il meglio per questo concorso!
Molto efficace la trasmissione di tutte le sensazioni che nascono dal tradimento, dall’abbandono e da un vissuto non risolto. Amarezza e rancore induriscono e fanno male soprattutto a chi li prova. Lo stile aiuta e delinea molto bene personaggi e situazioni.
Una storia di vita reale che appassiona il lettore, scritta in modo fluido,
ben articolata la narrazione. Brava!
A Ivana Librici: hai colto in pieno il sentimento che volevo trasmettere. E sì, il corpo delle donne è scrigno di memoria, nel quale si può leggere la vita intera. Grazie 🙂
Grazie a tutti voi per i commenti lusinghieri. Vorrei conoscervi uno per uno nei vostri scritti, vi leggerò tutti con vero piacere, ma mi ci vorrà un po’ di tempo, dal momento che ho soltanto le ore piccole a disposizione per farlo. È entusiasmante far parte di questa piccola comunità di lettori-scrittori raffinati e intensi come voi! 🙂
Vincenza,
il primo aspetto che mi ha stupito è stata la capacità di tessere un serrato “batti e ribatti” tra passato e presente: le due storie si presentano fuse, inscindibili, quasi rami che sporgono da un medesimo ceppo, grazie ad una geometria narrativa e ad una prosa che si avvicinano molto a quelle di scrittori professionisti.
Allo stesso modo, la storia rapisce e disorienta per la sua drammaticità, forza e profondità.
Speriamo che ne “piovano” tanti di racconti così :-).
Bravissima.
Grazie, Lorenzo Guarzarelli. Non sono affatto una professionista della scrittura, sto solo tirando fuori qualche sogno dai cassetti 😉