Premio Racconti nella Rete 2017 “Le variazioni superstiti” di Anna Masucci
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017“Aiuto, non ci vedo più, per piacere, qualcuno mi aiuti!”.
“Amore, calmati. Sono qui, apri gli occhi, guardami. Mi vedi?”.
S. mi abbraccia mentre piango a dirotto. Mi canta all’orecchio No surprises dei Radiohead, la usa come ninna nanna per farmi addormentare quando ho qualche incubo. Chiudo gli occhi e mi lascio andare completamente quando arriva a sussurrarmi con un filo di voce “No alarms and no surprises. Silent, silent…”. La bugia che domattina tutto rimarrà uguale a oggi mi regala l’illusione necessaria per sopravvivere a un’altra notte. Ci vedo ancora, sì, ci vedo ancora. Adesso che ne sono sicura posso chiudere gli occhi.
Io e S. ci siamo conosciuti dodici anni fa, a un suo concerto. Avevo letto di “una giovane promessa del piano”, “un genio” stando a quanto scrivevano i migliori critici musicali. Soprattutto un commento a una sua esibizione mi era rimasto in testa: “Se Glenn Gould avesse potuto ascoltare questa interpretazione de Le Variazioni Goldberg di Bach, avrebbe deciso di non essere più Glenn Gould e forse il Soccombente di Thomas Bernhard sarebbe diventato lui”.
Sono andata a quel concerto da sola. Era il 30 ottobre del 1999. È stata l’ultima volta in cui ho visto un concerto di S. dalla platea, da allora rimango dietro al palco, a guardargli le spalle, come mi dice sempre. “Voglio che mi racconti cosa vedi da qui.”
Lo seguo ovunque, non lo lascio mai. E ovunque mi capita di fare quell’incubo. Sto dormendo quando un rumore mi sveglia, apro gli occhi ma è tutto troppo buio, non riesco a vedere la notte. Tocco aria cercando un interruttore, l’ansia comincia a salire. Accendo la luce ma continua a essere troppo buio. Faccio fatica a respirare, mi alzo, inciampo in una scarpa, in un libro, cado a terra. Mi esce una lacrima ma non riesco a vederla. Tocco un armadio, una poltrona, sento la tenda, mangio buio. Apro la finestra. Non vedo niente. Non respiro, piango, non respiro. Sono diventata cieca. Comincio a urlare: “Aiuto, non ci vedo più, aiuto.” A quel punto mi sveglio respirando a fatica e S. mi abbraccia. Apro gli occhi, riesco a vedere la notte. S. mi calma, mi canta, mi addormenta. Mi restituisce la vista che non ho perso.
Fin da bambina ho paura di diventare cieca, ma dopo aver conosciuto S. la paura si è trasformata in una fobia lancinante e l’incubo non ha abbandonato nemmeno una delle mie notti.
Ho scelto subito di amare S., da quando davanti a una bottiglia di Egly Ouriet mi ha annusato il collo e respirandomi a lungo mi ha detto: “Profumi di malinconia senza scampo. Anch’io sono un superstite. Vuoi sopravvivere con me?” Mi è caduta una lacrima nel bicchiere e lui l’ha bevuta. Da quel momento non c’è stato un attimo in cui l’uno sia sopravvissuto senza l’altro.
Stasera siamo a Salisburgo, nella Grosses Saal del Mozarteum. La Sala è piena. Al centro del palco il pianoforte. S. mi dice “Cosa vedi?” Sbircio dal sipario ancora chiuso: “Vedo due signori sulla settantina, vestiti sfarzosamente. Sono marito e moglie ma non si amano da tempo. Stanno litigando con la maschera perché sostengono di aver prenotato due poltronissime e non i posti scritti sul loro biglietto. In terza fila c’è un bambino che avrà tre, quattro anni, biondo con dei bermuda a quadrettini e i calzettoni fino alle ginocchia, tira i capelli alla sorella più grande. I suoi genitori hanno incontrato una coppia di amici, li stanno salutando e adesso ne iniziano a spettegolare. Poi ci sono due ragazzi sulla trentina, spagnoli, forse andalusi, lei ha un vestitino bordeaux con un taglio anni ’50, capelli castani raccolti in uno chignon spettinato, pelle di pesca e mani di ciliegia. Lui ha i capelli rossi, una giacca di velluto a costine marrone, labbra carnose. Saranno dei tuoi fan che si trovavano in vacanza in città, sembrano simpatici, li invitiamo a cena?”.
Ricompongo il sipario e mi avvicino a S., gli dò un bacio sulle labbra. Lui mi scosta i capelli e annusa il collo, “Guardami le spalle” mi sussurra. Le luci si abbassano, l’accompagno al suo posto, davanti al pianoforte. Lo aiuto a sedersi, appoggio le sue dita sui tasti e ritorno dietro le quinte.
L’occhio di bue gli illumina le mani, posso vederle.
Toccante ,Anna,questa passione che diventa simbiosi estrema che avvolge in un bozzolo sentimenti, sensazioni e paura.
Una vita condivisa, una musica dolce di sottofondo, un amore totale è protettivo.
Bello! Ben scritto, complimenti
Bellissimo, delicato e molto romantico. Bravissima Anna
Anna, il tuo è un frammento bellissimo e intenso. Apprezzo la contestualizzazione musicale e l’energia angosciosa nella rappresentazione della protagonista. Tante emozioni concentrate in poche righe. Complimenti!
Anna, molto bello il tuo breve racconto. Mi ha fatto pensare al Montale di “Ho sceso dandoti il braccio” quando dice: Con te le ho scese perché sapevo che di noi due le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate, erano le tue. Tu racconti la bellezza del reciproco affidarsi.
Ciao Anna,
il tuo stile incalzante riesce a rendere perfettamente la sensazione di panico che deve provare la protagonista durante il sogno.
Sbaglio nel credere che S. sia cieco? In questo caso la naturale paura di perdere la vista verrebbe aggravata dalla responsabilità di dover essere anche gli occhi di qualcun altro.
In ogni caso davvero bello!
Grazie a tutti, i vostri commenti mi rendono felice. Sì, Nicole, S. è cieco. Un saluto a tutti!
Anna,
il tuo piccolo racconto è travolgente, da leggere tutto d’un fiato. Narri una storia dolcissima, tenera, piena di musica e amore. Il punto in cui descrivi gli incubi della tua protagonista è molto forte, rende perfettamente la sua angoscia. Complimenti!
Grazie Carola!
Brava, ben scritto e originale
Grazie mille!