Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2017 “Misterioso omicidio al ristorante” di Akhenaton

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017

Personaggi:

 

  • Amedeo: Proprietario del ristorante. Personaggio molto borioso e sicuro di sé. Sposato con Marta.
  • Marta: Moglie di Amedeo e direttrice di sala. Donna molto sofisticata e affascinante. Ha una storia segreta con Daniele
  • Daniele. Sommelier. Ha una storia da anni con Marta. Ma non rinuncia a fare il galante con altre belle fanciulle.
  • Noemi: Capo Chef. Orgogliosa di essere arrivata così in alto pur essendo giovane. È in competizione con Paolo, che vuole soffiarle il posto ed è geloso di lei.
  • Paolo: Secondo Chef. Maschilista e arrogante. E’ geloso di Noemi e mal sopporta un capo donna.
  • Laura: Aiuto cuoca. Sempre sorridente ha un carattere molto accomodante, e cerca di conciliare le frizioni tra Noemi e Paolo.
  • Agata: Cassiera. Sa sempre tutto di tutti – e ama il pettegolezzo. Si considera una donna fatale, anche se in genere gli uomini non condividono questa sua opinione.
  • Margherita: Responsabile degli acquisti. E’ sempre di corsa, divisa tra le mille responsabilità del lavoro e la famiglia.
  • Marcello: Cameriere e inguaribile pettegolo. Noto anche però per la sua grande bontà.
  • Hiro: Cameriere giapponese. Molto preciso e noto per le sue mille fissazioni e stranezze.

 

 

Il corpo giaceva nudo, adagiato sul tavolo grande di cucina, su un letto di rucola in un enorme vassoio ovale di silver plate che abitualmente era utilizzato per le grandi presentazioni di carni o selvaggina nelle cene importanti. Era stato disteso a bocconi, con la testa appoggiata sul bordo del vassoio, girata da un lato. Tutto il corpo, un corpo grasso e flaccido, glabro per natura, era stato legato con lo spago bianco utilizzato per legare il roast beef o altre carni e cosparso di sale, pepe, olio extravergine di oliva ed erbe aromatiche come alloro, bacche di ginepro e abbondante rosmarino, due rametti del quale erano stati inseriti anche sotto le ascelle. Anche le braccia erano state legate, allo stesso modo, lungo il corpo. Le gambe sporgevano, quasi interamente dal vassoio e poggiavano direttamente sul tavolo di cucina. La bocca era tenuta spalancata da una mela che era stata incastrata a forza fra le due arcate dentarie. Gli occhi, ancora spalancati conferivano al volto un’espressione di stupore e di incredulità. Il forchettone a due punte che di solito veniva usato per estrarre il bollito dal brodo di cottura era conficcato profondamente nella schiena Altre ferite nella schiena indicavano che vari colpi erano stati inferti con il forchettone, prima che questo venisse piantato definitivamente in mezzo alle scapole. Sotto il corpo si era creata una pozza di sangue, ormai raggrumato, fuoriuscito dalle ferite della schiena del povero Amedeo.

Era stata Laura, l’aiuto cuoca, ad entrare per prima, verso le 10.00 nel ristorante e nella cucina ed aveva fatto la macabra scoperta. Laura aveva un carattere molto dolce ma era anche molto forte e determinata e, soprattutto, molto razionale. Superato lo sgomento iniziale e il disgusto per quella scena insolita per la cucina di un ottimo ristorante “nouvelle cuisine”(se non altro per il fatto che le porzioni erano di solito assai meno generose di quella che era sotto i suoi occhi), Laura incominciò a valutare la situazione.

Marta, la moglie di Amedeo, abitava al piano superiore. Gli altri sarebbero arrivati tutti di lì a pochi minuti per iniziare i lavori di giornata. L’alternativa era: o chiamare subito la polizia o cercare di capire subito, nel più breve tempo possibile, chi poteva aver commesso il delitto fra tutti quelli che abitualmente gravitavano attorno all’attività del ristorante. Di questo era certa, l’assassino doveva essere fra i familiari o fra i collaboratori di Amedeo: era più che un semplice presentimento. Inoltre Amedeo era un uomo che faceva di tutto per rimanere antipatico, con quella sua aria di superiorità e i suoi modi villani. Il rapporto con Marta si era incrinato da anni. Tutti sapevano che Marta aveva una relazione segreta con Daniele, il sommelier, che l’aveva conquistata con le stesse dolci frasi con le quali descriveva ai clienti tutti i pregi di un vino d’annata.

Mentre meditava sul da farsi, i colleghi di lavoro incominciavano ad arrivare. Quando vide Daniele, Laura gli chiese di chiamare la signora e farla scendere, perché era successa una cosa gravissima. Dopo pochi minuti Marta scendeva, accompagnata da Daniele, mentre tutti gli altri erano ormai arrivati al lavoro. Laura li invitò a trattenersi un attimo nell’atrio del ristorante. Quando ebbe la loro attenzione disse gravemente: “Questa notte è successo un fatto orribile: il signor Amedeo è stato assassinato, di là, in cucina!”. A queste parole Marta lanciò un grido e fece l’atto di precipitarsi  verso la cucina, ma Daniele la trattenne. Gli altri rimasero impietriti guardandosi l’un  l’altro negli occhi con espressioni piene di stupore. Si, stupore, ma Laura non colse in quegli sguardi il senso del dolore, né tanto meno della disperazione. Evidentemente Amedeo non era amato.

“Non è tutto”, continuò Laura, “il corpo è stato sottoposto ad un ulteriore spregio. E’ stato preparato con cura, come se dovesse essere cucinato!”. Gli sguardi si fecero ancora più stupiti, qualcuno ripeteva l’ultima parola di Laura: “cucinato?”. Marcello, il cameriere, apparve sinceramente dispiaciuto, ma con un lampo di curiosità negli occhi, chiese: “Ma chi può aver fatto questo?”. “Non lo so” , rispose Laura, “ma credo che l’assassino o gli assassini siano qui in questo momento”. “Qui? Non è possibile!” mormoravano gli altri guardandosi nuovamente negli occhi, ma in tutti loro (o meglio in quasi tutti) incominciava a farsi strada l’idea che Laura dicesse la verità e lo sguardo di stupore si trasformò in un istante in sguardo inquisitore.

Laura, riprese, lentamente il discorso: “Entreremo in cucina, un po’ alla volta, facendo attenzione di non toccare niente. Mi aspetto che prima di chiamare la polizia l’assassino confessi il suo crimine, in modo tale da evitarci inutili fastidi e interminabili interrogatori”.

I primi ad entrare con Laura furono Marta e Daniele che la sosteneva. Quando furono entrati Laura chiuse la porta dietro di sé. Marta, vista la scena, chiuse istintivamente gli occhi e si voltò, nascondendo la faccia contro il petto di Daniele, che invece mantenne il suo sguardo fisso sul cadavere di Amedeo. Anche Marta, dopo alcuni secondi, si voltò molto lentamente e guardò Amedeo. Lo spettacolo era allucinante, provava orrore ma, nonostante tutto, non riusciva a provare quel dolore che sarebbe stato logico provare di fronte al marito morto e a quella messa in scena feroce. Il suo matrimonio era finito da anni. Amedeo, così pieno di sé, così egoista, tutto preso dalla sua attività e dalle innumerevoli relazioni extraconiugali che avevano costellato quei venti anni di convivenza, ormai per lei non rappresentava più niente. Aveva ritrovato in Daniele un po’ di interesse per la vita. Ne era stata affascinata, fino dai primi momenti che aveva iniziato a lavorare nel ristorante. L’aveva sentito parlare con i clienti e decantare con parole dolci e suadenti i caratteri organolettici dei vini che si accingeva a servire. Parlava di vini corposi, eterei, evanescenti, generosi, rotondi, speziati, fruttati e le sembrava quasi che quegli aggettivi fossero rivolti a lei. La loro relazione si trascinava da anni. Tutti ne erano a conoscenza, eccetto Amedeo che, nella sua presunzione, non poteva immaginare neppure lontanamente di poter essere tradito, o forse anche lui sapeva ma non gliene importava molto. E ora, vedere il marito disteso su un vassoio di portata, così legato e “condito” a dovere, la faceva quasi sorridere in cuor suo. In fondo era quello che si era meritato.

Daniele sembrava turbato nel guardare Amedeo, o almeno questa era l’impressione che ne ebbe Laura. In realtà non riusciva a togliersi dalla mente un pensiero assurdo: uno di quei pensieri che ti vengono, all’improvviso, in situazioni che dovrebbero richiamare tutt’altro alla mente. Cercava di ricacciarlo nei neuroni più nascosti del suo cervello, ma questo riemergeva prepotentemente: quale poteva essere il vino più adatto per “quel” tipo di piatto? Dopo qualche tentativo di rimozione, decise di dare una risposta a quella domanda che, altrimenti, si sarebbe ripresentata con insistenza. Ebbene, era carne rossa, non c’era alcun dubbio e al sangue, era evidente, drogata con saporite erbe aromatiche mediterranee. Sì, un bel Brunello, sufficientemente ossigenato per qualche ora in decanter, sarebbe stato ideale!

Girarono attorno al tavolo e videro il volto di Amedeo. Marta trasalì: quella bocca forzatamente spalancata e soprattutto quegli occhi sbarrati che sembravano voler dire qualcosa.

Laura pensò che Amedeo probabilmente era morto per quelle ferite sulla schiena, ma prima doveva essere stato stordito o narcotizzato, per poter essere prima sottoposto a tutta la fase preparatoria. I tre uscirono dalla cucina e ritornarono dagli altri.

Laura chiamò Noemi e Paolo. Erano i due che lei conosceva meglio perché lavorava tutti i giorni alle dipendenze di entrambi. Era noto a tutti che i due non si sopportavano. Avevano iniziato a lavorare nel ristorante di Amedeo più o meno nello stesso periodo. Era immediatamente iniziata fra i due una vera e propria guerra nella quale ognuno cercava di prevalere. Sapevano che c’era in ballo la nomina del Capo Chef e ognuno ambiva a quel posto. Le discussioni fra i due in cucina erano continue e Laura doveva fare i salti mortali per cercare di tenerli a freno e di trovare un punto d’incontro, ma non sempre ci riusciva. Erano loro che ideavano i nuovi piatti che poi erano sottoposti ad Amedeo il quale dava il suo assenso, suggerendo (o meglio, ordinando, come era nel suo carattere) eventuali aggiunte o varianti. Nessuno dei due stimava Amedeo ma erano costretti a compiacerlo per realizzare il loro obbiettivo di diventare Capo Chef. Una volta Paolo aveva creato un piatto di carne di manzo brasata che accompagnava con verdure fritte di stagione, fra cui fiori di zucca. Noemi suggerì di inserire nei fiori di zucca un piccolo filetto di alici, ma Paolo rifiutò decisamente. Noemi era una sarda professionalmente molto preparata, ma testarda e permalosa. All’insaputa di Paolo riempì i fiori di zucca di filetti di alici, in quantità tale da renderli immangiabili. Alla prova dell’assaggio di Amedeo successe il finimondo. Riuscirono a stento a separarli. Quando Noemi fu nominata Capo Chef, per Paolo fu una grande delusione. Gli scontri accesi diminuirono ma non le tensioni.

Paolo guardò a lungo il cadavere di Amedeo e poi, rivolto a Noemi, disse con tono acido: “Che ci volevi preparare, il “porceddu” sardo?” E Noemi, ancora più tagliente: “Pensavo che fosse la tua ricetta della “porchetta” alla maremmana!”. Laura decise di farli uscire: non ne avrebbe ricavato molto di più. Girarono attorno al tavolo di cucina e Laura rivide ancora una volta quegli occhi sbarrati: era una sguardo fisso, ma non spento, rivolto verso l’alto in modo innaturale (se si può parlare di modo naturale per un morto ammazzato disteso e guarnito su un vassoio di silver plate). Laura aprì la porta e i tre ritornarono dagli altri.

Ora era la volta di Agata, la cassiera e di Margherita, la responsabile degli acquisti.

Appena Laura aprì la porta Agata si precipitò dentro in preda ad una curiosità morbosa di vedere. Era indispettita dal fatto che non era entrata fra i primi e che aveva dovuto attendere il suo turno, accontentandosi di mezze frasi dette da chi usciva dalla cucina. La cosa la faceva impazzire. Avrebbe potuto poi raccontare a mezzo mondo quello che avrebbe visto, ricamandoci sopra un sacco di deduzioni e di fantasie per rendere ancora più interessante il racconto. Non capita tutti i giorni di trovarsi coinvolti in un delitto. Avrebbe pagato qualunque cosa pur di  avere l’esclusiva. Appena entrata cercò di guardare con attenzione ogni particolare, muovendosi lentamente per la cucina per non farsi sfuggire niente che potesse servirle nei resoconti. Forse, pensava, le avrebbero richiesto anche qualche intervista e doveva essere pronta.

Margherita era molto più frettolosa. Era abituata a destreggiarsi tra mille impegni e pur riuscendo a fare tante cose, aveva perso un po’ la capacità di concentrarsi sulle cose. Così guardava qua e là molto distrattamente mentre girava un po’ a caso nella stanza.

Agata, ad un certo punto, disse: “Povero Amedeo. Non avrei mai pensato di vederlo ridotto così. Non era quello che si dice un brav’uomo, ma gli ero affezionata. Se non altro per la corte spietata che mi aveva fatto qualche anno fa”. E così dicendo, si sistemò un ciuffo di capelli ribelle. Le altre due si guardarono come per dire: “Ci risiamo!” “Eh sì” continuò Agata “Amedeo aveva proprio preso una sbandata per me. Ma io lo rifiutati e lui dovette accontentarsi della signora Marta. Lei, in seguito, l’ha saputo e non mi ha più potuto vedere”.

In quel momento squillò il cellulare di Margherita. Lei rispose subito, imbarazzata. Era sua suocera che, con voce petulante, le chiedeva che cosa doveva preparare per pranzo. Margherita fece qualche tentativo per farle capire che quello non era il momento ma la suocera continuava imperterrita ad elencare tutte le alternative possibili al menu di mezzogiorno. Infine l’arzilla vecchietta le disse che forse la cosa migliore sarebbe stata fare quel bel pezzo di carne di manzo che aveva in frigo; avrebbe potuto legarlo bene e insaporirlo con erbe aromatiche, olio, sale e pepe … e tutto questo mentre Margherita stava osservando il corpo di Amedeo. La poveretta ebbe un conato di vomito e chiuse di colpo il telefono, cercando piano, piano di riprendersi. Fu allora che girando dall’altra parte del tavolo vide, quasi per caso, una cosa strana e chiamò Laura. Vicino al bordo del vassoio, all’altezza del busto di Amedeo, c’era sul tavolo di marmo bianco una specie di scritta rossa. Sembrava scritta con il sangue di Amedeo. La scritta iniziava con qualcosa di illeggibile, poi si distingueva una A, poi una R e una T. Per ultimo c’era l’inizio di un’altra lettera con una lunga sbaffatura verso il basso.
Laura vide che il braccio destro di Amedeo era libero dai lacci e il dito indice della mano era ancora macchiato di sangue, il suo stesso sangue. Laura pensò che Amedeo era stato trafitto più volte dal forchettone. L’assassino se ne era andato, credendolo morto. Cessato l’effetto della narcosi e prima di morire veramente era riuscito a liberare un braccio, anche se non l’avambraccio e, seppure in condizioni disperate, era riuscito ad intingere il dito nel sangue che era uscito dalle sue ferite e a scrivere quella traccia che lui riteneva evidentemente importante per individuare il suo assassino.

Agata si avvicinò a guardare, un po’ indispettita perché era stata Margherita e non lei ad accorgersi della scritta. “Marta! E’ stata Marta!” esclamò. Laura le fece cenno di tacere e la invitò a non farne parola con gli altri. Ma sapeva che sarebbe stato impossibile!

Uscirono dalla cucina. Rimanevano ora soltanto Marcello e Hiro, il cameriere giapponese.

Erano i due camerieri del ristorante. Professionalmente molto capaci ma erano l’uno l’opposto dell’altro. Nessuno dei due aveva un buon rapporto con Amedeo che non perdeva occasione per maltrattarli di fronte ai clienti. Marcello riusciva a prendere la cosa in tono scherzoso. Aveva un buon carattere, molto gioviale e aperto e la battuta facile, così che riusciva a strappare ai clienti la confidenze più intime e imbarazzanti che, naturalmente, poi andava a raccontare a tutto lo staff del ristorante. Tutti si ricordavano di quando un anziano cliente si raccomandò in segreto di servirgli piatti particolarmente afrodisiaci, perché avrebbe dovuto dimostrare, nel dopo cena, tutte le sue doti amatorie. Fu allora che Marcello inserì nei Vol au vent all’aragosta una pillola di Viagra. Quando il cliente ritornò a cena la volta successiva lasciò una mancia da nababbi, ammiccando soddisfatto a Marcello. Hiro era invece un altro genere. Sempre molto serio, preciso al limite del maniacale, permaloso; mal sopportava infatti gli scherzi che ogni tanto Marcello gli faceva. Una volta, ad un tavolo, c’erano un anziano tutt’altro che bello e un’avvenente signorina, più giovane di lui di circa quaranta anni. Marcello, con il suo savoir faire riusci a fare ordinare ai due, esattamente i due piatti di pesce che aveva in mente: gallinella per lui e scorfano per lei. Si trattava per l’esattezza di “filetti di gallinella in salsa agrodolce, con concassée di pomodorini e julienne di zucchine” e “brodetto di scorfano mediterraneo alle erbe provenzali”. Poi mandò il povero Hiro a servire. Hiro, si avvicinò al tavolo e disse: “Qui abbiamo la gallinella per il signore e lo scorfano per la signorina”. “Non faccia lo spiritoso, giovanotto o la faccio rimandare subito in Cina!”, rispose risentito l’anziano signore. Oltre agli scherzi, Hiro non sopportava essere scambiato per un cinese. Così, rientrò in cucina come una furia e trovò Marcello e tutto lo staff che ridevano a crepapelle. Ci volle un bel po’ a calmarlo.

Anche questa volta i tre fecero un giro per la cucina. Girarono attorno al cadavere di Amedeo e neppure in questa occasione Marcello perse il suo senso dell’umorismo. “Ti ricordi?” disse, rivolgendosi a Hiro, “quando ci diceva: ‘se qualche cliente non è soddisfatto del vostro servizio, vi cucino io per le feste!’ E guarda un po’ chi è finito condito e quasi cucinato!” Hiro gli lanciò un’occhiata furibonda ed emise, fra i denti, frasi gutturali e nasali nella sua lingua d’origine che non avevano l’aria dei complimenti. Laura non potè, ancora una volta, evitare di incrociare quegli occhi sbarrati e di percepirne ancora lo stesso senso di disagio, di qualcosa che avrebbe dovuto capire ma che non riusciva a capire.

Quando rientrarono dagli altri, Agata aveva naturalmente già raccontato tutto della scritta. Laura lo capì subito perché Marta, seduta sul divano continuava a ripetere, disperata: “No, non sono stata io, non sono stata io …”

Laura rifletteva e pensava che, nonostante che nessuno dei presenti amasse particolarmente Amedeo, apparentemente nessuno aveva una ragione specifica che poteva aver scatenato un omicidio e una messa in scena così cruda (l’aggettivo era quanto mai calzante, perché era proprio la cottura che mancava al povero Amedeo n.d.r.). Doveva esserci un’altra ragione sconosciuta, ma a questo punto, soltanto la polizia avrebbe potuto sciogliere il nodo. La cosa le seccava un po’. Aveva letto e visto tanti “gialli” in cui innocue signore, come la Signora Marple, erano riuscite a risolvere trame molto intricate e situazioni in cui la polizia brancolava nel buio. E lei, invece, doveva, arrendersi.

Fu in quel momento che, dal capannello dei presenti che parlavano animatamente, citando episodi personali  e ricordi di Amedeo, furono pronuciate, non si sa da chi, alcune parole: “…diceva sempre: è la Bibbia dello chef italiano …”. Quelle parole furono percepite da Laura, come una mazzata. In poche frazioni di secondo si innescò quasi automaticamente un processo mentale, un ragionamento che la fece trasalire.

Disse agli altri: chiamate la polizia, torno un attimo di là.

Rientrò in cucina, si chiuse la porta dietro le spalle, girò attorno al tavolo e guardò con attenzione la scritta fatta da Amedeo con il sangue. Il viso di Laura si illuminò di soddisfazione. Poi guardò di nuovo lo sguardo di Amedeo. Era chiaramente rivolto in alto verso la parete che stava di fronte alla porta di ingresso, quella che costituiva la biblioteca degli chef. Seguì lo sguardo di Amedeo: indicava il penultimo scaffale in alto. Scorse rapidamente le costole dei volumi, fino a quando non lo trovò. Era “L’arte di mangiar bene” di Pellegrino Artusi. Era quello che Amedeo aveva voluto indicare con la scritta. Quei segni incerti, zigzaganti, prima della “A” che potevano sembrare una “M”, in realtà erano stati causati dalle difficoltà di Amedeo nell’iniziare a scrivere in quelle condizioni, parzialmente legato e pochi minuti prima di esalare l’ultimo respiro. Anche l’ultimo segno, incompleto, non poteva essere una “A”, l’ultima lettera di Marta, perché questa lettera era abbozzata partendo dall’alto, mentre la prima “A” non poteva essere stata fatta iniziando con due tratti obliqui partendo dall’alto. Date le condizioni e l’impossibilità di Amedeo di poter vedere quello che stava scrivendo, difficilmente i due tratti avrebbero potuto essere perfettamente congiunti; avrebbero dovuto essere staccati o incrociati. Era invece l’inizio di una “U”, rimasta incompleta per la sopraggiunta morte di Amedeo.

Laura sfogliò rapidamente il libro che Amedeo definiva spesso, appunto, la Bibbia dello chef italiano, e, quasi nel mezzo trovò una busta indirizzata proprio ad Amedeo che aveva come mittente una certa Elena Bianchi, Via Cairoli, 8 – Grosseto. Dentro c’era una lettera che Laura lesse rapidamente. Poi, aprì la porta di cucina e tornò dagli altri.

Lentamente, porse la lettera a Paolo che, alle prime righe, sbiancò in volto. La lettera era questa:

 

“Caro Amedeo,

sono ormai vicina alla fine. So che hai cancellato da tempo il ricordo di me e di tuo figlio, quel figlio che non hai mai voluto riconoscere. Ci hai abbandonati prima della sua nascita per seguire il sogno della tua vita, il tuo lavoro. Per te noi eravamo soltanto un intralcio. Anche per me il tempo è passato e sono ormai  sfumati tutti i rancori e i risentimenti.

Con grande sacrifici, anche a prezzo della mia salute, sono riuscita, da sola, a crescere il nostro Paolo e a farlo studiare. Ben presto aveva manifestato anche lui grande interesse per la cucina e così decise di seguire la scuola alberghiera. In pochi anni è diventato aiuto Chef e credo che sia molto capace.

Sarebbe una grande consolazione per me, prima di morire, sapere che lavora con suo padre.

Ti prego di esaudire questo mio ultimo e unico desiderio.

                                                                                                                  Elena”

 

Paolo finì di leggere. “E con questo?”. “Non è tutto” lo interruppe Laura. Amedeo, tuo padre, ci ha voluto lasciare l’indizio per individuare l’assassino. Poteva scrivere semplicemente “Paolo” ma nessuno avrebbe capito il rapporto che esisteva fra voi due e tu avresti avuto mille modi per scagionarti; invece ha voluto anche darci un’ indicazione del movente, la vendetta: ed è contenuto in questa lettera che aveva riposto nell’Artusi. La scritta col sangue indicava appunto Artusi e non Marta, come poteva sembrare.

Paolo apparve molto turbato. Poi, con calma assoluta disse: “Ha avuto ciò che meritava. Ci ha abbandonati, ha ucciso mia madre costringendola ad una vita di sacrifici e di privazioni. Poi ha accettato che lavorassi nel suo ristorante ma non mi ha mai risparmiato una critica ed infine ha preferito Noemi a me per il ruolo di Capo Chef. Non so perché, ma mi odiava, come odiava mia madre. Finalmente ho potuto cucinare un piatto senza che lui potesse distruggerlo con le sue perfide critiche. Sono fiero di ciò che ho fatto”.

In quel momento, si sentì una sirena e suonò il campanello: la polizia. In un balzo, Paolo raggiunse la porta di cucina ed entrò e si chiuse dal di dentro.

Quando la polizia sfondò la porta trovò Paolo riverso sul corpo di suo padre. Aveva preso il coltello più affilato, quello che usavano per preparare il “sushi” e si era tagliato la gola con un colpo deciso.

Il sangue defluiva lento dalla ferita e andava a mischiarsi con il sangue di Amedeo.

Si era ricreata, “post mortem” quella consanguineità così drammaticamente rifiutata in vita.

                                                                                              F I N E

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8 commenti »

  1. Ho “gustato” fino all’ultima parola questo piccolo gioello letterario. Le descrizioni sono così precise che sembra di poter visualizzare la scena, i caratteri dei personaggi sono ben delineati. Nulla e’ lasciato al caso, ciò nonostante il finale è tutt’altro che scontato. Il tutto risulta ben condito da una buona dose di humor.. le descrizioni dei piatti sono degne di uno chef! Ti piace cucinare per caso?

  2. Anch’io mi associo a Laura. Racconto perfetto e molto divertente nonostante la situazione. Molto ben congeniato. Gustoso e appetibile. Bravo.

  3. Grazie Laura. Da cosa hai capito che mi piace cucinare? 🙂
    Se sono riuscito a renderti appetibile anche “quella portata” descritta nel racconto, ho fatto veramente un miracolo!

  4. Grazie Dominique! Gustoso e appetibile? Aggettivi perfetti, assolutamente in tema con la storia

  5. Ho letto il tuo racconto attirata più dal tuo nome (de plume?..sì, certo, ovvio) che altro.E di egiziana memoria e quindi un po’ pauroso e misterioso come vuole la tradizione.Invece ho trovato un raccontino alla ‘Assasinio sul Nilo’ della mia amata Agata, ed anche ricco di humour noir.Mi ha inoltre ricordato un film di qualche annetto fa , dove tutti i grandi chef vengono assassinati.Piacevole e carino solo che….qual è la ricetta che l’assassino si apprestava ad eseguire? Cercata sull’Artusi della mia cara nonna, ma non l’ho trovata.Sai com’è , può essermi utile…

  6. Grazie per il commento, Laura. Solo l’assassino avrebbe potuto dare la giusta risposta ma purtroppo si è portato il segreto nella tomba. Azzarderei una porchetta sullo stile di Ariccia oppure un porceddu sardo, ma in un racconto misterioso non si può raccontare proprio tutto …

  7. I personggi sono molto ben definiti, traspare con evidenza l’anima di ognunoo di loro e il colpo di scena finale è davvero adatto alla vita costellata di tradimenti di Amedeo!

  8. Grazie Nicole. Mi consola il fatto di essere riuscito a caratterizzare almeno un po’ i personaggi che in un racconto così breve erano veramente tanti, forse troppi.

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