Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2017 “L’ospite di se stessa” di Giada Tommei

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017

I maestosi palazzi della città trasudavano, quella mattina, le gocce dell’acquazzone imperversato la notte precedente. Frida, appena alzata, si avvicinò furtivamente alla finestra. Aveva sempre un certo timore ad aprire le tende: era come se pensasse che i passanti fossero fermi col naso all’insù, aspettando famelicamente di scorgere un qualche particolare della sua vita privata. Dopo un iniziale attimo di esitazione, constatando che la folla di dita puntate non era che l’ennesima maniacale fantasia gettava fuori dal minuto corpo tutto il fiato trattenuto.  Pochi minuti seguenti, l’acqua gelida del pregiato lavandino lavava accuratamente dal suo viso la paura mattutina;  la sua voce, ancora leggermente rauca mentre si augurava il buongiorno davanti lo specchio, si sperdeva come un urlo silenzioso tra le pareti di un desolato canyon. Era sempre l’unica ed imperterrita ospite di se stessa. Frida era bella e ancor di più lo era in passato, prima di quei frequenti ricorsi alla chirurgia plastica. Non vi erano in lei rughe né imperfezioni: era una delicata natura morta di botulino nata dalla mano del miglior pittore. Frida era la donna più misteriosa della città:  non si era mai fatta vedere insieme a nessuno, aggirandosi per le strade solo se strettamente necessario uscendo dalla metropolitana con la testa rivolta verso il pavimento.  I suoi capelli , lunghi, lisci e neri come l’ebano, incorniciavano un paio di labbra gonfie e volutamente pallide che la facevano sembrare una di quelle fatiscenti residenze signorili dagli infissi troppo moderni. Dopo vari e capricciosi rimpolpamenti, la sua bocca era diventata così grande da aver irrimediabilmente compromesso anche gli zigomi , i quali a loro volta spingevano sui lati esterni degli occhi rendendoli piccoli e sottili come un orientale ingrassato in fretta.  Il seno, fiero e rotondo, sfruttava così sapientemente le leggi della chimica da sfidare ancora la forza di gravità nonostante i 59 anni.  Frida era il classico esempio di come, a volte, la bellezza diventa così ingorda da trasformarsi nel suo esatto contrario. La sua figura costituiva un controsenso a dir poco affascinante: spendere tutto quel denaro in vistosi rifacimenti per poi passare il tempo a nascondersi.  Si diceva in giro che un tempo fu buona ma che poi un giorno, improvvisamente, cominciò ad ergere grosse mura intorno al suo minuto corpo.  Non a caso, la maniacale attenzione all’aspetto fisico era un vero e proprio scudo verso l’esterno:  grazie alla sua maschera di perfezione riusciva infatti a catalizzare l’attenzione solo sulla superficie, proteggendo così il suo fragile, triste e spaventato mondo interno. Per molti anni il gioco si rivelò vincente : Frida divenne un’ambita, sognata e desiderata sfinge meravigliosa. Tutti volevano sapere della sua vita: entrarci dentro, annusarne  l’essenza, scoprine i segreti. Eppure, la donna non ricambiava sorrisi, non sosteneva sguardi e non aveva nessun interesse nei confronti di qualsiasi altro essere umano: era la specialista della glacialità, una laureata ad honorem di indifferenza. Ma erano proprio queste caratteristiche ad aumentare quella densa, insanabile e succulenta aurea di fascino. La sua bellezza, seppur sepolta sotto strati di volontaria sala operatoria, era davvero palpabile. Eccola, è passata anche oggi, bisbigliavano sorpresi i commercianti della zona: come se ogni giorno si aspettassero di vederla morire, come se il suo essere schiva non le desse il diritto di rimanere in vita.  Eppure, Frida era dolcezza, sensibilità e amore:  sotto i suoi pallidi zigomi vi era il residuo degli affetti andati e dentro le sue polpose labbra riposavano tutti i baci non dati che mai si dimenticò. Frida era diversa, ma non per questo voleva morire: non ci aveva mai pensato. Se solo non avesse avuto così paura di esser ferita, se solo si fosse fidata anche solo una volta di quella vita che ogni giorno l’attendeva, tra il cielo azzurro oltre la torre. Il portone della sua abitazione veniva serrato con cura ogni sera, alle 19.00 in punto. Mano a mano che le voci della città si abbassavano, tirava un sospiro di sollievo e dall’alto del suo appartamento si rifugiava in  libri, scritti e film creandosi una realtà tutta sua. Nessuno veniva disturbato, nel mondo segreto di Frida: solo i fantasmi del passato le cui mani non avevano avuto il coraggio di afferrare. Ogni sera, prima di andare a letto, Frida prendeva un grande respiro e, incoraggiata dalla lieve musica classica che irradiava la stanza come un miagolio stanco,  apriva le braccia.  Il suo corpo, esile ma solido con i piedi nudi ben attaccati al parquet, sembrava un cristo benevolo che accetta di buon grado la sua croce: le sue braccia si allargavano più che potevano,  mentre un mezzo sorriso trionfava finalmente agli angoli della sua carnosa bocca. Chiudendo gli occhi, Frida immaginava davanti a se la figura di qualcuno con cui avrebbe voluto parlare, ridere, mangiare, correre, viaggiare, scherzare o fare l’amore;  visualizzava tutti quegli individui che avrebbe voluto come amici, amiche, compagni o figlie ma dai quali mai si era lasciata avvicinare. La testa di Frida era un cimitero di personaggi ancora vivi che sognava di notte ma allontanava di giorno: una nave fantasma, un paese abbandonato che vive solo nella fantasia di chi lo pensa.  La sua testa si piegava leggermente, come se la bellezza che vi risuonava dentro in quei momenti fosse così pesante da costringere il collo ad una piega naturale; con le palpebre ancora chiuse e le spalle aperte come la gabbianella che impara a volare, Frida iniziava il lento stringere delle braccia verso se stessa. Con le palpebre serrate e i palmi aperti verso l’infinito appena sopra i suoi fianchi, iniziava una dolce e soave danza. L’aria che accarezzava era colma di speranza, vitalità, desiderio: era sudata come un amante dopo un’ora d’amore, frizzante come lo stomaco di chi si prepara ad una serata di vino dopo una brutta giornata.  Con Bach in sottofondo, gli arti superiori iniziavano lentamente a roteare su se stessi mentre le falangi allargavano spontaneamente lo spazio tra loro piegandosi un poco verso l’interno delle mani.  Al muoversi dei polsi corrispondeva un melodioso inclinarsi degli avambracci. I gomiti si allargavano verso l’esterno, per rendere ancor più ampio lo spazio di accoglienza; mano a mano che le braccia le si avvicinavano al petto sentiva una tremenda emozione al basso addome, che risuonava come un tamburo aborigeno dal pube alla bocca dello stomaco per poi fluire rumorosamente fuori dalle narici. Era una morsa di bellezza, paura, tristezza, allegria, depressione, vitalità, sregolatezza, amore, perversioni, affetto, bugie, ferite, sensualità e gioia. L’aria veniva stretta, avvicinata, riscaldata ed inglobata per poi tornare all’universo carica di tutto ciò che componeva Frida. Nel suo ventre crescevano i figli mai nati, nel suo petto poggiavano tutte quelle teste che mai aveva avuto il coraggio di carezzare e tra le cornee riflettevano tutti quei visi ai quali avrebbe voluto urlare: “va bene!”. Era un rituale sacro, un segreto profondo, un momento di imprescindibile tenerezza dove la solitudine si faceva meno amara:  alcuni minuti di rinnovate promesse che sarebbero puntualmente svanite una volta spento il vecchio giradischi.  E così, fuori da quel profondo abbraccio, non le rimaneva che quello gelido e marmoreo del vecchio, imponente e robusto Anfiteatro. Finché lo avesse voluto, finché non sarebbe cambiata.  Finché, un giorno, non avrebbero smesso di bisbigliare Eccola, è passata anche oggi.

 

 

 

 

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9 commenti »

  1. Mi ha colpita la tua protagonista. Tema molto attuale della chirurgia estetica, dell’ apparenza, del sembrare giovani a tutti i costi. Che tristezza, che malinconia, che spreco. Frida genera compassione ma anche tenerezza, come fosse vittima dell’epoca che stiamo vivendo. Così sola. Quel rito poi della sera, quando ridiventa una persona piena di calore, di emozioni e di sensazioni, di amore e di affetto, commuove. Una curiosità : Frida -frigida-glaciale o è una mia elucubrazione?

  2. Giada,

    hai dipinto alla perfezione il germe della dipendenza da chirurgia estetica, la fobia di rincorrere una sembianza che, in realtà, mai sarà abbastanza appagante e la dolce anima di Frida che, forse perché troppo sensibile e vulnerabile, non si vede allineata alle forme di cui Madre Natura l’ha dotata.

    E poi affronti con tatto la solitudine, quella gabbia rugginosa in cui la gente,benpensante, riesce a ghettizzare chi vede diverso, vuoi per qualche ritocco di troppo, vuoi per qualsiasi altro futile motivo.

    Fino a dire “eccola è passata anche oggi”.

    Emozionante, diretto, scritto benissimo.

    Bravissima.

  3. Giada, di nuovo Lorenzo, con il suo commento, ha fatto centro. Che posso aggiungere? forse che in Frida si può leggere tutta la paura che il mondo suscita in chi lo sa guardare al di là del giudizio e del pregiudizio.

  4. Ho letto il tuo racconto, scritto davvero molto bene e non ho potuto fare a meno di pensare alla ” vecchia imbellettata ” di Pirandello e al suo sentimento del contrario. La sua vecchia imbellettata che suscita ilarità e che non accetta lo scorrere del tempo e la tua misteriosa Frida con le labbra a canotto …un secolo di differenza…eppure…entrambe sconfitte dall’ insicurezza..Bravissima Giada

  5. Grazie mille a voi tutti! Dominique, il nome Frida l’ho scelto proprio riferendomi alla celebre pittrice messicana. I suoi colori e la sua allegria ben contrastano con l’animo glaciale di Frida: che poi, nell’intimo della sua abitazione, dimostra di non essere, in fondo, così distante dalla vitalità.
    Frida è sì una vittima dell’insicurezza, ma è anche una persona che liberamente sceglie come essere, incontrando disparati giudizi da parte della gente “normale”.
    Gloria: è vero, la “vecchia imbellettata” che “non prova forse nessun piacere a pararsi così come un pappagallo” la ricorda alquanto!
    Grazie ancora a tutti!

  6. Giada, hai una notevole abilità descrittiva, e si vede la finezza nella scelta dei termini. L’argomento è attuale, ma si trasfigura in una problematica esistenziale. Mi unisco anch’io al coro degli elogi: davvero complimenti!!

  7. Bel racconto, suggestivo e delicato come un quadro impressionista ????

  8. I ??? stavano per 🙂
    Le emoticon non vengono riconosciute evidentemente 😛

  9. Giada il tuo racconto mi ha colpito molto, una descrizione straordinaria di una donna sopra ogni limite, una meticolosa opera di conservazione di solitudini amatissime e orribili.
    Un amore esclusivo oltre ogni frontiera, mi ricorda il dolore autoinflitto per glorificare un dio che amiamo in questo caso come noi stessi perché noi siamo il dio al quale fare sacrifici sull’ altare della bellezza ,immoliamo alla fine, orgogliosi la felicità stessa.
    Scritto magistralmente, intenso e originale, bravissima!

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