Premio Racconti nella Rete 2017 “Al settimo piano” di Mirella Borgocroce
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017Al settimo piano tu sei quella che sei.
Nessuno ti ha insegnato come essere madre di un bambino malato, e non sei stata scelta per il tuo coraggio. Ma sei lì, e devi affrontare il cancro di tuo figlio che mette alla prova la sua vita, la tua vita, il matrimonio e la fede. Forse ci riesci, forse no, il risultato non è garantito e tu non puoi sapere in quale entità si trasformerà la tua famiglia.
Sei seduta su una delle poltroncine colorate messe in fila nel corridoio di passaggio, quello che porta dalle camere dei degenti alla sala giochi, una sorta di asilo molto triste. Sai che di qua passano tutti, prima o poi, e li aspetti.
Sul divanetto in finta pelle accanto al tuo è seduta una signora che non conosci, dev’essere una nuova. Le nuove sono le mamme che hanno ricevuto da poco la diagnosi, ancora stordite dalla notizia che non riescono a credere, ad accettare. Sono le madri dei bambini al primo ricovero, nuovi pure loro, che si guardano intorno con i loro capelli ancora in testa, chiedendosi cosa ci fanno lì, in questo posto che sembra un asilo, ma
non lo è.
Tuo figlio i capelli non li ha più, hanno cominciato a cadere al terzo trattamento, dopo le nausee e le afte in bocca.
Allora a casa hai cercato di renderti utile e gli hai proposto un bel taglio intermedio, corto, quando i ciuffi neri dei suoi ricci hanno cominciato a rimanere a ciocche sul cuscino al mattino. Hai comprato una di quelle macchinette per tagliare i capelli e hai detto dai, proviamo. Lui si è fidato di te, sei sua madre, e di chi altri potrebbe fidarsi se no? Soprattutto ora che è malato, e sente la paura nelle ossa.
Allora sei partita con questa macchinetta, ma non la sapevi usare e in un attimo hai fatto il disastro: una striscia rasata al centro della fronte, troppo corta, troppo corta! Tuo figlio urla. Tu scoppi a piangere perché ora questa è la vera tragedia: non il cancro, non la chemio che avvelena, non la vita che oggi c’è e poi non sai. No, il tuo cervello si fissa su quel particolare della striscia rasata sull’osso frontale, che adesso ti obbliga a fare una cosa a cui non eravate ancora preparati, tagliare subito i capelli alla stessa lunghezza, troppo corti.
Tuo figlio ti consola, perché non riesci a smettere di piangere ed è la prima volta che te lo concedi, perché ogni giorno devi rimanere di pietra, essere granito. Le paure le seppellisci in questa nuova massa che sei diventata, così tuo figlio sarà pietra anche lui e la malattia forse non se lo porterà via.
Seduta sulla poltroncina viola vedi passare una bambina, non arriva al metro, e si trascina dietro la sua asta portaflebo carica di sacche. La pompa sta suonando e la sua mamma l’accompagna in infermeria per sostituirne una vuota con un’altra, che stillerà per molte ore Cisplatino, o Methotrexate, o Vincristina, non lo sai. Ogni farmaco ha il suo colore, giallo, rosso, bianco, ma la sacca è vuota e non puoi indovinare la sua terapia. La bimba piagnucola, non voleva interrompere il gioco che stava facendo, ma il pianto esce strampalato dalla bocca, perché la malattia le ha scavato la faccia, così le labbra si muovono in modo asimmetrico ed un occhio lacrima, ma l’altro rimane chiuso e secco e se la guardi di profilo sembra che rida.
La tua pausa è finita, devi tornare in stanza per i tuoi compiti di genitore, pesare l’urina, smaltirla nell’apposito contenitore, disinfettare bene le mani.
Ora togli dagli occhi l’immagine della faccia scavata ed affronti tuo figlio, il suo dolore, la sua saggezza antica che sorprende ed arriva da non sai dove. Tuo figlio, a cui manca un pezzo perché glielo hanno asportato insieme al cancro che gli stava mangiando la tibia.
Un pezzo di osso, però, non è un pezzo di lui, ma solo del suo corpo. Lui c’è ancora, con la forza vitale dei suoi quindici anni, sostenuto dal tuo incessante recitare Nam Myoho Renge Kyo.
Ora vai, cammina leggera, sulla faccia il sorriso di chi sa che negli occhi di suo figlio rivedrà le proprie paure, non una di meno, né una di più.
Al settimo piano, in pediatria oncologica, devi entrare col passo danzante.
Grazie per questa lezione di coraggio e di vita.
Ecco un racconto non edulcorato che non parla di stereotipi e di morali ma della vita in una delle sfaccettature peggiori… Chi scrive ha l’obbligo di parlare anche del dolore così com’è. Complimenti.
Mirella il tuo racconto è un pugno allo stomaco, forte e spietato carico di dolore ma c’è l’ultima frase, quel “passo danzante” che sa di guarriera elegante, di lotta nonostante tutto,
di non potersi arrendere. Eccola lì la sottile linea rossa quella dell’ ultima accanita bastarda resistenza.
Un racconto forte e” asciutto”, un racconto di dolore che rifugge dal pianto, un racconto di un rapporto di due “complici ” che con passo di danza cercano di sconfiggere il grande nemico.
Grazie, Dominique! Come ho scritto sono quella che sono, e il coraggio ho dovuto scavare per trovarlo
Grazie Michele, quando il dolore è reale le parole superflue non aggiungono nulla.
Grazie, Gianluca, per avermi immaginata come una guerriera elegante. In effetti, la sono diventata perché, come hai scritto, non posso arrendermi. Non posso
Anna Rosa, grazie. Il dolore più grande non ha bisogno di molte parole
Ci sono piani, lotti e reparti che non vorremmo mai dover frequentare, ma la vita a volte ci mette dinanzi a prove terribili e non resta che tirar fuori anche le briciole di coraggio, soprattutto se lo dobbiamo fare per un figlio. Questo coraggio trapela dal racconto, anche nel pianto della madre, che è direttamente proporzionale a tutto il “non pianto” che c’è stato fino a quel momento. Anche io ai complimenti associo i ringraziamenti.
E si sente tutta la forza vitale del figlio che alimenta la sua straordinaria mamma. Sono così saggi e consolatori questi ragazzi che davvero non sai da dove venga tanto coraggio, e devi per forza lottare e sorridere accanto a loro, per strappare al dolore ciò che vuole ingurgitare: tutto. Ammirevole, Mirella.
Mirella,
dal “settimo piano” della tua sensibilità mi hai appena dato una grande lezione di coraggio ed amore.
Il ruolo di madre, già il più difficile, si inasprisce e diviene ancor più complesso di fronte alla disgrazia della malattia.
Sorreggere due pesi, manifestare una forza ferrea nascondendo la disperazione, coprire, di fronte al figlio, una lacrima con un sorriso, tutti aspetti strazianti che hai saputo sintetizzare nello spiazzante candore di un “così tuo figlio sarà pietra anche lui e la malattia forse non se lo porterà via”.
Ed io ti ringrazio per la forza e la maturità del tuo lavoro.
Bravissima.
Un grande dolore e un grande finale ! Bravissima!
Silvia, grazie. Sapere che il coraggio trapela dalle mie parole mi dà forza
Marcella, davvero: i bambini e i ragazzi del reparto sono straordinari e hanno una saggezza che non si sa da dove venga. Gli adulti hanno da imparare
Ugo, grazie. Il finale contiene la fede che dà forza
Lorenzo, non so come ringraziarti per le belle parole. Hai colto il senso di ciò che ho raccontato
Mirella, qui dove vivo io il piano è diverso, ma la sofferenza è la stessa, aspra e tenace. Ed è qui che la finzione diventa salvezza, perché nasce dall’amore.
Paola, ti abbraccio forte e soffio una preghiera per te
Grazie Mirella per questa scheggia di realtà impastata di dolore e forza.. grazie!
A te grazie, Chiara. La realtà del dolore non è difficile da raccontare, esce spontanea
Brava, un tema duro raccontato senza retorica ma al contempo con tatto ed eleganza.
Ti ringrazio, Eleonora. Penso che ill dolore spesso faccia paura ed occorra delicatezza nel raccontarlo.
Vissuto e scritto con “PASSO DANZANTE”
Grazie mille, Francesco!