Premio Racconti nella Rete 2017 “Il ballo” di Matteo Pastorino
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017Ero passato innumerevoli volte davanti a quella vecchia villa. Non sapevo da quanto tempo fosse abbandonata, ma dovevano esser parecchi decenni, poiché già mio nonno diceva di averla vista in quelle condizioni quando era giovane. L’aspetto era infatti davvero spettrale: le facciate erano stinte e scrostate in più punti, ed i vecchi cornicioni erano caduti sotto al peso degli anni di declino. Le finestre non avevano quasi più pannelli né vetri, ed anche le persiane erano tutte scomparse. Fissava con quelle finestre spalancate, simili ad orbite vuote, la campagna circostante incolta e selvaggia, che un tempo era forse stata un ridente giardino in cui lo scorrer della vita doveva sembrare una splendida armonia. Nonostante la terribile decadenza che ormai la dominava, mostrava ancora una certa fierezza nei bianchi marmi delle balaustre e nei ferri battuti delle sale al pian terreno, rivendicando, seppur velatamente, come un’ombra del passato, una quel certa nobiltà.
Il sentiero che prendevo per tornare a casa dal paese vi passava proprio accanto, dimodoché l’avevo vista quasi tutti i giorni della settimana per anni, appena poco distante da me. Non avevo mai condiviso l’opinione generale degli altri valligiani che la consideravano solo un inutile rudere, né il timore che in alcuni sembrava suscitare. Fino a che non ero cresciuto mi era stato tassativamente proibito anche solo avvicinarmene, e forse questo con una certa ragione, poiché era, nonostante il romantico modo in cui io la vedessi, una costruzione passibile ormai di crolli. Avevo cercato di indagare per scoprire qualcosa della sua storia, ma non ne avevo mai ricavato nessuna informazione davvero sicura. Sembrava che dall’ultima volta che era stata abitata fosse straordinariamente trascorso tanto tempo che di quegli anni persino la memoria si era irrimediabilmente perduta. L’unica cosa su cui tutti concordavano era che fosse stata abitata da una famiglia nobiliare di un certo lignaggio. Ma questa informazione si poteva anche facilmente immaginarla: non serviva averne alcuna certezza per non dubitarne. Solo una famiglia di grande importanza poteva averla fatta costruire ed averla abitata. Mi ci ero avvicinato più e più volte. Avevo sempre nutrito il desiderio di potervi entrare per poter osservare di persona le sale che mille e mille volte avevo già visto con gli occhi della mente, ma gli usci sprangati e le inferiate delle finestre a pian terreno mi avevan sempre fermato.
Un giorno di maggio, quando si era fatto sentire il primo caldo e le giornate si eran allungate, mentre tornavo a casa come al solito, decisi di perlustrarne il perimetro, come già avevo fatto centinaia di volte. Era difficile notare una differenza da una volta all’altra. Sembrava che tutta la struttura fosse all’interno di una bolla di immobilità, e ciò che cambiava era solo il comparire di ulteriori danni causati dal tempo. Quella sera tuttavia, mentre incespicavo nell’erba alta che la cingeva, notai di lontano che una delle porte più piccole del pian terreno, presumibilmente una di quelle di servizio, che sempre avevo visto ben serrata, era aperta. Incuriosito oltre ogni limite mi avvicinai, aggirando una grossa macchia di rovi che mi impediva il passaggio diretto. Immaginai che qualcuno la avesse forzata per entrare a dare un’occhiata proprio come sempre avevo desiderato far io senza mai passare ai fatti e, nell’andarsene, l’avesse lasciata aperta. Tuttavia, quando vi arrivai presso, notai subito che né il legno né la serratura sembravano esser stati forzati. Sembrava quasi fosse stata aperta semplicemente usando la chiave. Stupito, ma non per questo intimorito, mi feci vincere dalla curiosità immediatamente, e varcai quella soglia oscura. Siccome era ormai quasi il crepuscolo, la morente luce del giorno rischiarava appena il corridoio in cui mi trovai. Lo attraversai tutto e entrai in una grande sala che doveva esser stata una specie di vestibolo atto ad introdurre nei saloni più importanti del pian terreno. Il pavimento era coperto da uno strato di polvere e di detriti che non si può descrivere. Le pareti erano rivestite da pannelli in legno, alla moda rustica inglese, tutti scrostati e venati dal tempo. Non vi erano più mobili, ma solo vecchi resti praticamente in decomposizione, tanto dovevan esser antichi. Stavo ammirando un grande scalone con la balaustra riccamente ornata da alcune statue quando un bagliore che non avevo notato prima attrasse la mia attenzione. Mi voltai di scatto e avvertii in quel momento una sorta di fruscio, appena percettibile ma reale, che mi fece supporre non fossi solo. Mi irrigidii, vagamente spaventato. Le emozioni mi si soprapponevano l’una all’altra, in un miscuglio che mi permise solo di restare fermo dove mi trovavo senza sapere che fare. Infine, ripresomi da quell’improvviso stordimento, decisi di avvicinarmi. Il bagliore era flebile e proveniva da una porta socchiusa che si trovava direttamente innanzi allo scalone. Mentre mi avviavo lentamente alla sua volta, con circospezione e passo felpato, ebbi l’irreale sensazione di avvertire il suono di un clavicembalo che si perdeva negli ambienti dall’alto soffitto in cui mi trovavo.
La porta da cui filtrava guardinga la lama di luce che aveva attratto la mia attenzione era appena socchiusa. Era una porta di un certo pregio, intarsiata e riccamente lavorata, a due battenti. Immaginai, viste le sue fattezze, dovesse introdurre in una sala di una certa importanza. Arrivatovi accanto tesi l’orecchio al silenzio e cercai di cogliere anche il minimo segno della presenza di qualcun altro nella struttura, ma non sentii più nulla. Mi feci coraggio e mi spostai sul lato che permetteva di sbirciare nello spiraglio, per poter dare un’occhiata e cercare di comprendere quale fosse la fonte di quella luminescenza. I raggi che irradiava erano incerti, in movimento, così immaginai si trattasse di una fiamma. Molto lentamente, con grande circospezione, aprii maggiormente il battente, scrutando l’interno della sala. Ma non avevo ancora terminato quell’operazione che, con mia grandissima sorpresa, qualcuno la spalancò completamente facendomi sbiancare dalla paura. Lo stupore per quello che vidi fu tuttavia tale da farmi dimenticare qualunque altra sensazione appena un istante dopo. Una giovane donna mi sorrise, invitandomi con un cenno della mano ad entrare assieme a lei. I miei occhi allibiti si posarono su di una magnifica sala, il cui aspetto era maestoso e solenne. La decadenza che regnava tutt’intorno sembrava non aver toccato un solo centimetro di quel meraviglioso pavimento, non aver intaccato un solo pannello dei rivestimenti lignei che ornavano le pareti. I lampadari scintillavano di lucidi cristalli alla fiamma di numerosissime candele, quasi fossero stati lucidati appena il giorno prima; le tende alle grandi finestre, fornite di ampie mantovane che terminavano in bordi di eleganti merletti, parevano fresche di bucato, così come le tovaglie che coprivano i numerosi tavolini addossati, a regolare distanza l’uno dall’altro, alle pareti. L’incredulità che m’invase fu tale che mi impedì, per un paio di secondi, di rendermi conto della grande folla che gremiva la stanza. Un vivace brusio passava d’angolo in angolo, perdendosi negli affreschi della volta. La musica di una piccola orchestra, il cui strumento principale era il clavicembalo, suonava a ridosso della parete opposta rispetto all’entrata. Erano tutti uomini e donne piuttosto giovani, ben vestiti, con eleganza e signorilità. I loro abiti erano tuttavia di antica foggia, di sete, broccati e velluti di sgargianti colori. La maggior parte degli uomini indossava anche una parrucca di crine bianco. Non riuscii a dire nulla e mi domandai fra me e me, dopo un momento in cui faticai a cogliere qualcosa di sensato persino nei miei pensieri, se non mi fossi in realtà addormentato sotto ad un albero appena fuori le balconate della villa e non stessi sognando tutto quello che mi sembrava di vedere. Tuttavia il tatto della morbida mano della fanciulla che mi stava scortando fra la folla ed alcune coppie danzanti mi sembrava troppo reale perché fosse solo immaginazione, così come la musica che allegra correva da una parete all’altra. Arrivati al centro della grande sala, la giovane si fermò e si volse verso di me, sorridendomi. Era bruna ed aveva gli occhi scuri, la pelle bianchissima, le guance appena rosate e cosparse di alcune lentiggini. Non mi disse nulla ma mi trascinò nella danza come se fosse stata la cosa più naturale del mondo. Stavo per sussurrarle qualche parola di scusa, siccome non sapevo ballare, ma, con sempre mio maggiore stupore, mi resi conto che i miei piedi si muovevano disinvoltamente, quasi come se agissero da soli e non per mio comando. Fu allora che ebbi la certezza si trattasse di un sogno. Come poteva esser altrimenti? Ballammo assieme diverse danze, al centro della folla, e mi parve d’essere in una vecchia illustrazione di un romanzo del diciottesimo secolo. Ad un tratto, nell’istante in cui la musica cessò mentre i musicisti sceglievano la successiva, lei mi riprese per mano ed energicamente mi condusse verso una delle grandi portafinestre che si affacciavano sul giardino della villa. Mi fece uscire fuori, su un’ampia terrazza che immetteva direttamente nella corte antistante. L’aria della sera era fresca e serena. L’emozione che provavo era ormai tanto sconvolgente, seppur piacevole, che nemmeno mi resi conto che l’intricata boscaglia che sempre avevo visto attorno alla villa aveva ceduto in quel momento il posto ad un elegante giardino. Non mi disse ancora nulla, ma fu ugualmente come se avessimo parlato a lungo assieme. Mi si fece prossima ed avvicinò le sue belle labbra alle mie, e mi diede un leggero bacio. Fu allora che il sogno o l’incanto che fosse si ruppe, e quanto posso ricordare di quell’esperienza termina qui. Nel momento in cui ripresi pieno possesso delle mie facoltà mentali, mi riscoprii prossimo alla porta a cui mi ero avvicinato poco prima, credendo d’avervi scorto una lama di luce fuoriuscire dalla fessura socchiusa. Ma non vi era più alcun lume. L’ambiente era freddo e buio proprio come avrebbe dovuto essere nel suo eterno stato di abbandono. Ebbi l’irreale percezione di esser stato immobile davanti a quell’uscio scrostato e semiaperto per diversi minuti, come in una sorta di trance, ma non seppi comprendere se si trattasse solo di una sensazione o meno, anche perché non avevo orologio con me. Mi guardai attorno e tesi l’orecchio. Regnava il più completo silenzio. Spinsi il vecchio battente della porta che si aprì cigolando sui vecchi e consunti cardini. Il grande salone che vi era dietro versava in un triste stato di estrema decadenza come tutto il resto. Eppure mi diede immediatamente l’impressione di avere un che di familiare. Non vi ero mai entrato prima d’allora, come del resto in tutta la villa, ma riconoscevo le sue proporzioni, gli ampi finestroni, seppur sprovvisti di tendaggi, ed i pannelli lignei rovinati che coprivano ancora in parte le pareti. Un brivido mi corse lungo la schiena, mentre mi domandavo incredulo cosa ci potesse esser di vero nella percezione che mi era sembrato disperimentare poco prima. Vagai per qualche minuto per quella grande sala, ammirandone le vestigia del passato che mi sembrava di riconoscere, come se, in un tempo lontano, le avessi già viste in una circostanza del tutto differente. Seguendo un impulso di cui ben non comprendevo l’origine, tirai giù un grosso telo che copriva un antico quadro che era ancora appeso alla parete.
Non so dir con esattezza che cosa accadde quella sera. Certamente qualcosa accadde. Ed io ve ne fui partecipe, qualunque fosse la sua natura. Di questo non posso dubitare, come non posso ritenere sia solo un’impressione quando nelle sere primaverili, passando accanto a quell’antica costruzione, avverto un lontano suono di vecchi clavicembali. Ciò che vidi levando il velo che copriva l’antica tela in quella sala non mi lasciò alcun dubbio. Poiché, fra gli spensierati volti di molti giovanotti che erano stati ritratti danzanti proprio in quello stesso salone, in un’armonia pittorica di gran gusto, seppur con indosso un vestito ed una parrucca che mai avevo veduto prima, riconobbi anche il mio.
Che dire Matteo, bravo! Hai creato un appassionante mistero è un bellissimo racconto, il tuo stile barocco si adatta meravigliosamente al soggetto creando una continuità tra soggetto narrato e linguaggio. Il finale chiude magistralmente il cerchio della storia con l’eleganza di un ballo del settecento.
Ancora complimenti!
Interessante! Il meccanismo è collaudato ma se il racconto è ben costruito come questo riesce sempre ad avvolgere e coinvolgere. E la prosa, con il suo gusto gradevolmente vintage, dà il suo bel contributo, armonizzandosi molto bene con questa esperienza a metà strada fra il soprannaturale e l’onirico. L’ho letto con piacere, grazie.