Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2017 “Una sera come tante” di Sandro Dettori

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017

Ultimo turno. Anche oggi mi è toccato farlo ma l’ho scelto io per sostituire una collega. Poverina, finalmente ha trovato uno straccio di ragazzo e le ho dato una mano volentieri. Tanto io non ho mai impegni, ho smesso da tempo di credere all’amore. Sto bene con i miei libri e quei pochi amici con cui chattare di notte, quando non mi viene l’ispirazione per scrivere qualche raccontino.

Fa freddo, porca miseria, sul treno i soliti quattro gatti che dormono o smanettano sul telefonino. Seduto in fondo c’è un bel tipo che non legge, non telefona e non dorme. Non fa niente, insomma, salvo guardarsi intorno, finché arriva a me.

Mi sorride ma io faccio finta di avere la vista corta e di non averlo notato affatto.

Scende una fermata prima della mia dopo un ultimo sorriso.

A quella successiva scendiamo in tre e io m’incammino a piedi per quel mezzo chilometro che manca per casa mia.

Dietro di me sento dei passi, così mi volto a guardare.

Cavolo, è il tipo che sorrideva. Dopo essere sceso dev’essere risalito su un’altra carrozza e, adesso, mi viene appresso.

Ho paura.

È rimasto sempre dieci passi dietro me e io non mi sono più voltata indietro.

Intanto che camminavo, senza fretta per non mostrare che avevo paura, ho preso dalla borsa il mazzo di chiavi e mentre infilavo nella toppa quella del portone ho buttato un occhio di fianco.

Lui era là, piantato sulle gambe, intento ad accendersi una sigaretta.

Non ho aspettato l’ascensore, a fatica ho salito i miei due piani e appena dentro casa ho girato le solite quattro mandate senza accendere la luce. Non voglio che capisca dove abito, se in casa c’è qualcuno oppure vivo sola.

Da dietro l’avvolgibile guardo per strada. Non c’è più.

Stento a calmarmi. Dopo un bagno caldo, anche se sono stanca o irritata ritorno sempre a essere io. Ma quello che è successo poco fa è una cosa nuova e spiacevole. Non mi era mai successo d’essere seguita, neppure quando ancora piacevo agli uomini, prima di quel maledetto incidente che mi ha reso una povera invalida, costretta a camminare con l’aiuto d’un bastone.

Mangio gli avanzi del pranzo, mi verso il solito cognacchino, accendo una sigaretta e mi metto davanti al pc. Voglio scrivere un raccontino sul tipo del treno, uno di quelli collaborativi. Non so se conoscete il meccanismo. Uno inizia una storia e gli altri amici del web la continuano come piace a loro. Solo che questa volta loro non sanno come andrà a finire e neppure io, magari mi sono spaventata per nulla e quel tipo forse abita qui accanto e tornava a casa anche lui.

Però è la prima volta che lo vedo sul treno e anche per strada non l’ho mai incontrato.

Mi verso un altro cognacchino, anzi un vero cognac. Ne ho bisogno.

Dopo il terzo bicchiere ho ritrovato la mia abituale serenità e provo a scrivere qualcosa.

Scrivo, correggo e bevo. Rileggo, correggo e bevo di nuovo.

Non ricordo di aver spento il pc e neppure di essermi messa a letto, ma stamattna mi sono svegliata con in bocca il sapore che dà un ferro di cavallo ciucciato a lungo.

Oggi ho il turno di pomeriggio e poi devo andare in una libreria alla presentazione del primo libro di un’amico conosciuto sul web, uno che ha la passione, mania secondo alcuni, di scrivere racconti.

So bene che farò un po’ tardi e che posso rischiare d’incontrare il tizio di ieri, ma la notte è passata e alla luce del pallido sole che oggi mi onora con la sua presenza tutte le paure di ieri sono cancellate.

Il libro era una vera schifezza e il suo autore un presuntuoso mezzo schizofrenico che alternava momenti di falsa modestia ad altri di esasperata autostima. Forse sono stata un po’ invidiosa, ma ho rinunciato al piccolo rinfresco e mi sono precipitata a prendere il treno delle otto.

Lui era lì e sembrava che stesse aspettando proprio me.

Non ho avuto paura perché era l’ora di punta e c’era ancora luce abbastanza.

Mi ha sorriso e si è dato da fare per salire dietro di me, facendo perfino scudo col suo corpo per difendermi dalla ressa dei viaggiatori. Abbiamo trovato posto in fondo allo scompartimento e, subito, ha preso a raccontarmi di sé senza mai chiedere nulla di me. È un ingegnere informatico da poco trasferito in questa città dove non conosce nessuno. Scapolo, adora il basket e ama la lettura e, soprattutto, ha due magnifici occhi verdi.

Scende alla fermata prima della mia dopo avermi chiesto come mi chiamo, ma senza accennare al motivo per cui, ieri, mi ha seguita fino a casa. Io non oso pensarlo né illudermi.

Lui si chiama Sergio e comincia a piacermi. Molto.

Sono tre mesi che c’incontriamo, ma solo sul treno dove parliamo sempre di noi.

Ieri gli ho detto del mio incidente e lui mi ha accennato che anche sua madre era costretta a camminare col bastone. Lo stesso che gli dava, spesso, sulle spalle per punirlo di qualsiasi cosa non le andasse a genio.

«È brutto dirlo» mi ha confessato «ma io non ho ancora smesso di odiare mia madre, anche se l’hanno ammazzata qualche anno fa».

«Ammazzata?» ho chiesto, anche se non c’era bisogno di conferma.

«Sì, una rapina in casa e il colpevole non l’hanno mai trovato».

Sto vivendo un periodo felice e Sergio si sta rivelando una persona adorabile.

Anche se lui non me l’ha ancora chiesto uno di questi giorni l’inviterò a cena, e poi succeda quel che dovrà succedere!

Della paura che mi ha fatto prendere quella sera non ne ho mai parlato e non ci avevo pensato più fino a una notte di qualche settimana fa, quando mi sono alzata dal letto per chiudere le imposte. Ho guardato fuori e proprio sotto le mie finestre ho visto un uomo, immobile, a gambe larghe, un cappello a nascondergli il viso.

Mi sono sentita gelare il sangue e, subito, ho pensato a Sergio. Ma questo mi è sembrato più alto e poi il cappello aveva la visiera. Mi sono detta che forse era una guardia notturna e sono andata di nuovo a letto ma senza riuscire a prendere sonno.

Verso le quattro ho preso coraggio e sono andata a vedere ma in strada non c’era più nessuno.

Dopo due notti eccolo di nuovo lì sotto e così le altre, anche sotto la pioggia lui era là sotto e io, ormai, non riuscivo più a dormire per la paura. Allora ho deciso di parlarne a Sergio.

«Sarà un tuo spasimante oppure quello di qualche vicina. Mica vorrai chiamare la polizia per un povero fesso che non ha il coraggio di farsi avanti. Vedrai che prima o poi si stancherà oppure si beccherà una polmonite!»

Lui scherzava ma io non riuscivo più a dormire, morta di paura com’ero.

Sono le tre di notte e l’uomo è di nuovo sotto le mie finestre. Sono qui, dietro le imposte, ho visto che ogni tanto guarda in alto e io temo che possa vedermi. Ho deciso, telefono alla polizia.

Al 113 il poliziotto di turno è stato molto gentile e mi ha promesso che manderà subito qualcuno perché c’è proprio una volante nei pressi di casa mia.

Aspetto accanto alla porta, poi vado alla finestra, lui è ancora lì. Comincio a fare su e giù, finestra porta, porta finestra e, all’improvviso non lo vedo più. Deve aver visto avvicinarsi la luce della volante e si è dato alla fuga, quel mascalzone!

Suonano al citofono.

«Chi è?»

«Polizia, signora, apra.»

Apro, apro di corsa, proprio mentre l’anta viene spinta con violenza, prendendomi in pieno e facendomi ruzzolare sul pavimento. Sento colare il sangue sul viso, mentre il poliziotto entra, chiude la porta alle sue spalle, si toglie il cappello e urla.

«Hai chiamato veramente la polizia, brutta troia zoppa? Eccola la polizia, vediamo cosa hai da dire al tuo salvatore!»

Un manrovescio in piena faccia, poi un altro e un altro ancora. Non riesco a urlare, chiudo gli occhi e mi riparo con le braccia, il cuore mi scoppia per il dolore e la sorpresa.

Non credevo che Sergio potesse essere tanto violento.

È l’ultima cosa che riesco a pensare prima del buio che cala sui miei occhi.

 

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3 commenti »

  1. Wow, che suspense! Mi ha presa l’ansia leggendo il tuo racconto, scritto molto bene, mi chiedevo come sarebbe andato a finire, bravo, un vero giallo inquietante!

  2. Ben architettato e con un finale che coglie di sorpresa, merito della costruzione della trama ma anche di quella dei personaggi… Sergio è un vero Mr Hide. Ben fatto davvero!

  3. Sandro, un piccolo capolavoro! complimenti per la credibilità dei personaggi.

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