Premio Racconti nella Rete 2017 “Fine agosto” di Francesca Romana Lamanna
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017“Sento freddo, chiudi?” in fondo alla sala del Pronto soccorso le due finestre erano aperte. Era il trenta agosto e sua madre tremava dal freddo. “Si mamma chiudo.” le rispose e si avviò, ma poi a metà strada, vide un bagno e cambiò idea. Da quando erano partite dall’Aquila con l’ambulanza, doveva fare quello che la madre chiamava “Un goccio d’acqua“ e la sua pancia era così tesa che anche un piccolo starnuto, le dava pensiero. Entrò in uno sgabuzzino pieno di lenzuoli e scatoloni ammucchiati e trovò un gabinetto buio, lasciò così, la porta socchiusa per avere uno spiraglio di luce e non sapendo dove appoggiarla, si appese la borsa al collo e tentò di trattenere i pantaloni larghi che, una volta slacciati, le sfuggivano da ogni parte. Le gonne sono molto più pratiche per i bagni pubblici, pensò, chissà perché noi donne le abbiamo dimenticate e mentre cercava di mantenersi in quella posizione che a ginnastica chiamavano squat, il peso della borsa le segava il collo, ma all’improvviso sentì delle voci nell’altra stanza e, allora si tirò su, si aggiustò velocemente ed entrò di nuovo nella sala con la ferma intenzione di chiudere le finestre. Al diavolo il goccio d’acqua, disse, e vide i due dottori che parlavano tra loro di orari e di scioperi, uno con le mani in tasca, l’altro a braccia conserte mentre la lettera dell’ospedale dell’Aquila con scritto ”Urgente” era ancora chiusa, sulla scrivania. Quei due sembravano non vedere né lei né sua madre.
Brutti scemi come potete parlare di orari e di scioperi quando c’è una donna in pericolo di vita. Ora chiudo vado da loro e lo dico: leggete quella lettera, imbecilli, che mia madre rischia di morire e mentre chiudeva una finestra, guardò in alto e vide il cielo azzurro cupo come il mare profondo, poi, all’improvviso la voce di sua madre chiese aiuto. Con un grido dentro, mamma aspetta, corse da lei ma ecco che quei due la videro e non sapendo più cosa fare, dove e chi guardare, lei o sua madre, il cielo nelle finestre o la lettera sulla scrivania, decisero che, comunque, era da buttare fuori e così fecero, spingendola contro la porta basculante e urlandole dietro: “Che fa qui? Vada via subito!”. In un attimo si ritrovò nel corridoio, di fronte a sua sorella che, stupita, chiese “Che succede?” rispose “ Mamma sta male” ma sarebbe stato più giusto dire: “Mamma sta morendo” e mentre c’era un affaccendarsi, un andirivieni improvviso di medici infermieri e macchinari, tra un apri e chiudi della porta, la vide saltare su per le scosse elettriche e quando uno dei camici bianchi uscì e, con faccia contrita si avvicinò a loro, lo sapeva già quello che veniva a dire. Imbecille sciopera pure e fai morire qualcun altro, pensò con rabbia.
Poco dopo le portarono lungo un corridoio con grandi finestre sul giardino e le fecero entrare in una piccola stanza. E’ lì, le dissero. Entrò e fu nel buio, ma poi, in un angolo, individuò una bara di metallo. Si avvicinò e la vide. L’avevano fasciata in un lenzuolo bianco che le girava fin sopra la testa, come fosse una mummia. Solo il viso era scoperto. Cercò le sue mani ma erano sotto le fasce e non riuscì. Scappò via impaurita e rabbiosa e, fuori, accecata dalla luce del giorno, inciampò in una sedia a rotelle abbandonata nel corridoio. Ci si buttò sopra e quella, veloce, si mosse. Sì, portami via, gettami in un buco nero per non farmi uscire più, sussurrò, ma si fermò subito dopo, appena sotto la finestra. Si aggrappò al davanzale, tirò fuori la testa e aprì la bocca. Inghiottì calore, polvere e odore d’alloro e di resina. Mamma guarda, il cielo è azzurro ed è l’ora delle rondini che lasciano il nido per volare pazze di felicità. Loro non sanno cosa sta succedendo qui.
Ritornò a sedere e, aggrappandosi forte alle ginocchia, silenziosamente , cominciò a piangere.
Dal taxi, Roma le scorre davanti agli occhi come un vecchio film visto e rivisto e sempre amato. Lo sa, suo padre è a casa sulla sua poltrona con il rosario in mano che aspetta, ma lei non vorrebbe arrivare mai. Vorrebbe girare così per sempre. Passare sotto i platani, attraversare i ponti, le piazze, costeggiare le chiese i palazzi, le fontane, vedere i lampioni accesi al crepuscolo e, all’alba, vederli spenti; sentire l’odore del pane appena cotto nei forni, l’odore del caffè nei bar e il rumore delle sedie sistemate fuori per un nuovo giorno e le grida delle rondini nel loro primo volo della mattina. Mai vorrebbe dover dire a suo padre: “Mamma è morta”
Poi il fratello, seduto accanto, le dice: ”Dai, fatti forza” e il tassista, dallo specchietto, la guarda con compassionevole simpatia.
Mi piace. Molto ben disegnati i sentimenti contrastanti di chi vive la drammatica situazione descritta nel racconto. Complimenti
Molte grazie Ottavio Mirra!
Scene perfettamente scolpite, che toccano l’anima dal profondo.
quante cose normali avvengono quando sta per succedere un evento importante che segna la vita!! e francesca racconta insieme l’aggravarsi della madre mentre lei ha bisogno del bagno e i dottori discutono di problemi di servizio ..ma la morte non aspetta ,la situazione precipita in un frenetico ..via vai…e poi sola con la mamma morta e fuori della finestra tutto è come prima ,indifferente come se nulla fosse successo…normale con una normalità che rassicura…
…molto bello questo racconto…molto vero…
Bravissima Francesca! Emozionante e tenero! Davvero coinvolgente, brava brava!
La sensibilità è parte di una grande intelligenza e ti permette di comprendere e accettare anche il più grande dei dolori. Con “Fine Agosto” l’autrice ci apre le porte del suo grande sgomento, del suo grande dolore con la dolcezza e l’eleganza di una anima nobile, con la consapevolezza della realtà che ci circonda fatta di cinismo e inadeguatezza, raramente di amore e di speranza. Ma in questa rarità dobbiamo credere e avere fiducia. Grazie Francesca Romana Lamanna del bellissimo messaggio.
Racconto pieno di passione, intenso, descrizioni vivide di situazioni e di stati d’animo, che colpiscono il lettore per la loro plausibilità, situazioni e stati d’animo familiari e istintivamente condivisibili in cui è facile riconoscersi e immedesimarsi, grazie sopratutto allo stile di esposizione. All’introduzione segue un breve brano scritto in prima persona, in cui si manifesta la rabbia contro i medici, così meschini nelle loro preoccupazioni e problemi quotidiani, brano che sembra costituire il nucleo del racconto per intensità emotiva, e quasi ricorda nello stile la celebre e grande scrittrice e giornalista Oriana Fallaci, brano da cui trapela in modo evidente il contrasto netto e “violento” di atteggiamenti e il modo di essere della protagonista del racconto e dei medici. Il racconto procede in tono più distensivo e si direbbe più intimistico, la prosa è quasi ‘poetica’ , esprime sentimenti di dolore, sconforto e malinconia. L’epilogo, brevissimo scarno e perciò intenso, presenta due figure positive, un familiare ed un perfetto estraneo ed il contrasto non può sfuggire anche e soprattutto se raffrontato con l’atteggiamento tutt’altro che compassionevole e per nulla professionale dei due medici.