Premio Racconti nella Rete 2017 “La casa in montagna” di Caterina Valente
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017Mi ricordo ancora la prima volta che venimmo qua, nella primavera del 90, volevamo un posto tutto nostro, dove poter scappare e quella casa sul mare sembrava proprio fatta per noi. Era isolata e molto luminosa, io e Rose la ridipingemmo tutta in una giornata, alla fine ci addormentammo esausti in veranda. La casa era sempre bella, anche quando pioveva, anzi, noi la preferivamo quando il mare era in tempesta e la sabbia volava, io e Rose sul divano ad amarci.
Era lei che si era preoccupata dell’arredamento e in ogni stanza c’era qualche oggetto con decorazioni floreali, perché Rose amava i fiori e io amavo lei.
La casa la faceva rinascere, quando era lì era sempre felice, la spensieratezza con cui viveva nella casa mi faceva quasi paura. La sua risata era contagiosa in quei giorni, sembrava una bambina ancora all’oscuro delle cattiverie del mondo. E i suoi capelli rossi, ah i suoi bellissimi capelli rossi. Non mi scorderò mai l’immagine della sua chioma tempestata di camomille la sera in cui inaugurammo la casa. Mi piacquero così tanto che non riuscii a farci l’amore, dico sul serio. Non la smettevo di parlare dei suoi dannati capelli e a Rose, in momenti come quelli, piaceva stare zitti e si era alquanto infastidita.
Spesso si alzava per l’alba e faceva lunghe camminate sul mare, raccoglieva le conchiglie. Lunedì faceva la spesa al mercato del pesce, martedì yoga e incontro con le femministe, mercoledì leggeva, tutto il giorno, il giovedì era tempo di riposo; venerdì puliva la casa e completava il lavoro il giorno dopo. Domenica c’era la messa e poi c’ero anche io.
Era il suo paradiso, non voleva mai andarsene e quando lo faceva, perché le ferie erano finite, si sentiva triste, una tristezza continua che durava fino a quando non sarebbe tornata.
Cominciò a vivere per la casa, lavorava solo per arrivare a marzo, quando vi ritornavamo ogni anno. Forse marzo è un mese triste per prendere ferie, ma con il tempo avevamo capito che le cose le apprezzi quando sei da solo; io comunque nella mia solitudine contemplavo anche lei, invece per Rose cominciò ad esistere solo la casa.
Era come un’ossessione, ma ciò non mi ha mai preoccupato, perché me lo disse, mi disse che aveva trovato una ragione per vivere, che aveva trovato finalmente qualcosa che le desse un motivo per andare avanti e questo la rendeva felice.
Per me invece era Rose, era lei la mia ragione di vita.
Certamente mi amava, ma riusciva a sentirsi più in pace sotto quel tetto che tra le mie braccia. Rose non era come le altre, per questo riuscii a capirla e invece di essere arrabbiato, l’amai ancora di più.
Poi però col passare degli anni le cose peggiorarono.
I periodi lontani da là, erano per lei motivo di tristezza e disperazione tali che in poco tempo si trasformarono in una malattia. Così, i comodini della casa sempre tappezzati di libri, si coprirono di farmaci antidepressivi e da ansiolitici e l’unica soluzione fu quella di trasferirci.
Furono momenti difficili. Per mantenere il lavoro, facevo tutti i giorni 2 ore di macchina all’andata e due al ritorno. Questo voleva dire svegliarsi alle 5 e uscire alle 6 ,tornare alle 9, cenare con lei, assicurarsi che avesse preso le medicine, metterla a letto, dormire qualche ora e ripartire.
Furono anche notti insonni.
E furono pianti, miei e suoi.
La casa non l’aveva guarita, l’aveva fatta ammalare.
Dopo circa tre mesi di permanenza, finalmente vidi qualche risultato in Rose. Aveva ritrovato il cemento per rimettere insieme i mattoncini della sua vita, ma proprio in quel momento capii che non se ne sarebbe mai andata da lì.
Cambiai lavoro.
Per tutta la vita avevo fatto l’avvocato, avevo studiato per quello che era il mio sogno e l’avevo realizzato intraprendendo un lungo e frastagliato tragitto, poi l’amore della mia vita si era come messa in mezzo alla strada e quindi ero stato costretto a tornare indietro e percorrere una scorciatoia, peccato che fosse tutta sassolini e con ancora più buche di quella di prima.
Successe che aprii una gelateria, che in una località marittima frutta dei buonissimi guadagni più o meno da luglio ad agosto, il resto dell’anno, beh, devi essere fortunato. Le giornate erano monotone, tristi ed asciutte, asciutte come i letti dei fiumi in piena estate.
Rose si uccise un anno dopo, era il 2009, si era tagliata le vene e lentamente aveva fatto scivolare la sua esile anima nell’oblio della morte. Questo, anche se dirlo mi fa male al cuore, fu un po’ un sollievo.
Vendetti la casa e la gelateria, con il soldi guadagnati sono finalmente riuscito a realizzare il mio sogno: ho comprato una casa a Klawok, Alaska.