Premio Racconti nella Rete 2010 “La piscina” di Alessandra Abbruzzese
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2010(…) Mi domandi se davvero sia così pericoloso venire al mondo con un padre pazzo, mi martelli
tutto il giorno con questa storia del troveremo una soluzione, ma io non ci
parlo con te, non voglio stare al tuo gioco, quando ti chiedo vuoi mi rispondi
sempre con un punto interrogativo, come se di dubbi non ne avessi già
abbastanza, ma sono io che decido, capisci? Fuori tu o fuori lui, ti dico, ma
poi sento il bisogno di giustificarmi e
ti domando se vuoi per madre un’assassina, un’assassina ti ripeto, ma tu
insisti che dovrei calmarmi, che non ne vale la pena, dici, di sporcarsi le
mani, come se nemmeno volessi considerare la possibilità che tua madre abbia
dentro di se il germe della violenza, capisci piccolo? Oppure non ci arrivi? Se
avessi già vissuto un po’ capiresti l’incertezza di chi sa che che qualsiasi cosa
farà avrà fatto una cazzata, piccolo capita a tutti prima o poi.
Succede che la vedova
di fronte agita un battipanni di quelli che non se ne vedono più da vent’anni.
Lancia un mezzo tappeto fuori dalla finestra e comincia a sbatterlo, ripetendo
come un disco rotto che sarebbe stata l’ultima volta, l’ultima, l’ultima.
Succede che io mi
sento sbattuta, come quel tappeto.
«Che senso ha il
perdono senza pentimento?» Urla la signora.
«Che senso ha il
perdono senza pentimento?». Chiedo al tuo padre nuovo zoppo, mentre nella
stanza a fianco medita chissà su cosa. Alcuni hanno in sorte come padre un
nuovo ricco, a te invece è toccato un intelligentissimo fusto che è diventato
zoppo. Si appende sotto sopra su un arnese infernale, penzola tre ore al giorno
attaccato alla gamba corta, convinto che tanto basterà a farlo tornare normale.
Era l’uomo più affascinante che avessi mai visto e ancora qualche volta ti
confesso. Succede che è sempre convinto che la sua strada sia quella giusta. Sicuro,
ogni giorno, che quello che vede sia quello che c’è. «Che senso ha il perdono
senza pentimento?» Ma non risponde. Succede che io gli dico dovresti andare da
uno psichiatra quando, gonfia di lividi, sogno di recuperare il tempo che fu, mentre
lui, con la punizione ancora pulsante nelle mani, mi risponde in lacrime troia,
ti ho vista, lo so che da quando sono zoppo mi tradisci con tutti gli stronzi
che incontri. Non urlo mai, rispondo alla violenza con una tempesta di
ghiaccio. La tua solitudine non è indulgente mi dice lui, ma io non so
rispondere, se non stampando sulla faccia l’idea che sia impossibile ferirmi,
allora lui vuole riconquistarmi e mi prende col sorriso, e alla fine anche io sorrido
e quando sembro libera arrivano ancora la ferita e la tempesta.
E poi il sorriso, che
non è una casa, è solo una stazione.
Vorrei accendermi una
sigaretta ma fumare in gravidanza fa male al bambino, leggo sul pacchetto.
TANTO VOGLIO ABORTIRE, informo tuo padre certa che non mi stia ascoltando. SEI
INCINTA? Mi urla invece. domando. Andrò con la valigia in ospedale, mi
addormenteranno ed io non me ne accorgerò nemmeno. E così sarò libera, a cosa
fatta, sarò davvero pronta a ricominciare, sarò di nuovo libera penso, però succede
che io non so se voglio ucciderti, la mia unica alternativa è tendere un orecchio
per essere certa che non si sia staccato dal suo pendolo. Il programma è che metto
su il ritmo di una corsa, a volume sostenuto. Il piano è che tutt’a un tratto
divento implacabile, afferro il martello, esco dalla mia stanza, passo per il suo
salone e apro la sua porta. Quella che quando medita, deve sempre rimanere CHIUSA.
Prima che faccia in tempo a capirci qualcosa, gli do una martellata in testa. Lo
guardo freddamente svuotarsi del suo sangue piangendo e imprecando lurida
bastarda io ti amavo. Continuo a martellare fino a quando le sue braccia non cadono
fino a sfiorare quasi il pavimento, e la gamba libera non si ripiega sul petto.
Non lo so, piccolo, succede che sono immobile e tanto martellare è solo un’idea
che fila fino qui, poi si inceppa il meccanismo, inizio a immaginare che dal
suo collo ricominci a sgorgare un fiume di sangue, e allora mi precipito, mi
inginocchio e cerco di recuperarlo con la conca delle mani, e me lo verso
addosso, poi penso che posso incominciare a bere da quella fonte fino a quando non
si esaurirà, e penso che ingoiando il suo sangue nutro te, ti restituisco un
poco del padre che ti ho tolto. Sono qui impietrita, e nella stanza a fianco
c’è il mio boia che è tuo padre e ha uno splendido sorriso.
Guardo fuori dal mio
inferno, e in quello di fronte la vedova agita ancora il battipanni contro il
suo marito immaginario. «Sono finita a fare la sguattera a un perdigiorno ignorante
senza un briciolo di coscienza» urla, e allora guardo per terra e mi concentro
su una macchia di vino che non sono mai riuscita a cancellare, mi inginocchio e
comincio a strofinare e strofinare e tu, approfittando di un momento in cui ti
sembro più calma mi dici che credi che io lo ami ancora, e insisti che dovrei
ripensarci, sembri sicuro del fatto tuo quando affermi che me ne pentirei. Continuo
a strofinare, non riesco a fare fuori neanche una macchia, ma lo so che tu aspetti
una risposta. Uccidere te. È l’unica via che mi resta, è questo che vuoi? Concludo.
Allora tu ti offendi, ti rannicchi nella tua piscina e rimani muto per ore,
come se volessi punirmi, come se fosse tutta colpa mia, non vuoi metterti in
testa che, vivo o morto quel porco zoppo di tuo padre, tu saresti comunque
figlio suo, e figlio mio, e quest’idea mi sembra eterna, e mi pare, e ho un po’
paura a dirtelo, ma è giusto che io te lo dica, che comunque vada, ecco, che tu
ci rimarrai fregato. (…)
E’ bello, veramente bello! Che senso ha il perdono senza pentimento…..
Molto bello. Rende molto bene i mille mondi che vivono dentro di noi, e la realtà, che alla fine è sempre e solo una. Almeno, a me ha evocato questo. Grazie.
Sara, grazie a te. Ho cercato, sì, di raccontare i mille mondi che sono dentro di noi, che a volte ci lasciano intrappolati all’interno di un ragionamento circolare, senza via di scampo.
Lo trovo molto realistico, quasi crudo. Hai saputo rendere perfettamente la temperie mentale di una persona che non smette mai di interrogarsi sul senso della vita. Sei riuscita a ricreare la convulsione del suo monologo interiore. Le parole sanno rispecchiare lo stato d’animo. Complimenti davvero.
soffocante. palude che non molla, semmai uccide. senza avere delle analogie reali mi sono tremendamente immedesimata e quest’ aria immobile, lattiginosa, vischiosa è diventata assolutamente tangibile….hai una grande capacità narrativa. mi è piaciuto molto, grazie.
Bello. Il monologo interiore trasmette un’angoscia incredibile, una specie di tormento continuato senza uscita. Ben scritto. Complimenti.
Spietato e molto bello. Mi ha persino turbato perché riesce a trasmettere efficacemente un malessere quasi fisico che deriva dalla disperata sensazione di non trovare soluzione, del consumarsi alla ricerca di una risposta che non può arrivare. Mi piace come si accavallano densamente, ma in maniera lucida, i pensieri, il dialogo con figlio, le sensazioni che giungono dall’esterno e le terribili fantasie.
Bello, angosciate, crudo ma asciutto, privo di compiacimento per il dramma, secco e diretto.
Sei proprio brava!