Premio Racconti nella Rete 2017 “Penelope” di Paola Retta
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017Ci sono giorni in cui dubito della mia capacità di saper contare. Altri in cui ho poca fiducia nella mia perizia fisiognomica e confondo un Proco con un altro, oppure diversi che si assomigliano mi sembrano uno solo. Comprendetemi. Ne ho 108 che mi girano per casa da anni. O almeno credo siano 108. Potrebbero essere di meno. O di più. Ma comunque troppi. Eccessivi, sovrabbondanti, fuori misura anche, a mio modesto parere, per le leggi che regolano i doveri dell’ospitalità qui da noi. Che, per chi non lo sapesse, è sacra. Al punto che non posso, nella maniera più assoluta, cacciarli fuori da qui, liberandomi della loro confusa, rumorosa e disordinata presenza.
Il motivo è terribile e meraviglioso insieme: l’ospite va accudito, riverito, nutrito e, quando LUI decide di andare via, salutato con un regalo perché sotto le sue spoglie può celarsi una divinità.
Se devo essere sincera, in tutti questi anni, la gente che ha soggiornato in casa mia mi è sempre parsa molto terrena, parecchio umana, fortemente antropica. Mai, dico mai, che mi sia capitata una bella teofania, non dico di Zeus, ma, che so, di Apollo, Poseidone, Ares, Ermes, Eros, Dioniso. Mi sarei accontentata anche del brutto e sciancato Efesto, pur di giustificare l’estrema devozione greca per chi si radica in casa d’altri senza accennare, neanche per sbaglio, alla data in cui andrà via.
Temo che sarò delusa ancora una volta, perché, a guardarli bene, neanche tra questi 108 ravvedo la remota parvenza di un dio qualsiasi.
Se vi state chiedendo il motivo per cui sono qui e non si muovono dalla mia modesta ed un tempo tranquilla dimora, ebbene, mi pretendono. Sono miei pretendenti.
Se pensate che la cosa mi lusinghi, siete lontanissimi dal mio vero sentire, perché non mi vogliono in sposa per le mie qualità intrinseche, personalissime e peculiari, ma per quelle estrinseche, relative al fatto che io sono regina di Itaca, in quanto coniuge di Ulisse, re dell’isola di cui sopra, attualmente disperso e del quale non si hanno notizie da quasi vent’anni, per cui, più che moglie, vengo considerata vedova.
Per questo motivo, i Proci, oltre a mangiare, bere e sollazzarsi a mie spese e a discapito delle ancelle, che si sono viste centuplicare il lavoro e per questo mi lanciano sguardi trucidi, premono perché io prenda uno di loro come marito e di conseguenza re di Itaca.
Ma a me, di questi 108, che pur sono una platea maschile piuttosto vasta, non ne piace nessuno e la ragione è presto detta: sono dei cretini.
Creduloni ed ingenui. Oserei quasi dire sempliciotti. Per temporeggiare, ho detto loro che avrei resa palese la mia scelta non appena terminato di tessere la tela a cui sto lavorando che verrà utilizzata come lenzuolo funebre di mio suocero Laerte (il quale, dal canto suo, sta facendo i debiti scongiuri).
Di giorno, in effetti, sono impegnata ad ordire, fingendomi alacre, fili di tessuto al telaio, di notte a disfare il lavoro del dì precedente.
In pratica, da mesi, la tela è sempre allo stesso punto e di 108 uomini che la osservano agognandone la fine, se ne fosse accorto uno!
Ora, siamo serie, come posso affidare il governo dell’isola a questa gente?
A volte li prendo anche in giro: quando qualcuno di loro tenta un approccio ravvicinato, cercando di fare conversazione con me quando sono all’opera, rispondo affaccendata: “Non adesso. Sono molto impegnata. Se mi distraggo a parlare con te, non finirò mai!”
“Scusa, Penelope, hai ragione.” Mormorano allontanandosi mogi.
Quasi mi dispiace.
No, non è vero.
Non sono crudele. Sono solo stanca. Stanca di questa invasione, di questo campeggio improvvisato, del disordine, di tutto il cibo cucinato e da cucinare, dei giacigli da preparare, delle occhiate assassine delle mie ancelle, della prepotenza con cui questi Proci si sono insediati in casa mia e, sì, anche degli stramaledetti doveri di sacra ospitalità.
Non voglio sposare nessuno di loro. Si arrenderanno a questa idea?
Inoltre e fino a prova contraria, Ulisse è ancora vivo. Certo, non è qui e la cosa, dopo tutto questo tempo, inizia ad essere piuttosto seccante, ma nessun messaggero è ancora venuto a portarmi notizie funeste, né un corpo su cui piangere, sicché non vedo il motivo di tanta fretta da parte dei 108 pretendenti.
Volete la verità?
Ultimamente quest’attesa non mi pesa in maniera particolare. Telemaco è grande, ormai, ed io ho scoperto il piacere di pensare a me.
Dopo aver lavorato al telaio gran parte della giornata, passeggio al tramonto, raggiungendo a piedi la costa dell’isola, respiro l’odore del mare, chiacchiero con i pescatori che si preparano ad uscire con le barche, mi godo il panorama, faccio la conoscenza degli abitanti di Itaca.
Ma soprattutto quel poco di sonno che riesco a raschiare dopo aver disfatto la tela, me lo godo su un enorme letto tutto per me, che Ulisse ha intarsiato all’interno del tronco di un ulivo secolare e costruendo, poi, la stanza in pietra intorno ad esso. Ammetto che non è il massimo della comodità da pulire e che sarebbe una spada nel cuore di un architetto feng shui, ma è opera di mio marito ed io non voglio cambiarlo per varie ragioni. Non irrilevante è il fatto che, per sostituirlo, dovrei abbattere le mura e sradicare l’ulivo.
Ulisse mi manca, certo, ma non disperatamente come credevo.
Forse è vero che ci si abitua a tutto. Tranne a 108 Proci che spuntano ovunque. A questo no, proprio non ci si abitua. Neanche se tra loro ci fosse un dio.
Mi preoccupa Argo, però. Povero vecchio cane. E’ sempre più triste e malandato. Ogni giorno resta per ore accucciato sulla soglia scrutando la strada fin dove può il suo sguardo opaco da anziano.
Forse è più fedele ad Ulisse di me.
Sicuramente lo aspetta con più trepidazione.
Eppure io credo che questa sua costanza verrà premiata. Lo immagino che scodinzola con emozione sempre maggiore, quando, finalmente, una figura familiare apparirà sempre meno sfocata ai suoi occhi avvicinandosi man mano a questa casa.
Sarà felice, Argo.
Lo saranno meno i Proci.
Ed io?
Non lo so. Di questa attesa senza ansia ho fatto tesoro e ho sperimentato che posso vivere bene anche senza di lui.
Tuttavia posso sempre rivedere la mia posizione in proposito, se mi riporta tanti bei regali dal suo viaggio. Che diamine, è stato via vent’anni, avrà avuto tempo per scegliere dei souvenir!
Divertente e originale questa rilettura di Penelope!
Come prendersi gioco di un mito immortale. Il trionfo delle “mezze misure”. Spiritoso e brillante. Complimenti!
Molto femminile e convincente anche se spiazzante, questo ritratto di Penelope. Brava
Un racconto leggero che cerca di colpire con ironia alcuni aspetti della vita come quello della donna innamorata che aspetta il ritorno del marito lontano e in quell’attesa da sola ritrova se stessa e la forza di andare avanti anche da sola senza l’aiuto di spasimanti poco sinceri e generosi.
Grazie a voi per aver letto il mio racconto. Sono davvero contenta che vi sia piaciuto e che vi abbia divertito/convinto/spiazzato.
Ecco finalmente una bella Penelope tutt’altro che Ulissecentrica! Bella, ironica e scanzonata rivisitazione. Brava Paola.
racconto ironico e che denota una buona conoscenza del testo originale 🙂 simpatica questa Penelope indipendente e un po’ femminista. Brava
Rivoluzionaria l’inattesa Penelope che non sta in aspettativa. E noi che per secoli ci siamo bevuti avesse tutto un altro carattere! Non si finisce davvero mai di imparare. Bellissimo.
Paola, mi piace questa Penelope che ha imparato a bastare a se stessa e a difendersi dal mondo con tanta saggia leggerezza .
Una Penelope davvero moderna, con uno sguardo scanzonato sulla realtà, un umorismo sottile e profondo. Una scrittura che si lascia piacere. Un lavoro originale.
Buongiorno a voi e grazie ancora per le vostre parole!
“Ultimamente quest’attesa non mi pesa in maniera particolare. Telemaco è grande, ormai, ed io ho scoperto il piacere di pensare a me” Penelope non ha bisogno di “estenuanti viaggi” per trovare nuovi orizzonti. Una rivisitazione della figura di Penelope molto riuscita. Complimenti