Premio Racconti nella Rete 2017 “San fantino” di Grazia Greco
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017San fantino è una contrada nel profondo sud, quasi alla punta estrema dell’Italia, fra la campagna ricca di uliveti e le vigne che avvampano al sole d’estate, in quel tratto di mare dai colori e riflessi cristallini, che prende il nome di “Costa Viola”.
Vi ho trascorso le vacanze estive sin dalla prima estate della mia vita. Nel paese vicino è nato mio padre e lì durante la mia infanzia, vivevano ancora i nonni. Quando a migliaia emigravano verso il nord, anche due ragazzi che un giorno sarebbero diventati i miei genitori si spostarono dai loro paesi.
Arrivarono in un una città del centro Italia per completare gli studi, più fortunati di tanti giovani ai quali si aprivano solo le porte della fabbrica. Lasciavano alle spalle storie diverse, si conobbero per caso alla mensa universitaria e divennero subito amici. Mesi dopo capirono che tra loro era nato qualcosa di diverso e non si lasciarono più. Terminati gli studi, decisero di restare nella città in cui si erano conosciuti e che entrambi amavano. Non dimenticarono però mai le loro origini, mantenendo un rapporto stretto con le proprie radici e le famiglie, in un viaggio mai finito lungo la penisola.
La famiglia di mia madre vantava grandi tradizioni e lei fino alla maturità era vissuta protetta dalle mura di una casa antica e di un’importante storia. Mio padre, figlio di un operaio delle ferrovie locali, era cresciuto nella strada, abituato a cavarsela in ogni situazione.
Completamente diversi , lei idealista divisa tra le necessità del quotidiano e i sogni, lui pragmatico, ben radicato nella vita reale. Non so quale delle due anime prevalesse, e non so quale fu la chiave del successo del matrimonio, ma quell’unione di persone, apparentemente distanti, funzionò e portò alla nascita dei miei fratelli e in ultimo alla mia.
All’inizio dell’estate partivamo, la mamma io e il secondo dei miei fratelli. A casa con il babbo restava il primogenito, che mi superava molti anni ed alla mia nascita era un adolescente. Appena ebbi l’età per farlo, aiutavo a mettere in valigia , vestiti, costumi , paletta e secchiello e tutto ciò che pensavo mi sarebbe potuto servire per quelle vacanze attese tutto l’anno. Mesi prima cominciavo a parlarne con orgoglio ai miei compagni di scuola, descrivevo la bellissima casa della nonna materna, il mare con gli scogli , da cui avrei fatto fantastici tuffi , e la campagna dall’altra.
Portavo con me i libri per i compiti dell’estate, sapevo che mi avrebbero torturato per l’intero periodo di vacanza, ma non potevo fare diversamente, mia madre non lo avrebbe permesso. I bagagli diventavano pienissimi e pesanti. Il viaggio era lungo e stancate. Facevamo due cambi di treni e quasi sempre qualcuno si offriva per darci una mano. La prima tappa era a casa della nonna materna che ci coccolava per tutto il nostro soggiorno.Tra quelle mura che pure amavo tantissimo, non mi sentivo a mio agio, tutto parlava di antico , preferivo molto di più la vita all’aria aperta. Le cose andavano meglio quando arrivavano i cugini al piano di sotto. Erano i figli delle cugine di mia madre, per me e mio fratello il loro arrivo rappresentava la svolta nelle vacanze.
Così come era successo a mia madre e alle sue sorelle , il giardino diventava l’incontro di giochi meravigliosi, di nascondigli, di arrampicate sugli alberi d’aranci, di racconti che ogni anno ci scoprivano più grandi.
Mi allontanavo da quel primo soggiorno con dispiacere, vedevo gli occhi della nonna tristi per il distacco. In tutto il nostro soggiorno ci aveva circondato d’amore , preparando pranzi squisiti, esaudendo ogni nostro desiderio, lo fece sempre anche da molto anziana con senso di devozione e di sacrificio verso la famiglia.
Arrivavamo a San Fantino di sera tardi e trovavamo i nonni paterni ancora svegli ad aspettarci. Ero felice, avrei vissuto in piena libertà nella piccola casa di campagna, circondata da ulivi e vigneti, di fronte a un’antica torre Saracena e a un panorama sul mare mozzafiato. I miei nonni l’avevano ricavata ristrutturando una vecchia baracca. Quella casa rappresentava per tutti noi , il massimo di ciò che avremmo potuto desiderare. La pagoda di legno, coperta dalla vite americana ci dava refrigerio al caldo d’Agosto.
Il nonno mi ripeteva : “Tuo padre mi ha aiutato a costruirla alla tua età, vedi nella vita bisogna darsi da fare e impegnarsi anche in ciò che ci sembra impossibile da realizzare”
La cucina era unica, all’aperto, una struttura di cemento con una copertura di tegole rosse.
Preparava la nonna il desinare fatto di ricette tradizionali con i prodotti dell’orto accanto a casa.
Agosto è il mese del sole, dei fichi maturi , del canto delle cicale.
Dopo circa quarant’anni di lavoro nelle ferrovie locali, di alzate all’alba e di turni faticosi, mio nonno era andato in pensione. Da quel momento la sua passione per la campagna era diventata l’occupazione principale. Coltivava i pomodori e al nostro arrivo li trovavamo maturi. Seduto su una sedia di paglia, intrecciava collane di peperoncini, poi le legava alla cappa della cucina.
Puliva con due grandi guantoni i fichi d’india, che in quei posti crescono spontanei persino sui costoni delle rocce. Io lo osservavo incantato e quando una volta incuriosito gli chiesi a che età avesse imparato a pulirli così bene, senza mai infilarsi una spina ” ero picciriddu come a tia” mi aveva risposto con un sorriso.
Il nostro sodalizio continuava con le partite a carte. La nonna era sempre impegnata, stendeva i panni, metteva il sugo sul fuoco e lo faceva cuocere diverse ore lentamente, ogni tanto andava a mescolarlo , fino al pranzo. Io e il nonno giocavamo ad “Asso prende tutto ” o a Scopa: Solo molti anni dopo capii perché vincessi sempre io quelle partite, ma a quell’epoca ero convinto di essere imbattibile.
L’estate dei miei dodici anni, cambiò per sempre le nostre vacanze. Eravamo arrivati tardi , a metà Agosto, il babbo aveva voluto che lo attendessimo fino alla chiusura del lavoro di ristrutturazione che da poco aveva intrapreso, mettendosi in proprio.
Da qualche giorno il nonno era ricoverato in ospedale . Il mattino dopo il nostro arrivo mio padre mi prese da parte e mi disse “Vieni andiamo a salutare Gianni” .
Entrammo in una stanzetta in penombra, in fila tre letti per lato, ospitavano malati anziani. Lui era in fondo vicino alla finestra aveva gli occhi socchiusi, e attaccati al naso i tubicini collegati alla bombola d’ossigeno. Quando capì di averci vicini, aprì gli occhi e si sforzò di sorridere, ma non era più lo stesso, il viso pallido e sottile. “Nonno ti aspetto a San Fantino, devo darti la rivincita a carte” Gli dissi serio, cercai di abbracciarlo facendomi spazio in quel groviglio di fili.
Allungò la mano libera e strinse forte la mia.
Ricordo i suoi occhi che ci seguirono fino alla porta, mi voltai e gli sorrisi, alzai il braccio per salutarlo. Quella fu l’ultima volta che lo vidi.
Ritorno ancora a San fantino, un’abitudine di cui non posso fare a meno, anche se ora viaggio per lavoro in tutto il mondo, per fermarmi e ritrovare le mie radici..
Al tramonto mi siedo sulla sedia di paglia , dalla parte della strada che guarda il mare, quando il cielo diventa rosso, nel silenzio della campagna, così come era solito fare il nonno.
Penso a quei giorni di vacanza, ai colori di quelle estati, ai profumi che sono ancora vivi nell’aria e sulla mia pelle.
Molto emozionante. Sei riuscita a farmi provare tutte le sensazioni dei personaggi e vedere i paesaggi descritti, a farmi giocare nel giardino con i cugini, a salutare il nonno per l’ultima volta. Grazie davvero.
A dominique.henriet,
Mi ha fatto molto piacere leggere
il tuo bel commento, ti ringrazio tanto
Grazia,
il tuo racconto rende onore all’esperienza di moltissimi italiani, io compreso, che hanno avuto la fortuna di godere delle radici, dei profumi e delle consuetudini dei piccoli paesini del meridione, così unici ed inimitabili da segnare a vita i ricordi di chi ci ha passato un po’ di tempo.
La tua narrazione è fluida e puntuale, suggestiva, carica di emozione e vivida di paesaggi, una scrittura che attrae e facilita l’immedesimazione del lettore nel mondo estivo del protagonista.
Ogni volta che leggo uno scritto simile mi sale un po’ di malinconia: che peccato che certe usanze ed abitudini stiano via via scemando; si tratta indubbiamente della perdita di un patrimonio difficile da sostituire.
Bravissima.
A Lorenzo Garzarelli,
Grazie infinite del tuo commento, sei entrato davvero dentro quei sentimenti e valori che
volevo esprimere nel racconto. Le tue parole sono per me di grande incoraggiamento.
Sapore d’antico, i colori della nostra terra, i ricordi di un’infanzia felice… il tuo racconto mi ha fatto rivivere tutto questo, con semplicità e immediatezza 🙂
Ti ringrazio tanto Vincenza di aver lasciato il tuo commento
e di essere entrata così bene nello spirito del racconto.
Che dolce! Mi hai fatto ricordare la mia nonna che bolliva i panni il lunedì mattina, in un pentolone pericolosissimo che borbottava sul fuoco.ed il mio nonno, e l’altra nonna, …e tante altre cose.Anche io ho un San Fantino, come tutti….
Grazie Laura del tuo commento, mi ha fatto molto piacere sapere che ha suscitato in te
tanti ricordi, bella la tua espressione” anche io ho un San Fantino, come tutti…” Grazie davvero di cuore.
Grazia, il tuo racconto mi ha preso di peso e trasportato in un mondo evocato con nostalgia, soffuso di quella bellezza che hanno solo i ricordi lontani. Nonostante le mie esperienze siano diverse, mi ci sono immedesimata in pieno.Complimenti davvero.
“Ritorno ancora a San fantino, un’abitudine di cui non posso fare a meno, anche se ora viaggio per lavoro in tutto il mondo, per fermarmi e ritrovare le mie radici..” In fondo le “lucciole” continuano a illuminare i nostri giorni se solo non dimentichiamo di essere alberi dalle lunghe radici.Bravo
Eh sì, anche io ho il mio San Fantino e “mesi prima cominciavo a parlarne con orgoglio ai miei compagni di scuola, descrivevo la bellissima casa della nonna materna, il mare con gli scogli, da cui avrei fatto fantastici tuffi…”
Grazia, è tanto emozionante il tuo racconto, pervaso da quella suadade che poi, irreversibilmente, ti accompagna tutta la vita, per ricordarti da dove vieni.
La Costa Viola è un luogo meraviglioso. Ci sono stata una volta soltanto ma mi è rimasta nel cuore, quindi capisco che ti abbia ispirata. Belle e significative le descrizioni.
Giada sei davvero entrata nel racconto quando scrivi ” quella bellezza che hanno solo i ricordi lontani”
Grazie di cuore per esserti immedesimata così bene e avere condiviso la tua opinione.
Grazie Anna Rosa di esserti fermata su “San Fantino ” sottolineando una frase che ne racchiude il senso
“ritrovare le radici”
il tuo giudizio mi dà tanta gioia.
Sono contenta, Ivana Iibrici, che tu abbia condiviso le stesse emozioni
di fronte a paesaggi incantevoli come quelli della Costa Viola.
Grazie tantissimo del commento che hai lasciato al racconto”San Fantino”
Grazia il tuo racconto ha risvegliato sensazioni sopite , il profumo delle grandi case, le famiglie allargate di un tempo il sole d’agosto i fichi maturi , il canto delle cicale.
grazie per questo viaggio nel tempo .Fortunato colui che ha un ” San Fantino” nella sua memoria. Bravissima tu a rappresentarlo.
Per me non è nemmeno un luogo, ma un insieme di sensazioni vive e presenti. Grazie
A Marcella Cassisi
Mi ha fatto molto piacere leggere il tuo commento,
sapere di riportare alla mente nel lettore, attraverso il racconto, i ricordi dell’infanzia
e delle radici, mi riempie di gioia.
Grazia, la malinconia dolce per anni lontani che aiutano a ricordare che si è vissuta anche la felicità.
A Gianluca Zuccheri
Grazie di cuore del tuo commento,
che bello averti risvegliato il tuo mondo “sopito” di sensazioni , il tuo “San Fantino”.
A Paola Dalla Valle
Grazie Paola di esserti fermata sul racconto “San fantino” e di averlo commentato.
Davvero commovente. La sedia di paglia che guarda il mare sembra di averla davanti.
A Maurizio Germani
Grazie di esserti fermato sul mio “San Fantino”
e di aver lasciato un commento.