Premio Racconti nella Rete 2017 “Le due Frida” di Giulia Adamo
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017Chiara scese dall’autobus n. 20 che, come tutte le mattine, la portava dal Pilastro fino in via Saragozza, una delle strade più belle della Bologna antica, con i suoi portici che arrivavano fino al santuario della Madonna di San Luca e i negozietti che mantenevano ancora le insegne di un tempo.
La strada era lunga, ci voleva una buona mezzora per arrivare, e così Chiara si portava sempre dietro un libro di ricette che le aveva prestato la madre e che – lei lo sapeva bene – non avrebbe mai trovato nessuna applicazione pratica nella sua cucina dato che si ostinava a stipare i pensili e il freezer di cibi pronti.
Mise in bocca un paio di semi di cardamomo, che regalarono al suo alito delle inconfondibili note indiane, si strinse nel suo cappottino di lana blu e si diresse verso l’ingresso di Palazzo Albergati, dove da alcuni mesi lavorava come custode. Era un posticino che le aveva trovato il padre Gilardo tramite le conoscenze dell’ufficio postale presso cui lavorava e che le aveva permesso di pagare da sola l’affitto del piccolo appartamento di periferia nel quale a breve sarebbe venuto a vivere anche il futuro marito. Non erano certo il massimo – né il lavoro né l’appartamento -, ma per adesso non se la sentiva di avere di meglio.
Entrò nel palazzo e salutò frettolosamente i colleghi Mario e Vanessa, che chiacchieravano sorseggiando un caffè, quindi raggiunse il guardaroba, indossò la divisa del museo, un tailleur blu dai bottoni dorati, e fece un giro di ricognizione per le varie stanze dell’edificio per verificare che fosse tutto a posto. Alla fine si sistemò su una sedia nell’angolo di una delle sale più grandi.
Le giornate erano lunghe da passare, lì dentro, e Chiara ingannava il tempo costruendo origami con tutti i pezzi di carta che aveva a portata di mano. Le pareva, in questo modo, di dare una sorta di forma al mondo: era come se la confusione che da sempre la spaventava, l’intricato dedalo delle possibilità, potesse acquisire così una parvenza di logica.
Quel giorno nella sala entrò un uomo. Era di mezza età, con un vestito di flanella grigia e un bastone dal pomello argentato a forma di cane. Le fece un cenno con la testa e si andò a posizionare davanti a Le due Frida, di Frida Kahlo. Rimase a osservare il quadro per lunghissimi minuti, tanto da destare la curiosità di Chiara, che non vi aveva mai prestato particolare attenzione. L’uomo contemplava l’immagine socchiudendo gli occhi e accarezzandosi con la mano destra la barba leggermente incolta quando a un tratto si girò verso la ragazza e le chiese:
- Conosce questo quadro?
Chiara rimase di stucco. Non le era mai capitato che un visitatore le rivolgesse la parola, e poi, purtroppo, di arte si intendeva ben poco: soffriva di ambliopia, un impigrimento dell’occhio sinistro che fin da piccola le affaticava la visione e che non le aveva mai permesso di provare particolare piacere nell’osservazione attenta di alcun tipo di immagine. Si era rassegnata a rimanere una donna di vedute ristrette. Quell’uomo, quindi, la coglieva totalmente impreparata.
- Non bene. Io qui sono soltanto una custode.
- Non ha importanza – continuò lui – Lo osservi.
Chiara si avvicinò titubante al quadro e si mise a scrutarlo: le due personalità della pittrice erano lì che si davano la mano con indosso degli abiti completamente diversi, uno candido con delle macchie di sangue, l’altro coloratissimo. Entrambe mostravano il cuore – uno integro, l’altro come squartato – mentre lo sfondo era un cielo che prometteva tempesta.
- Le fa venire in mente qualcosa? – le chiese lo sconosciuto senza guardarla.
- A cosa dovrebbe farmi pensare, mi scusi?
Chiara era molto turbata da quell’uomo. Chi era? E cosa voleva? Si comportava come se la conoscesse bene, ma lei non ricordava di averlo mai visto.
- Le visioni ristrette non portano da nessuna parte, – continuò lui – e non si vede soltanto con gli occhi.
- Mi scusi, non vorrei sembrare antipatica, ma non posso stare qui a parlare con lei… devo lavorare…
La ragazza gli fece un sorriso tra il gentile e lo spazientito e accennò a tornare al suo posto. In quel momento desiderava solo che fosse sera, che fosse il momento di andare finalmente via, di salire sull’autobus e di arrivare alla piscina comunale dove si recava sempre dopo il lavoro. Sentiva, urgente, il desiderio del silenzio e della solitudine di quell’acqua buia. Ma l’uomo riprese a parlarle:
- Le ultime parole che Frida scrisse sul suo diario furono: “Spero che la dipartita sia gioiosa, e spero di non tornare mai più”. Frida non voleva tornare perché sulla terra aveva vissuto tutta la vita possibile.
- Molto interessante ma, davvero, non posso stare qui a parlare con lei. Se mi vede un responsabile, sono guai…
Chiara sentiva che quell’uomo riusciva a vedere qualcosa che si celava nella sua parte più profonda, una zona d’ombra che anche per lei era ancora un mistero. Perché non la lasciava in pace? Perché non le permetteva di andarsi a sedere nel suo angolino, dove sarebbe diventata di nuovo invisibile a tutti?
- Signorina, non voglio trattenerla oltre. È che questo quadro mi ha colpito molto e avevo voglia di parlarne con qualcuno… e poi nello sguardo della pittrice, così serio e triste, mi è sembrato di vedere il suo…
Chiara lo guardò per un attimo con il naso all’insù – lui era molto più alto di lei – e stava per rispondere qualcosa quando lui continuò:
- Guardi queste due donne – disse indicando il quadro – Se esiste una, non vuol dire che non ci sia spazio anche per l’altra.
La ragazza rifletté per qualche istante, quindi fissò l’uomo che – lo notava solo adesso – aveva gli occhi di un azzurro quasi trasparente, dove balenava un guizzo di inquietudine.
Dopo un po’ la sala rimase deserta: c’erano solo Le due Frida e un mucchietto di carte appallottolate sotto la sedia posta nell’angolo.
Ciao, Giulia, che bella idea originale e che bel messaggio di vita lascia l’uomo misterioso alla ragazza!
Grazie! Sono contenta che il racconto ti sia piaciuto!
Bel racconto, anche se non credo di averne colto il significato. Me lo spieghi? 🙂
Ciao Eleonora, il finale è aperto, quindi diciamo che ognuno lo può interpretare a modo proprio. Il nucleo del racconto è comunque una riflessione che la ragazza fa su se stessa e sulle proprie paure a partire dalla conversazione con uno sconosciuto, che sembra vedere in Chiara una forza di cui neanche lei si rende conto.
Giulia,
intanto: quanto è bella Bologna?
Ogni volta che ci passo mi perdo nel fascino dei suoi portici; un fascino che ho percepito immediatamente dalle prime righe del tuo bel racconto.
L’idea, ben strutturata e sviluppata con una prosa delicata, quasi “da museo” mi verrebbe da dire :-), é ottima: spesso una visione superficiale delle cose impedisce di esprimere a pieno il proprio potenziale.
E penso che Chiara, passando dall’essere “rassegnata a rimanere una donna di vedute ristrette” (bello il parallelo con l’ambliopia) ad appallottolare i suoi origami, sia pronta a sconfiggere il timore del cambiamento.
Complimenti.
Lorenzo, ti ringrazio per questo commento così approfondito (e così veritiero :-))
L’immagine che Chiara vede nel quadro (mi sembra di capire) è probabilmente l’alter ego della stessa protagonista, dove è presente lei e ciò che vorrebbe essere. Ma forse è proprio la paura a farla scappare/ restare ferma sulle sue posizioni, ai suoi rituali (il nuoto per esempio).Bel racconto Giulia.
Sì, Daniele, è proprio così! Grazie!
Brava, Giulia. Personalmente, adoro leggere storie che trattano di arte, e Frida Kahlo è una figura già di per sé estremamente suggestiva (se non sbaglio, ha ispirato anche un altro racconto di questa edizione)!
Sei poi stata brava a conferire al tuo racconto un’impostazione quasi aforistica, e mi piace l’idea del finale aperto.
Ti ringrazio, Giada, per il bellissimo commento!
Congratulazioni!
Grazie mille!
Anche questo faceva parte della mia top 10, sono felice per te. Bravissima!
Grazie, Dominique!!! 🙂
Bel racconto Giulia, brava e complimenti! A presto
Grazie!!! A presto!!!
Ciao Giulia, ce l’ho fatta a leggere! Il doppio, la potenzialità (terrificante) dell’essere di fronte alla certezza (rassicurante) dell’apparire. L’origami accartocciato fa sperare nel cambiamento e nella scoperta dell’azzurro di un cielo nascosto dai portici.
Ciao Paola,
in poche parole hai delineato un sintesi perfetta di quello che volevo comunicare con questo racconto. Grazie! 😀
Cara Giulia,
molto bello questo racconto, c’è qualcosa di mistico e questo concetto sull’ arte e la bellezza , da te cosi ben tratteggiato, mi affascina.
Si potrebbe forse dire che per cogliere la bellezza alle volte serve la conoscenza, altre volte solo lo sguardo di chi te la indica.
Tanti complimenti
È vero, la penso proprio come te! Grazie!
Cara Giulia
Anzitutto complimenti per la selezione e spero di conoscerti a Lucca. Avevo sicuramente letto il tuo racconto ma a quanto pare senza commento. Forse perché é molto profondo e richiede più riflessione e invece si va sempre così di fretta. In effetti la visione ristretta della vita non dovrebbe mai comunque impedire di viverla nella sua totalità come ha fatto la grande Frida! Pur nel rispetto di chi come Chiara nella sua semplicità – che fa ricordare le piccole cose del Pascoli – ha forse compreso il vero senso di questa fugace vita. Grazie per questi spunti di meditazione. A presto Lucia
Cara Lucia,
grazie per il bellissimo commento! A presto!