Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2017 “La vera storia di Micius Maus” di Nicoletta Manetti (sezione racconti per bambini)

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017

Il giorno in cui Micius Maus nacque, infuriava un violento temporale e quando un fulmine cadde sul pozzo dietro la fattoria, tutti scapparono, mamma compresa: i gatti si infilarono nelle grate delle cantine, i topi nelle tane, le galline ammutolirono nel pollaio e i cani abbaiavano sotto la tettoia dell’aia. Perciò il cucciolo non seppe chi fosse la sua mamma, sparita come un lampo tra i lampi.

Il giorno dopo, quando un bel sole giallo come un tuorlo d’uovo tornò ad asciugare la campagna, una processione di gatte, galline e oche sfilò davanti al piccino dagli occhietti ancora chiusi. Ognuna giurava di essere lei la mamma.

«Ma non vedete come mi somiglia?»

«Macchè, è il mio cucciolo che avevo perso!»

Chi diceva che era un topo, chi sbraitava che era un cane. Una papera disse che di un pennuto si trattava e, quindi, sarebbe stata comunque lei la più adatta.

Insomma, nel dubbio, lo adottarono tutti, col nome, pensa che ti ripensa, di Micius Maus.

Per un po’ il piccolo fu felice, coccolato da tutti. Crescendo, però, cominciò a chiedersi chi fosse davvero. Dopo la pioggia si specchiava nelle pozzanghere e si osservava: era un micius? O era un maus? E se invece fosse stato un baus? I baffi c’erano, li sentiva vibrare e gli facevano pure il solletico. Le orecchie anche, perché ci sentiva e bene. La lingua, il naso, la coda, nulla lo aiutava a capire se fosse un gatto, un cane o un topo.

Le cose si complicarono quando cominciò a crescere. Non era più un piccolo da proteggere e arrivava sempre un cucciolo nuovo, un figlio vero, da accudire. Perciò Micius Maus fu sempre più solo.

Peggio ancora fu il momento in cui, dal chiedersi chi fosse, cominciò a chiedersi chi ‘non’ fosse.

Non vi dico come ci rimase quando, dopo tanto pensarci, si fece coraggio e avvicinò una micina dagli occhi bicolori, uno di miele e uno di moscondoro: «Ma che fai? Non sei nemmeno un micius!» gli urlò lei. Il poveretto, pieno di vergogna, non si fece vedere in giro per giorni e giorni.

O quando si avventurò a guardare da vicino la barboncina nella villa dei padroni: «Cosa mi spii? Vattene, non sei nemmeno un baus!» gli ringhiò. Quella volta rimase anche parecchio impaurito, così non varcò più il cancello aperto sul viale di cipressi.

Anche quando si invaghì di una topolina dalle orecchie rosa, dovette tornarsene, lesto e a coda bassa, da dove era venuto. Lei gli piantò in faccia due occhietti neri come pallini da caccia: «Ma sei scemo? Coi pretendenti che ho, dovrei guardare te? E non sei neppure un maus!»

La notte rimaneva sveglio vicino al pagliaio a contare le stelle. I grilli cantavano: loro erano felici, pensava. Durante una di quelle nottate insonni decise di andarsene.

Partì una mattina. Non aveva detto niente a nessuno, tanto non aveva amici e anche le mamme che per un po’ gli avevano voluto bene avevano smesso da tempo di litigare per lui.

Così si incamminò e si voltò a guardare la fattoria: «Non ho niente da rimpiangere e nessuno mi rimpiangerà». Poi si avviò col passo deciso e il cuore gonfio di speranza.

Dopo due ore era già stanco, ma i tetti e il campanile erano ancora piccini laggiù in basso. Stava riprendendo fiato sul ciglio della strada, quando una macchina gli inchiodò davanti.

«Fermati babbo, ti prego!» una bimba si sporgeva dal finestrino verso di lui «Com’è carino! Fammi scendere!»

«Ma figurati! Sembra anche malato… guarda com’è spelacchiato!»

«Magari è abbandonato, prendiamolo!» la vocina era dolcissima.

«Non dire sciocchezze Maud!» l’auto ripartì e alzò un polverone che Micius Maus inghiottì insieme a quelle parole dure come pietre: era malato? ‘spelacchiato’ aveva detto, era grave? Ma pensò anche al sorriso di Maud che l’avrebbe voluto prendere e aveva detto ‘carino’. Ma ‘carino’ andava bene con ‘spelacchiato’? Chi aveva ragione? Era carino o spelacchiato? E insomma, era un maus, un baus, un micius o cosa?

Si rimise in cammino e per fortuna ora la strada era in discesa. Cominciava a sentire fame, sicuramente in paese avrebbe trovato qualcosa da mangiare.

Le case cominciarono a farsi più fitte, coi giardini curati e le tendine alle finestre. I cani gli abbaiavano dietro le staccionate, ma lui tirava dritto, la fame era più forte di tutto.

All’improvviso comparvero collane di salsicce, polli spennati e bistecche succulente: provò a leccare quel ben di Dio ma sbatté contro un vetro e un omone vestito di bianco alzò un coltellaccio:« E questa bestiaccia da dove viene? Fuori di qui!»

Si ritrovò di nuovo in strada, con l’acquolina in bocca che gli faceva male alla gola e allo stomaco. Sentì tremare le zampe e credette di accasciarsi per sempre. Che vita era stata la sua, a cercare di capire chi fosse e finita così, solo e spelacchiato, col solo ricordo dolce del sorriso di Maud che aveva detto ‘carino’!

Ma un odore lo distrasse da questi tristi pensieri, lo seguì e si trovò davanti due grossi bidoni. In terra c’erano lische di pesce, qualche osso e bucce di mela. Mangiò, poi si stese in un cono di sole che lo avvolse in un abbraccio tiepido.

Al risveglio non ricordava niente, si guardò intorno: ah già, il viaggio, il sorriso di Maud, le salsicce e poi i bidoni che gli avevano restituito un po’ di fiducia. Per la prima volta si sentì bene: nessuno della fattoria sarebbe riuscito a arrivare fin lì e a non perdersi d’animo. E che dormita aveva fatto! Si stese sulla schiena, offrendo la pancia al sole. Chissà dov’era Maud e se stava pensando a lui.

Non aveva mai visto un paese, ma in quel posto c’era un’aria strana. I volti alla fattoria erano diversi. Qui le donne erano tutte nere e sussurravano uscendo dalla chiesa; per il resto c’era silenzio, nessuno parlava. Erano infelici, ecco cos’era, ammutoliti oppure arrabbiati, come il macellaio che l’aveva rincorso.

Sentì rumore di acqua corrente e si diresse da quella parte, fino al ciglio del fiume. Sulla superficie scivolava una famiglia di papere: «Che hai da guardare?» mamma papera subito si accorse di lui .

«Niente…»

«Come niente? Ci guardi! Via, ragazzi, andiamo, questo è un tipo strano!»

Micius Maus non si era mai sentito così solo.

Scese la notte, ma le luci nelle case rimasero sempre accese: si vedevano ombre nere muoversi dietro le finestre e si sentivano bisbigli di preghiere. Cercò di dormire, accoccolato vicino ai bidoni, ma si svegliava di soprassalto e subito lo assalivano i pensieri, di quale sarebbe stata la sua sorte e dove, visto che non c’era nessun posto per lui.

All’alba decise di andarsene e si incamminò oltre il ponte, verso il bosco. Appena imboccata la strada tra gli abeti, sentì un lamento: un uccello notturno ritardatario? Un gallo che dava la sveglia? Riprese il cammino ma sentì di nuovo quel mugolare. Incuriosito, si addentrò tra i tronchi scuri che chiudevano il cielo lassù in alto: ma ora udiva solo i suoi passi scricchiolare sul tappeto di foglie.

Stava per tornare indietro quando un altro lamento lo bloccò. Proveniva da un masso ricoperto di muschio: forse un animale ferito, bisognoso di aiuto e solo come lui? Infilò il naso nella spaccatura sotto la pietra. Il rumore si ripeté e veniva proprio da lì sotto. Micius Maus si mise a guaire: «C’è qualcuno?»

Gli sembrò di sentire una vocina come quella con cui Maud aveva detto ‘che carino!’. Maud?!? Lì sotto? Era in pericolo? Micius cominciò ad abbaiare, miagolare, squittire, sbraitare.

«Aiutooo!» sentì. Allora c’era qualcuno davvero!

«Aiuto! Aiuto!» ululava, latrava, singhiozzava Micius Maus.

Ma nessuno sentiva, nessuno arrivava. L’idea che laggiù ci potesse essere Maud lo faceva impazzire. Che poteva fare? Intorno solo felci più alte di lui e lunghe ombre verdi e nere.

«Bau! Miao! Aiutooo!». Niente. Il silenzio  era più forte della sua eco.

Sentì un rumore sulla strada, si precipitò e vide un uomo in motorino. Si avventò contro i pantaloni che sventolavano, li agguantò con i denti, ma quello scalciava per liberarsi: «Che fai bestiaccia?» Ma Micius non mollò finché quello non perse l’equilibrio e dovette fermarsi. Micius Maus lo tirò ancora coi denti attaccati ai calzoni, verso gli alberi. L’uomo riuscì a prendere un bastone in terra ma, quando fece per colpire, Micius agguantò il ramo tra i denti, continuando a tirare. Poi si staccò: latrava verso gli alberi, poi verso l’uomo, gli alberi e l’uomo.

Arrivò una macchina e dal finestrino si affacciò un ragazzo: «Che succede Karl?»

«Questa bestia prima mi assale, poi mi tira come una furia…»

«Vai lascia stare, vieni via!»

Micius Maus si mise a ululare impazzito, corse  incontro all’auto ferma, poi tornò verso il bosco.

«Ma che versi fa?». Si sentì un lamento provenire dal folto della foresta.

«Hai sentito?»

Ora Micius Maus era immobile, puntava nel buio tra i tronchi. I due uomini, improvvisamente accesi dalla stessa idea, spiccarono una corsa tra gli abeti: Micius, davanti a loro, gli fece strada fino alla roccia e alla fessura.

«Oddio Karl! Oddio!!!»

 

I bambini erano spariti ormai da venti giorni: tre maschi e una bambina, erano andati una domenica mattina al campo sportivo e non avevano fatto più ritorno. Il paese da allora si era fermato: solo di loro si parlava, si aspettava, si cercava, si pregava, giorno e notte, notte e giorno. Erano state setacciate le fattorie, il fiume, i pozzi, le cisterne. La polizia aveva fermato un balordo appena uscito dal manicomio della città vicina. Lui aveva confessato, sì li aveva rapiti lui i bambini, come il pifferaio magico. Era in cella di sicurezza, ma molti non avevano creduto che quel disgraziato fosse un mostro.

Quel giorno il paese uscì dal silenzio come da un incantesimo: sembrava un vecchio carillon rimesso in moto. Tutto risuonava, le campane della cattedrale, le voci nella piazza, nei negozi dei vicoli, di finestra in finestra: «Hanno ritrovato i bambini! Hanno ritrovato i bambini!»

I ragazzi erano malconci, denutriti, attoniti, ma vivi. Protetti dagli abbracci dei genitori, raccontavano quel gioco, quel nascondiglio scivoloso, diventato d’un tratto un precipizio buio e freddo.

Micius Maus venne ricevuto dal Sindaco, acclamato eroe cittadino e le sue foto con la medaglia al collo non solo furono pubblicate sui giornali, ma incorniciate ed esposte nel Comune, nella scuola, nel bar e nella farmacia. E lì si trovano ancora.

Per il resto della sua lunga vita ebbe, a pranzo e cena, polpette di prima scelta e salsicce, anche perché fu adottato proprio dal macellaio, che non seppe mai darsi pace di averlo scacciato il giorno benedetto che era arrivato.

E se vi capita di passare da quel paese, troverete una statua in mezzo alla piazza, la statua di Micius Maus e una targa con scritto: “Non seppe mai chi fosse: se fosse un cane, un gatto, un topo o un pennuto. Ma aveva un cuore grande e qui ha riportato la felicità.”

Se ci pensate, cos’altro conta?

 

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10 commenti »

  1. Son curiosissima di sapere che bestia sia Micius Maus…ma di certo e’ una favola (mica tanto ..) meravigliosa!! Bravissima! Che suspense!

  2. Grande! Originale come poche e fiabesca come si deve. Che brava che sei ! 🙂

  3. Grazie mille! Finalmente riesco a scrivere qui!

  4. Conosco qualche Micius Maus che non ha ancora avuto modo di dimostrare al mondo di essere un eroe… ma che importa un’etichetta oppure l’altra? Come dici tu, conta solo il loro cuore grande.
    Bravissima, Nicoletta, e grazie per questa meravigliosa e significativa storia narrata in un modo così delicato, divertente e coinvolgente.

  5. Grazie a te, Marcella!

  6. Bello. In fondo non era nè topo, nè cane, nè gatto, lui era lui… unico e speciale. Siamo tutti un po’ Micius Maus, solo che ci travestiamo chi da cane chi da gatto per omologarci

  7. Vero, proprio così… i ruoli, i cliché… E soprattutto l’apparenza, quando è sempre davvero la sostanza che conta. Grazie!

  8. Buona sera Nicoletta Manetti mi è piaciuto tanto il tuo racconto è molto bello e anche il titolo mi piace tanto” La vera storia di Micius Maus”
    Io sono Sofia Genova e faccio la mascotte per LuccAutori.
    Se ti va leggi il mio racconto “UMANI E ANDROIDI”.

  9. Grazie mille, Sofia “mascotte”! Vado subito a leggere il tuo racconto!

  10. Una lettura per bambini preziosa anche per gli adulti. Tutti ci chiediamo se siamo spelacchiati o carini e se ‘spelacchiato’ e ‘carino’ possono andare insieme; perciò 7è facile identificarsi con il piccolo Micius Maus che diventa eroe per caso, ma soltanto dopo essere stato eroicamente alla ricerca della propria inafferrabile identità. Complimenti per questa storia molto ben scritta!

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